Violazione Sorveglianza Speciale: Quando la Scusa Medica non Regge
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6667/2024, ha affrontato un caso di violazione sorveglianza speciale, offrendo importanti chiarimenti sui limiti delle cause di giustificazione, come lo stato di necessità per motivi di salute. La decisione sottolinea come una presunta emergenza medica, se non supportata da prove concrete e credibili, non possa scusare la violazione delle prescrizioni imposte dall’autorità giudiziaria.
I Fatti del Caso
Il caso riguarda un individuo sottoposto alla misura di sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, che includeva la prescrizione di rimanere nel proprio domicilio dalle ore 21:00 alle ore 6:00. Durante un controllo, le forze dell’ordine hanno accertato la sua assenza.
L’uomo ha tentato di giustificare la sua assenza invocando uno stato di necessità, sostenendo di essersi recato in ospedale a causa di un’improvvisa e dolorosa colica renale. Tuttavia, la sua versione dei fatti presentava diverse incongruenze.
La Valutazione dei Giudici di Merito
Già la Corte di Appello aveva respinto la tesi difensiva, evidenziando come la presunta patologia non fosse mai stata accertata clinicamente. La diagnosi di ‘colica renale destra’ riportata nel referto di dimissioni si basava esclusivamente sulle dichiarazioni del paziente, il quale non si era sottoposto ad alcun esame diagnostico per confermare la sua condizione.
Inoltre, è emerso un dettaglio cruciale: l’uomo si era recato al pronto soccorso solo dopo aver appreso del controllo di polizia presso la sua abitazione. Questo, unito alla tempistica della visita (arrivo in ospedale alle 23:53, visita effettuata alle 2:40 e dimissioni dopo soli 10 minuti), ha reso la sua giustificazione del tutto inverosimile agli occhi dei giudici.
La Decisione della Cassazione sulla violazione sorveglianza speciale
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, bollando le censure difensive come manifestamente infondate. Gli Ermellini hanno confermato la valutazione della Corte territoriale, ribadendo che la versione dei fatti fornita dall’imputato era palesemente in contrasto con la logica e le evidenze processuali.
La Corte ha specificato che un ricorso non può mirare a una semplice ‘rivalutazione delle fonti probatorie’ già esaminate e correttamente interpretate nei gradi di merito. La presunta emergenza sanitaria era stata smontata da elementi oggettivi che ne minavano la credibilità, rendendo la violazione sorveglianza speciale ingiustificata.
La Questione delle Pene Sostitutive
Il ricorrente aveva sollevato anche una questione procedurale, lamentando la mancata proposta di applicazione di una pena sostitutiva ai sensi dell’art. 545-bis c.p.p. Anche questo motivo di ricorso è stato giudicato inammissibile. La Cassazione ha richiamato un proprio precedente (n. 43848/2023), secondo cui il giudice d’appello non ha l’obbligo di proporre l’applicazione di una pena sostitutiva. L’omissione di tale avviso, infatti, non invalida la sentenza, ma presuppone una valutazione implicita dell’insussistenza dei presupposti per accedere a tale misura, rientrando nel potere discrezionale del giudice.
le motivazioni
La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza. La motivazione principale risiede nella totale inverosimiglianza della causa di giustificazione addotta, ovvero lo stato di necessità per motivi di salute. I giudici hanno sottolineato come la ricostruzione della Corte d’Appello fosse logica e coerente, basandosi su elementi oggettivi: l’assenza di una diagnosi accertata, il fatto che il ricorrente si fosse recato in ospedale solo dopo aver saputo del controllo di polizia, e la tempistica stessa della visita medica, incompatibile con una reale emergenza. Per quanto riguarda il secondo motivo, relativo alla mancata applicazione dell’art. 545-bis c.p.p., la Corte ha ribadito che la concessione di pene sostitutive è un potere discrezionale del giudice e la sua mancata proposta non costituisce vizio di nullità, implicando una valutazione negativa sulla sussistenza dei presupposti.
