Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 9832 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 9832 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PALERMO il 28/11/1978
avverso la sentenza del 05/07/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Giova in diritto evidenziare che il reato di cui all’art. 75 d.lgs. n. 159 d 2011, che punisce la violazione della prescrizione che impone alla persona sottoposta alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale «di non associarsi abitualmente alle persone che hanno subito condanne e sono sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza», prevista dall’art. 8, comma 4, del medesimo d.lgs., implica un’abitualità o serialità di comportamenti, essendo, conseguentemente, configurabile soltanto nel caso di plurimi e stabili contatti e frequentazioni con pregiudicati (Sez. 1, n. 14149 del 20/02/2020, COGNOME, Rv. 278942); pertanto, non è richiesta, per l’integrazione del reato una costante e assidua relazione interpersonale, ben potendo la reiterata frequentazione essere assunta a sintomo univoco dell’abitualità di tale comportamento (Sez. 6, n. 28958 del 26/06/2014, COGNOME, Rv. 262153).
La Corte di appello si è pienamente conformata ai principi enunciati, logicamente valorizzando, ai fini dell’affermazione della responsabilità di Augusta, la pluralità di contatti con pregiudicati (il 19 dicembre 2016 e il 18 aprile 2017 con COGNOME NOME e il 26 febbraio 2017 con Bellone) e le modalità attuative degli incontri, evocative di una precedente programmazione. In particolare, era emerso che il 18 aprile 2017 NOME e NOME si aggiravano fra i passeggeri dell’autobus con atteggiamento tipico dei borseggiatori, nascondendo le mani sotto i giubbotti sul braccio.
Tutti tali indicatori sono stati ragionevolmente considerati dai giudici di merito come atti idonei ad escludere il carattere occasionale degli incontri.
E, a fronte di tale ragionamento, non manifestamente illogico, il ricorso non ha dedotto alcuna specifica censura, limitandosi a prospettare la mancata dimostrazione del perfezionamento del reato, così che l’atto ha assunto un carattere meramente confutativo sul fatto che la rubrica dell’imputazione farebbe riferimento ad un incontro con pregiudicati, con la conseguenza che non sarebbe stata contestata una pluralità di incontri; a questo proposito comunque il ricorrente non si confronta con la parte della motivazione della sentenza nella quale si spiega che detti pregiudicati sono stati incontrati in occasioni distinte ed era stata riscontrata pertanto una pluralità di incontri.
1.2. Manifestamente infondato è altresì il secondo motivo di ricorso sul tempo trascorso tra il fatto e la sentenza di condanna in appello, che avrebbe determinato l’estinzione del reato per prescrizione.
Infatti, il reato è stato consumato in data 18.4.2017 e la sentenza di appello è stata pronunciata in data 17.1.2024, sicché è evidente che il termine massimo
di prescrizione di sette anni e sei mesi non era decorso al momento della sentenza di appello, ma solo in data 18.10.2024, mentre la declaratoria di inammissibilità del ricorso impedisce in questa sede il rilievo del decorso del termine dopo la sentenza di appello.
L’inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei motivi, infatti, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e, pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento di legittimità (tra le tante Sez. 2, n. 28848 del 8/05/2013, COGNOME, Rv. 256463).
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della cassa delle ammende di una somma determinata, equamente, in euro 3.000,00, tenuto conto che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 28/11/2024