Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 12194 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 12194 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MESSINA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/09/2022 della CORTE APPELLO di MESSINA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo i v bu GLYPH 7-, 5 GLYPH 2/9qììM ; – 7/ GLYPH fe Te r /v2’1
udito il difensore Trattazione scritta.
RITENUTO IN FATTO
NOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Messina del 29 settembre 2022, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Messina del 14 febbraio 2022, con la quale era stato condannato alla pena di anni due e mesi uno di reclusione, in ordine al reato di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, ai sensi dell’art. 75, comma 2, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, perché, quale soggetto sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel territorio del comune di Messina per la durata di anni tre e giorni dieci, come da provvedimento del Tribunale di Messina del 24 settembre 2015 (con il quale allo steó veniva nuovamente applicata la misura in esame, a seguito dei provvedimento del 14 ottobre 1998 e del 3 luglio 2002), aveva violato la prescrizione di non uscire dalla propria abitazione dalle 20:00 (dalle 21:00 durante la vigenza dell’ora legale) alle 7:00, senza comprovata necessità e preventiva autorizzazione da parte dell’Autorità di pubblica sicurezza; in particolare, il 16, 19 e 31 agosto 2017 non era stato rinvenuto all’interno della propria abitazione in orario notturno.
Il ricorrente articola cinque motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo, denuncia erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 75, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, perché la Corte di appello avrebbe omesso di considerare che l’imputato, sottoposto alla misura di prevenzione in forza di un provvedimento del 2002, la cui esecuzione era stata sospesa a causa di un periodo di detenzione, era stato risottoposto alla misura di prevenzione, con successivo provvedimento del 24 settembre 2015, in assenza di una nuova valutazione da parte del Tribunale.
Inoltre, il giudice di merito avrebbe omesso di considerare che il Tribunale di Messina, con sentenza del 19 ottobre 2020 emessa in diverso procedimento, aveva già assolto l’imputato per i medesimi fatti.
2.2. Con il secondo motivo, denuncia vizio di motivazione della sentenza impugnata, perché la Corte di appello, ponendo in essere un vero e proprio travisamento della prova, avrebbe erroneamente affermato che i testi COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME avevano dichiarato che il citofono dell’abitazione dell’imputato fosse funzionante.
2.3. Con il terzo motivo, denuncia vizio di motivazione della sentenza impugnata, perché la Corte di appello non avrebbe tenuto in considerazione la
sopra citata sentenza del Tribunale di Messina del 19 ottobre 2020, presente agli atti del fascicolo del giudice.
2.4. Con il quarto motivo, denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 131-bis cod. pen., e vizio di motivazione della sentenza impugnata, perché la Corte territoriale non avrebbe esaminato la ricorrenza della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, senza offrire sul punto alcuna valida motivazione.
2.5. Con il quinto motivo, denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 62-bis e 133 cod. pen., e vizio di motivazione della sentenza impugnata, perché la Corte territoriale non avrebbe concesso le circostanze attenuanti generiche senza fornire sul punto alcuna valida ragione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
1.1. Il primo e il terzo motivo di ricorso non possono essere accolti in sede di legittimità.
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jpttf4l Tribunale di Messina, con provvedimento del 12 settembre 2016, in ossequio a quanto disposto dalla Corte costituzionale con sentenza n. 291 del 2013, aveva rivalutato la pericolosità sociale di NOME, ritenendo sussistenti residui di un’attuale pericolosità, pure in assenza di carichi pendenti certificati, alla luce del significativo excursus criminale emergente in atti.
Le doglianze sollevate con il primo e il terzo motivo di ricorso, infitre; non possono essere accolte anche nella parte in cui denunciano la violazione del principio del ne bis in idem.
Dalla lettura della sentenza del Tribunale di Messina del 19 ottobre 2020, infatti, si evince che l’imputato era stato condannato in ordine al medesimo reato ex art. 75, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, commesso 1’11 aprile 2018, in relazione, quindi, a periodo diverso da quello oggetto del presente procedimento.
