Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 30225 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 30225 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/05/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da NOMECOGNOME nata a Palermo, il 18/06/1984
e
COGNOME NOMECOGNOME nata a Piana degli Albanesi, il 14/06/1960 avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo del 05/05/2022 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dalla consigliera NOME COGNOME lette le conclusioni rassegnate ex art. 23, comma 8, del decreto legge n. 137 del 2020, dal Procuratore generale, che ha invocato l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 5 maggio 2022 la Corte di appello di Palermo -in parziale riforma della sentenza resa il 21 settembre 2018, con cui il Tribunale di Palermo, in composizione monocratica, aveva dichiarato NOME e COGNOME NOME colpevoli dei reati di cui agli artt. 110 cod.pen. e 44 lett. b) dPR n. 380/2001 (capo a), e 110 e 349, comma 2, cod.pen. (capo b), e le aveva condannate, ciascuna, unificati gli addebiti sotto il vincolo della continuazione -più grave il reato di cui al capo b)-, riconosciute le attenuanti generiche valutate equivalenti alla contestata aggravante, alla pena di mesi sei di reclusione ed euro 600,00 di multa, già ridotta per il rito, oltre al pagamento delle spese processuali, ordinando la demolizione delle opere abusive realizzate e il ripristino dello stato dei luoghi a cura e spese delle imputate- ha dichiarato non doversi procedere nei confronti delle appellanti in ordine alla contravvenzione di cui al capo a), perché estinta per intervenuta prescrizione e, per l’effetto, ha ridotto la pena a loro inflitta a mesi cinque e giorni dieci reclusione ed euro 533,00 di multa; ha concesso a COGNOME e COGNOME il beríeficio della sospensione condizionale della pena, per anni cinque, alle condizioni di legge, subordinandolo nei confronti della COGNOME alla demolizione delle opere abusive; ha revocato l’ordine di demolizione di cui all’impugnata sentenza; ha confermato la sentenza nel resto.
Entrambe le imputate hanno proposto, a mezzo del difensore di fiducia, ricorso per l’annullamento della sentenza.
NOME ha proposto, a mezzo del difensore di fiducia avv. NOME COGNOME ricorso per l’annullamento della sentenza, affidato ad otto motivi.
2.1. Col primo motivo lamenta, ex art. 606, comma 1, lett b) ed e), cod.proc.pen., violazione di legge – art. 533, comma 1, cod.proc.pen.- e correlato vizio di motivazione, asseritamente assente, contraddittoria o manifestamente illogica, per avere la Corte territoriale, in violazione del principio del ragionevole dubbio, ignorato le risultanze processuali e in specie la documentazione prodotta dalla difesa, dapprima con i motivi aggiunti di appello, e, successivamente, nel corso del giudizio di secondo grado -sentenza n.2626/19 della Corte di appello di Palermo, ormai irrevocabile, che attesta la esclusiva responsabilità di COGNOME NOME per l’esecuzione dei lavori, abusivi, posti in essere al primo piano dell’edificio sito in Palermo, INDIRIZZO e verbale di intervento dei vigili del 20 febbraio 2015, attestante l’assenza della Scardina dai luoghi ove gli stessi constatarono la rimozione dei
sigilli e la ultimazione dei lavori da parte della COGNOME– ed affermato la concorsuale responsabilità di COGNOME (e COGNOME) solo in virtù del rapporto di parentela tra le due donne (la ricorrente nuora di COGNOME) e della vicinitas tra le unità abitative dalle stesse occupate (insistente, quella oggetto dei lavori abusivi, al piano superiore, e quella di COGNOME al piano terra del medesimo immobile), nel mentre le opere abusive avevano interessato il retro della palazzina ed erano state effettuate, quindi, in una porzione dello stesso non visibile dal prospetto ove si trova l’accesso dell’abitazione della ricorrente.
