Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26953 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26953 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 15/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a LOCRI il 26/02/1989
avverso la sentenza del 23/01/2025 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
udito l’avvocato NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza del Giudice Monocratico di Locri che ha condannato NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 75, comma 1 e 2, del d.lgs. n. 159 del 2011, commesso in data 23 ottobre 2021.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME per il tramite del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME il quale, ai sensi dell’art. 102 cod. proc. pen., ha nominato quale sostituto, l’avv. NOME COGNOME deducendo quattro motivi di ricorso, di seguito enunciati, in conformità al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c), e d), cod. proc. pen., l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità in relazione all’art. 129 cod. proc. pen, nonché la mancanza, la illogicità manifesta della motivazione e il travisamento del fatto in ragione della inattualità del provvedimento oggetto di contestazione.
In particolare, la difesa ha rilevato che alla data dell’accertamento del fatto il ricorrente non era più sottoposto al vincolo della sorveglianza speciale, in quanto, posto che la sottoposizione agli obblighi è avvenuta il 23 novembre 2019, considerata la sospensione dovuta ai periodi di carcerazione, la misura sarebbe scaduta il 14 aprile 2021, sicché il 23 ottobre 2021, data del commesso reato, la misura non era più in vigore. Di conseguenza la Corte d’appello, di ufficio, avrebbe dovuto prosciogliere l’imputato, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., l’inosservanza di norme processuali con riferimento agli artt. 195, comma 4, 351 cod. proc. pen.
La difesa ha rilevato )’ la violazione della disposizione di cui all’art. 195 cod. proc. pen., che vieta la testimonianza del funzionario di polizia sul contenuto delle dichiarazioni acquisite dai testimoni con le modalità di cui agli artt. 351 e 357, comma 2, lett. a) cod. proc. pen., in quanto tale divieto va riferito alle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria anche nel caso di mancata verbalizzazione, come verificatosi nel caso di specie. In particolare si è eccepito che le dichiarazioni rese informalmente dalla madre dell’imputato Akpersonale di polizia giudiziaria hanno formato oggetto di testimonianza dibattimentale indiretta da parte del teste di p.g, in violazione del divieto di cui all’art. 195, comma 4, cod. proc. pen. con la conseguente inutilizzabilità delle stesse, ai sensi dell’art. 191, comma 2, cod. proc. pen.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente ha eccepito, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 62 bis cod. pen., nonché la motivazione carente e contraddittoria in relazione al loro mancato riconoscimento.
Secondo la difesa, i giudici di appello, ricalcando la pronuncia di primo grado, hanno ritenuto l’imputato non meritevole delle circostanze attenuanti generiche a causa dei precedenti penali, che sarebbero stati valutati da soli come indici di recidivanza e della pericolosità sociale, senza che siano stati considerati altri elementi quali la gravità del fatto, la presenza di una situazione di necessità (quale il pericolo per i vicini e per i terzi, costituito dal cane che era scappato), le dichiarazioni rese nell’immediatezza dei fatti rispetto a quelle rese spontaneamente in udienza di appello, il grado di resipiscenza e il dato del rientro in casa in tempi assai contenuti.
Non corrisponderebbe al vero, poi, la mancata allegazione di elementi comprovanti la necessità dell’imputato di allontanarsi da casa per porsi alla ricerca del cane scappato, al fine di evitare che causasse clarini all’incolumità di terzi e di alcuni parenti, avendo prodotto delle fotografie attestanti la presenza del cane e il cancello, dal quale il cane si sarebbe dileguato.
2.4. Con il quarto motivo, il ricorrente ha, poi, dedotto, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e) cod. proc. pen., l’inosservanza degli artt. 125, comma 3, 546 comma 1, lett. e) n. 4, comma 3, 603, comma 1, cod. proc. pen, la motivazione carente, contraddittoria e illogica in ordine al rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
Secondo la difesa la sentenza ha escluso in modo assertivo che l’imputato si sia portato fuori dalla propria abitazione per recuperare il cane scappato e, inoltre, le dichiarazioni della madre, per quanto inutilizzabili per la violazione del divieto di cui all’art. 195, comma 4, cod. proc. pen, in ogni caso non sarebbero in contrasto con le dichiarazioni rese dall’imputato.