Sul punto, giova ribadire che, ai fini della preclusione del giudicato, l’identità del fatto è configurabile solo ove le condotte siano caratterizzate dalle medesime condizioni di tempo, di luogo e di persone, sicché costituisce fatto diverso quello che, pur violando la stessa norma e integrando gli estremi del medesimo reato, rappresenti ulteriore estrinsecazione dell’attività delittuosa, distinta nello spazio e nel tempo da quella pregressa (Sez. 5, n. 18020 del 10/02/2022, Laudani, Rv. 283371).
1.2. Il secondo motivo è inammissibile.
Nel ricorso, infatti, non ci si confronta con la sentenza impugnata, nella parte in cui la Corte di appello ha evidenziato che i testimoni appartenenti alla Polizia di Stato, NOME e COGNOME, avevano esplicitamente affermato che il citofono dell’abitazione dell’imputato fosse funzionante e che la teste della difesa, NOME, si era espressa genericamente sul preteso funzionamento del citofono, senza essere stata in grado di smentire espressamente gli operanti su tale punto.
Già il giudice di primo grado aveva evidenziato che il personale della Polizia di Stato aveva suonato sia al citofono del complesso che a quello insistente sul portone dell’abitazione dell’imputato, senza ricevere alcuna risposta da parte dello stesso. In particolare, il teste COGNOME aveva precisato come il campanello fosse funzionante, posto che si sentiva dall’esterno.
La Corte, pertanto, ritiene che il motivo ricorso non sia consentito in sede di legittimità, essendo costituito da mere doglianze in punto di fatto. Va evidenziato, infatti, come le doglianze sollevate sono tese a sovrapporre un’interpretazione delle risultanze probatorie diversa da quella recepita dai decidenti di merito, più che a denunciare un vizio rientrante in una delle categorie individuate dall’art. 606 cod. proc. pen.
1.3. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.
Sul punto, giova evidenziare che le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno chiarito che, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis cod. pen., giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo. Ciò che è necessario è una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta in quanto è la concreta manifestazione del reato che ne segna il disvalore (Sez. U, n. 13681, del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590).
Dunque, anche se la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non può essere esclusa per il solo fatto che un reato sia stato commesso, il giudice può valutare non sussistenti i presupposti per applicare l’art. 131-bis cod. pen. dopo aver considerato le forme di estrinsecazione del comportamento tenuto dall’imputato al fine di valutarne complessivamente la gravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e, conseguentemente, il concreto bisogno di pena.
Nel caso di specie, la Corte territoriale, facendo corretta applicazione dei principi sopra indicati, ha evidenziato che le modalità obiettive della condotta, rappresentate dalla reiterazione del medesimo comportamento per tre volte nell’arco di circa due settimane, e i due precedenti specifici non permettevano di
qualificare il fatto in termini di minima e trascurabile offesa del bene giuridico tutelato dalla norma penale violata.
1.4. Il quinto motivo di ricorso non può essere accolto in sede di legittimità.
La Corte di appello ha argomentato in modo ineccepibile sul fatto che l’imputato era gravato da numerosi precedenti penali, anche per reati gravi (omicidio e rapina) e specifici (essendo già stato condannato per violazione degli obblighi inerenti alle misure di prevenzione), e che la reiterazione della medesima condotta era un elemento negativo ai fini della concessione delle circostanze ex art. 62-bis cod. pen.
In ogni caso, il giudice di merito ha evidenziato che non vi era agli atti alcun elemento positivo e utile alla concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Pertanto, la loro mancata concessione è giustificata da motivazione esente da manifesta illogicità, che, pertanto, è insindacabile in cassazione (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, COGNOME, Rv. 242419), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli riten decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163).
In forza di quanto sopra, il ricorso deve essere rigettato. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 06/06/2023