le conclusioni
Con questa ordinanza, la Suprema Corte riafferma un principio fondamentale: chi è sottoposto a misure restrittive della libertà personale, come la sorveglianza speciale, non può eludere i propri obblighi accampando scuse palesemente pretestuose. Lo stato di necessità deve essere provato con elementi concreti e credibili, non potendo basarsi su mere dichiarazioni contraddette dalle circostanze. La decisione consolida inoltre l’orientamento giurisprudenziale sul carattere discrezionale dell’applicazione delle pene sostitutive, limitando le possibilità di impugnazione su questioni puramente procedurali. Di conseguenza, il ricorso è stato respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Una presunta emergenza medica può sempre giustificare la violazione dell’obbligo di permanenza domiciliare?
No, la sentenza chiarisce che l’emergenza medica deve essere reale, provata e credibile. Una scusa basata solo sulle dichiarazioni dell’interessato, senza riscontri clinici e con una tempistica sospetta, non è considerata una valida causa di giustificazione.
Cosa succede se il giudice non propone l’applicazione di una pena sostitutiva dopo la condanna?
Secondo questa ordinanza, l’omissione non comporta la nullità della sentenza. Si presume che il giudice abbia implicitamente valutato l’insussistenza dei presupposti per concedere la misura sostitutiva, esercitando un suo potere discrezionale.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché le censure erano manifestamente infondate. La ricostruzione dei fatti proposta dal ricorrente era del tutto inverosimile e contraddittoria, e la questione procedurale sulle pene sostitutive non trovava fondamento nella legge, come chiarito da precedente giurisprudenza.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6667 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6667 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 15/03/2023 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Rilevato in fatto e considerato in diritto
Ritenuto che le censure dedotte nel ricorso di NOME COGNOME – nel quale il difensore si duole della violazione degli artt. 125, comma 3, e 545 bis cod. proc pen. e del vizio di motivazione – sono inammissibili, in quanto, oltre a prefigurare una rivalutazione delle fonti probatorie, sono manifestamente infondate.
Invero, nella sentenza impugnata, la Corte di appello di Catania evidenzia che: – il ricorrente, sottoposto alla misura di sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, ha violato la prescrizione di permanere nel proprio domicilio tra le ore 21.00 e le ore 6.00; – non è ravvisabile nel caso di specie lo stato di necessità invocato dalla difesa in quanto non è stata accertata a carico di COGNOME alcuna patologia e, per di più, la diagnosi resa alle dimissioni (colica renale dx) si è fondata sulle solo dichiarazioni del ricorrente, il quale non si è neppure sottoposto ad esami clinici a conferma di quanto lamentato; – COGNOME risulta essersi recato presso il nosocomio solo dopo avere saputo del controllo presso la sua abitazione; – la patologia lamentata (colica renale) è del tutto inverosimile, ponendosi altresì in contrasto con il lasso di tempo che risulta essere trascorso nell’attesa della visita dell’imputato (che, arrivato in ospedale alle ore 23.53, è stato preso in cura solamente alle ore 2.40, per poi essere dimesso 10 minuti dopo).
Ritenuto che il secondo motivo di ricorso risulta altrettanto inammissibile in quanto l’udienza ex art. 545 bis cod. proc. pen. non è prevista in via necessaria, tanto più in appello (si veda per tutte Sez. 2, n. 43848 del 29/09/2023, D., 285412-01, secondo cui in tema di sanzioni sostitutive di pene detentive brevi, il giudice non deve in ogni caso proporre all’imputato l’applicazione di una pena sostitutiva, essendo investito, al riguardo, di un potere discrezionale, sicché l’omessa formulazione, subito dopo la lettura del dispositivo, dell’avviso di cui all’art. 545-bis, comma 1, cod. proc. pen. non comporta la nullità della sentenza , presupponendo un’implicita valutazione dell’insussistenza dei presupposti per accedere alla misura sostitutiva).
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2024.