Ciò in spregio delle allegazioni difensive sulle circostanze per cui, essendo la ricorrente impegnata lavorativamente altrove, era rimasta ignara dei lavori; avendo la ricorrente una propria autonoma sistemazione abitativa non aveva interesse alcuno alla ultimazione dei lavori al piano superiore; avendo la ricorrente interesse -anche per questioni inerenti alla propria attività lavorativa- a mantenere ‘pulita’ la propria fedina penale, mai avrebbe acconsentito a farsi coinvolgere in un procedimento penale.
2.2. Col secondo motivo denuncia, ex art. 606, comma 1, lett b), cod.proc.pen., inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale -artt. 42 cod. pen. e 27 Cost.- per avere la Corte territoriale imputato, in via automatica e oggettiva, la responsabilità penale per i reati di cui ai capi a) e b), commessi da altro soggetto (COGNOME) alla ricorrente COGNOME solo in ragione della qualifica di custode (in quanto nominata tale in sede di primo accesso .e sequestro dei vigili), ed in assenza di prova del dolo in capo alla ricorrente.
L’affermazione di responsabilità in ordine al reato di cui all’art. 349, comma 2, cod.pen. -assume la difesa- postula addirittura in capo al proprietario dell’immobile la disponibilità dello stesso e che egli abbia dato l’incarico dei lavori o li abbia eseguiti personalmente. Le medesime limitazioni devono, a fortiori, valere per il custode.
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La ricorrente COGNOME non era presente al momento del sopralluogo effettuato dalla polizia locale quando venne accertata la prosecuzione e ultimazione dei lavori nonostante il vincolo reale cui già la porzione di immobile era stata sottoposta; non è pacificamente autrice, né committente degli stessi. Farebbe difetto, pertanto, anche l’elemento psicologico dell’illecito, non provato, laddove doveva essere oggetto di specifico accertamento e la pubblica accusa avrebbe dovuto allegarne prova.
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2.3. Col terzo motivo denuncia, ex art. 606, comma 1, lett b), cod.proc.pen., inosservanza ed erronea applicazione della legge penale -art. 530 cod.proc.pen.- per mancanza e/o insufficienza della prova che la ricorrente lo abbia commesso.
La Corte di appello non avrebbe, secondo prospettazione difensiva, valutato in modo corretto le risultanze delle prove della totale estraneità dell’imputata ai fatti contestatile in entrambi i capi di imputazione, acquisite, su impulso della difesa, nel corso dell’istruttoria dibattimentale: certificato storico di residenz della ricorrente (che attesta la sua residenza, mai mutata, al solo piano terra dell’immobile); verbale dei vigili urbani (che attesta la presenza in loco della sola Cuccia al moMento del loro accesso); visura catastale (che attesta la separatezza delle due unità abitative); e in difetto di prova del coinvolgimento materiale o morale nella prosecuzione degli interventi abusivi.
2.4. Col quarto motivo denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen., insufficienza o contraddittorietà della motivazione circa mancanza e/o insufficienza della prova che l’imputata abbia commesso i fatti imputatile. Censura la difesa con il motivo in esame il vizio di motivazione correlato alla violazione di legge contestata col motivo terzo, ed adduce, a sostegno delle proprie argomentazioni, una sentenza di questa Sezione, (Sez. 3, n. 15760 del 2020), che in un caso analogo, avrebbe valorizzato la circostanza che la ricorrente abitasse in un luogo diverso da quello in cui furono eseguiti i lavori. 2.5. Col quinto motivo denuncia, ex art. 606, comma 1, lett b), cod.proc.pen., inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale -art. 603, comma 1, cod.proc. pen.