Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20922 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20922 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il 18/07/1995
avverso la sentenza del 26/06/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 26/6/2024 la Corte d’appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza emessa in data 19/12/2022 del Tribunale di Napoli, che aveva ritenuto NOME NOME responsabile del reato di cui all’articolo 349 cod. pen. condannandolo alla pena di mesi 9 di reclusione ed € 500,00 di multa, ritenuta la continuazione con i fatti già giudicati con sentenza del Tribunale di Napoli n. 594 . del 21/1/2021, determinò “l’aumento in continuazione” per i fatti in valutazione in mesi tre di reclusione ed € 300,00 di multa, con conferma nel resto.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione NOMECOGNOME a mezzo del difensore di fiducia, che, con il primo motivo, denuncia la violazione di legge
sostanziale e processuale nonché la “mancanza e illogicità della motivazione con riferimento alla partecipazione al delitto di cui articolo 349 cod. pen.”. Si deduce che: “il reato di violazione di sigilli ha natura istantanea e si perfeziona sia con materiale rimozione dei sigilli sia con qualunque condotta idonea a frustrare il vincolo di immodificabilità imposta sul bene”; il 12/1/2021 un altro soggetto era stato rinvenuto all’interno del locale intento a spacciare, l’uomo era stato arrestato ed erano stati apposti nuovamente i sigilli; il 20/1/2021, quando l’imputato era stato sorpreso all’interno del locale in sequestro, non vi erano tracce dei sigill apposti otto giorni prima. Tali dati, ad avviso della difesa, non consentono di ritenere che i sigilli fossero stati materialmente rimossi da NOME né che lo stesso fosse a conoscenza della loro nuova apposizione.
2.1 Il secondo motivo denuncia la violazione legge processuale lamentando, sembra di capire, l’aumento di pena inflitto e l’assenza di “qualsiasi indicazione relativa ai singoli reati avvinti nella ritenuta continuazione”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile giacché articolato in motivi generici, non confrontandosi con il percorso logico del provvedimento impugnato, o palesemente privi di fondamento.
La Corte territoriale ha sottolineato che: nel febbraio 2019 NOME era stato nominato custode del locale; il 12/1/2021, alle ore 15.35, NOME era stato nuovamente rinvenuto all’interno del locale ed era stato redatto un nuovo verbale di sequestro; il 15/1/2021 NOME era stato ancora sorpreso all’interno del seminterrato ed era stato redatto un nuovo verbale di sequestro a suo carico.
Nonostante tali dati, chiaramente indicativi della consapevolezza della esistenza del vincolo sul bene e della volontà di disporre comunque del locale al fine di adibirlo a sede dell’attività di spaccio cui l’imputato era dedito, il ric continua a sostiene che non vi è prova della “conoscenza del provvedimento dell’autorità” da parte dell’imputato, senza individuare illogicità o cesure ne processo inferenziale contestato.
La sentenza del Tribunale, richiamata dalla Corte territoriale, in punto di diritto, precisa che il reato de quo è integrato “da qualsiasi condotta idonea a rendere frustranea l’assicurazione della cosa e ad escludere il vincolo di immodificabilità che su di essa è apposto” con la conseguenza che “lo stato di flagranza …sussiste…con riferimento non solo al momento della materiale rottura dei sigilli ma anche in quello in cui il responsabile si sia introdotto o stia facen uso illegittimo della cosa”. Il risultato interpretativo fatto proprio dai giudi merito risulta conforme agli approdi della giurisprudenza di legittimità, essendo
stato più volte precisato che il reato di violazione dei sigilli, di cui all’art. 349 pen., ha carattere istantaneo e si perfeziona per il solo fatto della disobbedienza al divieto di infrangere la conservazione o la identità della res sotto sequestro, di conseguenza, compiuta la prima infrazione, il reato si reitera ogni qual volta si realizza una condotta contraria al precetto, in ulteriore violazione del persistente vincolo sulla “res” (Sez. 4, n. 4876 del 15/1/2016, COGNOME; Sez. 3, n. 3545 del 13/01/2016, Du., Rv. 266139 – 01; Sez. 3, n. 37398 del 7.7.2004, COGNOME, Rv. 230043; Sez. 3, n. 21405 del 17/04/2002, Massa, Rv. 221977 – 01).