Si è altresì evidenziato che la sentenza di appello non avrebbe motivato in modo adeguato, limitandosi ad affermare la decidibilità allo stato degli atti, il diniego di rinnovare l’esame dell’imputato, il quale avrebbe potuto meglio chiarire – o indurre ad ulteriori attività istruttorie d’ ufficio – il tema del recupero del cane rilevando peraltro, che la presenza di elementi dai quali desumere una scriminante non va provata dall’imputato sul quale grava solo un onere di allegazione.
3. In data 31 marzo 2025, la difesa ha depositato motivi aggiunti. In particolare, ha dedotto, ai sensi dell’art. 606, comma, 1 lett. c) cod. proc. pen., l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità in relazione
al principio di correlazione tra accusa e sentenza, ai sensi degli artt. 521, comma 2 e 522, cod. proc. pen, per avere emesso una condanna in relazione a fatti non contestati.
Si è evidenziato, in particolare, che con l’atto di appello si era rilevato che, in base al capo di imputazione, il provvedimento del Tribunale di Reggio Calabria non era più in essere al momento del controllo. La Corte d’Appello, invece, ha ritenuto la misura in atto sulla base di sospensione per periodi di carcerazione diversi rispetto alla contestazione.
Tale modifica darebbe luogo alla violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza perché non ha consentito all’imputato di difendersi rispetto alla ricostruzione operata in appello.
Il Sostituto Procuratore generale della Corte di cassazione ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato.
1.1. Va, in primo luogo evidenziato, che l’imputato è stato dichiarato colpevole del reato sopra indicato perché contravveniva agli obblighi imposti con la misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per la durata di anni due e mesi sei, di cui al decreto n. 4/16 MP 113/2016, del 6 luglio 2016 emesso dalla sez. Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, violando il divieto di rincasare la sera dopo le ore 19 e dopo le ore 20.00 tra il primo maggio e il trenta settembre, senza comprovata necessità e previa autorizzazione dell’Autorità di P.S.; commesso il 23 ottobre 2021.
Dalle conformi ricostruzioni effettuate dalle sentenze di merito, risulta che i Carabinieri il 23 ottobre del 2021 appuravano che l’imputato sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di permanenza nell’abitazione di residenza dalle 19:00 alle 06:00, alle ore 19:30 non era presso l’abitazione ed apprendevano oralmente dalla madre che era uscito con il cane a fare una passeggiata in una vasta pertinenza di loro proprietà; risultava, altresì che dopo 5 minuti il Mazzaferro veniva visto rincasare scavalcando un muro posto dietro all’abitazione, provenendo da luoghi non di pertinenza dell’abitazione, senza essere accompagnato dal cane. I giudici di appello davano altresì atto che nel corso dell’udienza il ricorrente aveva rilasciato dichiarazioni spontanee affermando di essersi allontanato dalla propria abitazione per pochi minuti essendo stato avvisato dell’ingresso del cane nella proprietà della cugina e di essersi pertanto recato a
recuperare il cane per evitare che potesse creare un pericolo per la pubblica e privata incolumità trattandosi di un cane del genere molosso.
Tanto premesso alla luce di tale non contestata ricostruzione fattuale il ricorrente ha formulato censure di violazione di norme processuali e in tema di trattamento sanzionatorio.
Prive di fondamento sono le censure oggetto del primo motivo e del motivo aggiunto, quest’ultimo da ritenersi sviluppo argomentativo del primo.
La Corte di appello, correttamente, ha ritenuto sussistere l’attualità della misura di prevenzione di pubblica sicurezza alla data del 23 ottobre 2021, anche alla luce del verbale di sottoposizione agli obblighi del 17 gennaio 2020.
Nella sentenza, infatti, si dà atto che la misura, per la durata di anni due e mesi sei, imposta con verbale di sottoposizione agli obblighi del 23 novembre 2016, è stata poi prorogata di un ulteriore anno con ordinanza n. 2 del 2019, con verbale di sottoposizione del 17 gennaio 2020, così da non esservi dubbi circa la vigenza della misura; ciò, si aggiunge, anche in considerazione della sospensione dell’esecuzione della sorveglianza speciale per i periodi intercorrenti tra il 6 settembre 2017 e 27 febbraio 2017, sia per il periodo tra il 18 gennaio 2019 e il 16 gennaio 2010 (termine finale di esecuzione della pena detentiva di cui al reato n. 10 del casellario giudiziale in atti. Pertanto, alla data del 23 ottobre 2021, la misura di prevenzione era certamente in atto.