- per non avere la Corte di appello di Palermo ammesso la prova, decisiva, per testi, col sig. COGNOME e attraverso l’invocata perizia, sullo stato luoghi, asseritamente necessaria a dimostrare la inconsapevolezza da parte della ricorrente circa la prosecuzione dei lavori; istanza rigettata dalla Corte di appello territoriale ritenendo erroneamente non ammissibili prove nuove da innestarsi sulla piattaforma ‘probatoria’ utilizzabile in ragione dell’ammesso rito abbreviato (laddove non solo nessuna preclusione strutturale alla rinnovazione sussiste per il caso descritto, ma questa Corte Suprema, con le sentenze a Sezioni Unite Dasgupta (28 aprile 2016) e Patalano (10 gennaio 2017) la ha ammessa, addirittura, di ufficio). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.6. Col sesto motivo denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. b) cod.proc.pen’ inosservanza ed erronea applicazione della legge penale -artt. 40, 42 cod.pen. e 349, comma 2, cod.pen.- non sussistendo alcun obbligo giuridico di impedire l’evento a carico del custode e non essendo stata fornita la prova del dolo necessario per la configurazione del reato in capo a NOME
Rammenta la difesa che ai fini della configurazione del reato di violazione di sigilli di cui all’art. 349, comma 2, cod.pen., la prova del dolo, che differenzia tale GLYPH ipotesi GLYPH delittuosa GLYPH dalla GLYPH agevolazione GLYPH colposa GLYPH sanzionata amministrativamente dall’art. 350 cod.pen., deve essere fornita dalla pubblica accusa e non può essere desunta dalla negligenza e trascuratezza del custode;
tuttavia è onere di quest’ultimo addurre gli elementi specifici che gli hanno impedito di attivarsi, qualora risulti accertato che egli, benché direttamente a conoscenza della effrazione dei sigilli, abbia omesso di avvertire dell’accaduto le autorità (Sez 3, n. 7371 del 16 febbraio 2017).
Da un lato, nessuna prova ha fornito al proposito la pubblica accusa nel caso di specie, dall’altro la Corte di appello avrebbe disconosciuto le risultanze offerte, in senso contrario, dalla difesa (le allegazioni sono quelle indicate al g 2.3.).
In ogni caso, poiché unica ragione dell’addebito è la qualifica di custode, sottolinea la difesa come nessun obbligo giuridico di impedire l’evento incombesse sulla ricorrente; la prova della sua coscienza e volontà, anche in termini di tolleranza della illecita prosecuzione dei lavori da parte della suocera, non è emersa in alcun modo.
2.7. Col settimo motivo denuncia, ex art. 606, comma 1, lett e) cod,.proc.pen. mancanza della motivazione, a fronte del mero rinvio da parte della Corte di appello, per relationem, alle ragioni della condanna disposta dal Tribunale, rinvio operato in difetto dei requisiti sanciti da questa Corte, con sentenza del 20 gennaio 2017, n. 1543.
2.8. Con l’ottavo motivo, in estremo subordine, denuncia, ex art. 606, comma 1, lett b), cod.proc.pen., inosservanza o erronea applicazione di legge -art. 157 cod. pen.- .
Entrambi i delitti sono contestati come commessi il 6 febbraio 2015. La Corte ha ritenuto prescritta la contravvenzione. Nonostante ciò non è stata dichiarata la prescrizione in relazione al reato di cui al capo b).
COGNOME ha proposto, a mezzo del difensore di fiducia avv. NOME COGNOME tempestivo ricorso per l’annullamento della sentenza, affidato a tre motivi.
3.1. Col primo motivo denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. b) e e) cod.proc.pen., inosservanza e/o erronea applicazione di legge penale -546 cod,proc.pen., e correlato vizio di motivazione, asseritamente mancante, contraddittoria o manifestamente illogica, mancando l’apparato motivazionale della sentenza dei necessari passaggi e delle argomentazioni indispensabili al fine di render l’intero iter logico seguito comprensibile, verificabile e completo. Coi motivi di appello COGNOME aveva dedotto la propria ignoranza circa il vincolo cautelare apposto sull’immobile, come comprovato dalla sua nomina, quale custode, solo in occasione del secondo sopralluogo – il 6 febbraio 2015- quando l’immobile risultava già completato e la stessa veniva nominata custode.
In materia edilizia la responsabilità del proprietario o comproprietario non può essere affermata senza identificare, in merito alla specifica condotta di fatto, il
comportamento, positivo o negativo, posto in essere dal soggetto medesimo che possa essere assunto a elemento integrativo della colpa.