Il ricorso, del risultato interpretativo cui pervengono i giudici di merito, d tutto in linea con la funzione del sigillo quale segno esteriore volto a manifestare l’esistenza del vincolo sulla cosa, si disinteressa continuando a sostenere che il reato è integrato dalla rimozione materiale dei sigilli, così pervenendo all’inaccettabile conclusione secondo cui coloro che si sono introdotti nei locali dopo la rimozione dei segni esteriori ma consapevoli del vincolo apposto sul bene non risponderebbero del delitto. Giova, quindi, ribadire che oggetto della tutela penale non è l’integrità dei sigilli in sé considerata ma la conservazione della cosa sottoposta a sequestro, della cui intangibilità i sigilli costituiscono il mezzo giuridi di garanzia, che viene frustrata anche mediante il semplice uso di essa (Sez. U, n. 5385 del 26/11/2009 (dep. 2010 ),COGNOME, Rv. 245584 – 01; Sez. 3, n. 6417 del 12/01/2007,COGNOME, Rv. 236178 – 01; Sez. 3, n. 2600 del 26/11/2003, dep. 2004, COGNOME, Rv. 227398 – 01. ).
Non maggiore specificità risulta avere il secondo motivo di impugnazione, che denuncia la violazione di legge processuale e sostanziale senza specificare quale sarebbero le norme violate.
Il corpo del motivo, poi, tra refusi che richiamano reati associativi e reati fine, sembra lamentare una carenza di motivazione in relazione all’aumento di pena applicato, censura, però, che non tiene conto di quanto esposto nella sentenza impugnata e dell’ entità della pena irrogata.
La sentenza della Corte d’appello, in relazione alla dosimetria, sottolinea la negativa personalità dell’imputato “emergente dai precedenti penali” e richiama i canoni di cui all’art. 133 cod. pen. L’aumento per la continuazione trova, quindi, valida spiegazione in quanto dalla Corte territoriale esposto per disattendere il motivo di gravame volto a ottenere la riduzione della pena.
La difesa ha richiamato, ancora, la decisione con la quale le Sezioni Unite hanno affermato che il giudice di merito ha l’onere di esprimere una specifica motivazione sull’aumento di pena per ciascuno dei reati satellite, precisando che il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all’entità degli stessi e deve essere tale da consentire di verificare che
sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i limiti previsti dall’art. 81 co che non si sia surrettiziamente operato un cumulo materiale di pene (Sez. U, n. 41127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269). Ribadendo un principio già espresso in precedenza dalla giurisprudenza di legittimità, le Sezioni Unite hanno osservato che, «qualora la pena coincida con il minimo edittale della fattispecie legale di reato o addirittura lo superi, l’obbligo motivazionale si fa pi stringente ed il giudice deve dare conto specificamente del criterio adottato, tanto più quando abbia determinato la pena base per il reato ritenuto più grave applicando il minimo edittale», dovendo essere tendenzialmente rispettato il criterio di proporzionalità reciproca nella determinazione delle pene per il reato più grave e per i reati satellite. Proprio sulla scorta di tale rilevante precisazione si di recente affermato che il giudice di merito, nel calcolare l’incremento sanzionatorio in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, non è tenuto a rendere una motivazione specifica e dettagliata qualora individui aumenti di esigua entità, essendo in tal caso escluso in radice ogni abuso del potere discrezionale conferito dall’art. 132 cod. pen. (Sez. 6, n. 44428 del 05/10/2022, COGNOME, Rv. 284005).
Venendo, quindi, al caso di specie, l’incremento di pena irrogato risulta molto al di sotto tanto del minimo edittale previsto dall’art. 349 cod. pen. che della media edittale dell’aumento previsto dall’art. 81 comma 2 cod. pen., elementi che consentono di ritenere sufficiente a escludere qualsivoglia vizio rilevabile in sede di legittimità i riferimenti ai “parametri delineati dall’art. 133 cod. pen.” e negativa personalità dell’imputato che si rinvengono al punto 2) della sentenza.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente obbligo per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, esercitando la facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell’inammissibilità stessa come sopra indicate.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle sp processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18/4/2025