Né è meritevole di accoglimento la prospettazione difensiva secondo cui il giudice di appello sarebbe incorso nella violazione del principio di cui all’art. 521 cod. proc. pen., in quanto il diverso computo della durata della misura di prevenzione non ricade nell’ambito del principio di correlazione tra accusa e sentenza, trattandosi di elemento oggettivo, risultante da un verbale sottoscritto dall’imputato, che si pone al di fuori del fatto integrante la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 75 d.lgs. n. 159 del 2011 in quanto non incide sugli elementi della condotta.
Anche la censura dedotta con il secondo motivo di appello non può trovare accoglimento trattandosi di doglianza non sottoposta al giudice dell’appello e, in ogni caso, non considera che le dichiarazioni rese dalla madre al personale di polizia giudiziaria sono state rese al di fuori del procedimento penale, dovendo ricondursi tale ipotesi “agli altri casi” previsti dal comma 4 dell’art. 195 cod. pen, nel quale rientrano le dichiarazioni rese nel corso di attività ispettiva e di vigilanza.
Infatti, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità deve ritenersi ammissibile la testimonianza degli ufficiali o agenti di polizia di sicurezza
in ordine alle dichiarazioni ricevute, nell’esercizio della vigilanza sui sorvegliati speciali di RAGIONE_SOCIALE, dai familiari di questi ultimi, in ordine alla loro assenza dall’abitazione nelle fasce orarie prescritte (Sez. 1, n. 5596 del 11/01/2011, Rv. 249797 – 01).
4. Parimenti infondato è il terzo motivo di ricorso.
La Corte di appello, con congrua motivazione, ha confermato la pronuncia del giudice di primo grado sul punto del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, rilevando l’assenza di dati valorizzabili ai fini di un più favorevole trattamento sanzionatorio, alla luce della complessiva valutazione degli elementi e della inesistenza di forme di resipiscenze dell’imputato.
Così argomentando, i giudici di appello hanno dato corretta attuazione al principio secondo cui l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse. (Sentenza n. 24128 del 18/03/2021, Rv. 281590 – 01; conf. Sez. 1, n. 3529 del 1993, Rv. 19533901).
5. È, infine, infondato anche l’ultimo motivo di ricorso.
La Corte d’appello ha fornito esaustiva giustificazione del rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dell’imputato, che, secondo l’assunto difensivo, avrebbe condotto alla prova della sussistenza dello stato di necessità determinato dalla volontà di evitare che il cane del tipo molosso potesse recare danni alle persone.
Nella sentenza, con motivazione puntuale, si è dato conto che, alla luce delle risultanze istruttorie analiticamente riferite nella motivazione non vi fosse alcuna lacuna probatoria.
Al riguardo, va rilevato che posto che il sindacato di legittimità in relazione alla correttezza della motivazione di un provvedimento pronunciato dal giudice di appello sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento non può mai essere svolto sulla concreta rilevanza dell’atto o della testimonianza da acquisire, ma deve esaurirsi nell’ambito del contenuto esplicativo del provvedimento adottato (Sez. 3 n. 34626 del 15/07/2022 Rv. 283522 – 01), la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha congruamente motivato il rigetto della richiesta di rinnovazione mediante l’esame dell’imputato evidenziando, peraltro, che all’udienza fissata per il suo esame l’imputato non era comparso senza addurre alcun legittimo impedimento e senza chiedere un differimento del processo, ed ha richiamato, correttamente, la
pronuncia di questa Corte che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 603 cod. proc. pen, per violazione dell’art. 24
Cost., nella parte in cui non prevede che l’imputato abbia sempre diritto a rendere l’esame qualora ne faccia richiesta, poiché nel giudizio d’appello vige il principio
per il quale la rinnovazione dibattimentale viene disposta su richiesta di parte solo quando il giudice ritiene di non poter decidere allo stato degli atti, o d’ufficio
quando sia assolutamente necessaria. (In motivazione si è precisato che la previsione di un diritto assoluto dell’imputato di sottoporsi all’esame, sottratto al
sindacato del giudice, consentirebbe un uso puramente dilatorio della richiesta di rinnovazione). (Sez. 3, Sentenza n. 10165 del 03/10/2017 (dep. 2018) Rv. 272493
– 01).
6. Per le esposte ragioni il ricorso va rigettato con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 15 aprile 2025.