Nulla, invero, la sentenza avrebbe dedotto con riferimento alle specificamente svolte doglianze difensive.
3.2. Col secondo motivo denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. b) cod.proc.pen. inosservanza o erronea applicazione della legge penale – art. 157 cod.pen.-.
Il delitto è contestato come commesso il 6 febbraio 2015.
Non esistono atti interruttivi.
Nonostante ciò la prescrizione, dichiarata in relazione al capo a), non è stata dichiarata anche in relazione al reato di cui al capo b), pur dovendosi l’opera ritenere ultimata all’epoca del sopralluogo.
Rammenta la difesa che, secondo giurisprudenza costante in tema di prescrizione, quando vi sia incertezza circa il tempus commissi delicti, il termine di decorrenza va computato secondo il maggior vantaggio per l’imputato, atteso che il principio in dubio pro reo trova applicazione anche con riferimento alle cause estintive del reato.
Ne consegue che il termine di prescrizione doveva intendersi spirato al momento della pronuncia in sede di appello.
3.3. Col terzo motivo denuncia, ex art. 606, comma 1, lett b), cod.proc.pen., inosservanza o erronea applicazione di legge penale in relazione all’ordine di demolizione.
Il provvedimento impugnato merita censura, e conseguentemente va annullato per mancanza e manifesta illogicità della motivazione, carente laddove la Corte ha subordinato il beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione delle opere abusive.
Rammenta la difesa il dictum di Sez. 3, 2 dicembre 2010, n. 756/2011; 2 febbraio 2006, COGNOME; e, ancora, di Sez. 3, 30 novembre 2006, Muggianu; 18 ottobre 2005, Aprea, in Riv. Giur. Edilizia 2006, I, 1083; 12 dicembre 2003, Calabria, 11 luglio 2000, Naturali; 6 ottobre 2000, Bufulco; 9 dicembre 1999, Gammino). E, per il caso di archiviazione per prescrizione del reato edilizio, Sez. 3, n. 45428/16.
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Errata, dunque, sarebbe la conclusione cui perviene la Corte territoriale nel subordinare la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione delle opere abusive stante la coeva declaratoria di prescrizione del reato edilizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La sentenza deve essere annullata perché il reato per cui è residuata condanna di cui all’art. 349, comma 2, cod.pen.- è, anch’esso, estinto per prescrizione.
Giova una breve sintesi degli accadimenti procedimentali.
1.1. La condanna, duplice, pronunciata dal Tribunale di Palermo, con sentenza del 21 settembre del 2018, all’esito del giudizio abbreviato, valorizzava le risultanze: -del verbale del 16 giugno 2014, redatto a cura degli Agenti del Comando di Polizia Municipale di Palermo, Nucleo Urbanistica ed Edilizia, all’esito di sopralluogo presso il lotto di terreno – in atti meglio indicato- di proprietà di Cuccia, ove era in cor la realizzazione di un immobile a due piani (piano terra, ultimato ed abitato da Scifo NOME, figlio di COGNOME, e piano primo, tramezzato, pavimentato, intonacato, ma privo di sanitari e di infissi, esterni ed interni) con copertura piana di mq. 140 circa, immobile che veniva sottoposto a sequestro, con contestuale nomina, quale custode, di COGNOME, moglie di COGNOME;
-del verbale del successivo 6 febbraio 2015, quando, in corso di nuovo sopralluogo, i medesimi agenti constatavano l’intervenuta rimozione dei sigilli e l’ultimazione dell’appartamento posto al piano primo, a quel momento abitato dalla proprietaria, COGNOME ne seguiva la ri-apposizione dei sigilli e la nomina, quale custode, della proprietaria ed utilizzatrice dell’immobile, COGNOME
1.2. La Corte di appello, previa rinnovazione parziale dell’istruttoria -con acquisizione della documentazione tutta prodotta dalla difesa-, rigettata -invecela «sollecitazione all’esercizio del potere di ufficio di disporre la rinnovazione pe l’esame del teste COGNOME Luigi in quanto il chiesto esame non risulta assolutamente necessario ai fini della decisione alla stregua degli elementi già in atti», ha:
-dichiarato la prescrizione del reato edilizio, in assenza di cause valorizzabili ex art. 129 cod.proc.pen., facendone decorrere, correttamente, la decorrenza dal momento di consumazione che, in tema di reati edilizi, deve individuarsi nella data in cui l’edificio deve ritenersi “ultimato”, tale essendo l’edificio concretamente funzionale che possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità, coincidend l’ultimazione con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni, quali intonaci, gli infissi e le parti annesse all’abitazione, come i locali destinati a garag o magazzino (cfr. ex multis, Sez. 3, n. 46215 del 03/07/2018 Ud. (dep. 12/10/2018 ) Rv. 274201 – 01); ritenuta, infatti, la data di consumazione al 6 febbraio 2015, il termine di prescrizione, pari ad anni cinque, tenuto conto del periodo di sospensione ex art. 159 cod.pen. per complessivi 190 giorni (82+66+42), è stato correttamente individuato al 17 luglio 2020, di gran lunga antecedente la decisione in appello; ha revocato, conseguentemente, l’ordine di demolizione;
-confermato la condanna per il reato di cui all’art. 349, comma 2, cod.pen., ad entrambe le odierne ricorrenti in concorso contestato, ritenuta la ricorrenza degli elementi, oggettivo e soggettivo del reato, così in capo a COGNOME (cfr. pag 7 della sentenza impugnata) come in capo a COGNOME (cfr. pag 8 della sentenza impugnata), superando le contrarie allegazioni e richieste difensive, negando il riconoscimento delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, e riducendo la pena irrogata mercè la semplice materiale elisione dell’aumento per continuazione come disposta in primo grado in ragione della condanna per il reato edilizio; subordinato la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, di cui entrambe le imputate sono state ritenute meritevoli, per la sola COGNOME, alla demolizione delle opere, vendo la stessa già fruito del beneficio medesimo.
2. Contesta la difesa di COGNOME col primo motivo, la violazione dell’art. 533 cod.proc.pen., censurando la sentenza della Corte di appello palermitana per l’asserita omessa valutazione di pretese decisive risultanze probatorie, quelle introdotte in giudizio mercè la richiesta rinnovazione dell’istruttoria dibattimental -ammessa solo in parte quacon le acquisizioni documentali (sentenza con cui COGNOME è stata giudicata irrevocabilmente colpevole per le violazioni edilizie contestate nel corso del sopralluogo del 16 giugno 2014 e documentazione ulteriore, consistente in visure catastali, certificato storico di residenza del COGNOME, verbali di sopralluogo e di intervento dei Vigili Urbani del febbraio 2015, questi ultimi due, peraltro, già in atti, come indicati nella sentenza impugnata, a pag 4) secondo prospettazione difensiva tali da comprovare la mancanza degli elementi oggettivo e soggettivo del reato imputatole.
Il motivo può essere trattato congiuntamente al secondo (con il quale la difesa lamenta che la affermazione di responsabilità sarebbe sorretta, esclusivamente, dalla ricorrenza della qualifica di custode, senza il dovuto approfondimento circa la prova del dolo del reato, non avendo concorso COGNOME né ad eseguire né a commissionare i lavori di completamento dell’immobile abusivo), terzo e quarto (con i quali la difesa lamenta il misconoscimento delle argomentazioni e prove offerte dalla difesa sotto il profilo della denunciata violazione di legge e del vizi di motivazione), sesto (con il quale, ancora a proposito dell’elemento soggettivo del reato, contesta essere stata raggiunta la prova della coscienza e volontà dell’evento in capo alla ricorrente), e settimo (col quale denuncia vizio di motivazione per essere stata la motivazione asseritamente resa solo per relationem a quella del Tribunale), e al primo motivo di ricorso nell’interesse di COGNOME (con il quale si contesta inosservanza ed erronea applicazione di legge, e vizio di motivazione, sulla sussistenza, in particolare, del dolo del reato di violazione di sigilli in capo alla proprietaria).
2.1. Rileva il Collegio che il reato per cui COGNOME, in qualità di custode, e COGNOME, in qualità di proprietaria dell’immobile sotto sequestro, hanno riportato (la residua) condanna è quello, loro imputato in concorso, di cui all’art. 349, comma 2, cod. pen., che punisce chi aveva in custodia la cosa (COGNOME era stata nominata custode il 16 giugno 2014) per la violazione di sigilli (apposti in forza del vincol reale sull’immobile abusivamente in corso di completamento).
2.2. Il delitto di che trattasi si perfeziona, dal punto di vista oggettivo, con qualsi condotta idonea a eludere l’obbligo di immodificabilità del bene (ciò anche in assenza di sigilli o segni esteriori dell’avvenuto sequestro, sempre che l’autore del fatto sia stato comunque edotto del vincolo posto sul bene, Sez. 6, n. 13087 del 18/02/2025 Ud. (dep. 03/04/2025 ) Rv. 287930 – 01, relativa a fattispecie in cui l’imputato era stato nominato custode del bene sottoposto a sequestro).
E’ stato, peraltro, condivisibilmente affermato (da Sez. 3, n. 45586 del 14/11/2024 Ud. (dep. 11/12/2024) Rv. 287225 – 01) che integra il delitto de quo, aggravato dalla qualifica soggettiva dell’agente di cui all’art. 349, comma secondo, cod. pen., anche la condotta del custode giudiziario di un bene in sequestro cui siano apposti i sigilli che, inosservante del proprio dovere giuridico di impedire l’evento, omette di avvisare tempestivamente l’Autorità giudiziaria della loro violazione ad opera di terzi.
Si tratta di affermazione resa ai fini di distinguere il delitto di che trattasi da qu di cui all’art. 350 cod.pen, di agevolazione colposa e/o da quello di omessa denuncia, previsto dall’art. 361 cod. pen..
Ha ritenuto, infatti, questa Corte (Sez.3, n. 45586 del 14/11/2024 Ud. (dep. 11/12/2024) Rv. 287225 – 01), partendo dall’assunto della natura necessariamente dolosa del reato di cui all’art. 349 cod.pen., di ripudiare qualsivoglia forma di responsabilità “oggettiva” in capo al custode (esito di un primo orientamento, secondo cui il custode giudiziario, per la sua qualità di soggetto destinatario di uno specifico obbligo di vigilanza sulla cosa affinché ne venga assicurata o conservata l’integrità risponde della violazione di sigilli a meno che non dimostri che si verte in ipotesi di caso fortuito o di forza maggiore) e, nel solco di altro orientamento, più restrittivo (secondo cui ai fini della configurazione del reato di violazione di sigilli previsto dall’art. 349, secondo comma, cod. pen. in capo a colui che ha in custodia la cosa, la prova della sussistenza del dolo, che differenzia tale ipotesi delittuosa dall’agevolazione colposa sanzionata amministrativamente dall’art. 350 cod. pen., deve essere fornita dalla pubblica accusa e non può essere desunta dalla negligenza e trascuratezza del custode, essendo onere di quest’ultimo addurre gli elementi specifici che gli hanno impedito di attivarsi, qualora risulti accertato che egli, benché direttamente a conoscenza
della effrazione dei sigilli, abbia omesso di avvertire dell’accaduto l’autorità, sicch è insufficiente per la prova della sussistenza del dolo il mero ricorso a formule che, a fronte di un addebito formalmente doloso, dissimulino un rimprovero per un atteggiamento sostanzialmente colposo), di affermare «da un lato l’impossibilità di prevedere qualsivoglia forma di responsabilità «oggettiva» in capo al custode, ovvero di addebitare allo stesso qualsiasi responsabilità «per colpa», dall’altro di evidenziare la necessità di non frustrare di fatto la ratio dell’istituto, consentendo al custode – attraverso una interpretazione «a maglie larghe» della norma incriminatrice – di porre in essere condotte totalmente negligenti ed omissive che, in ultima analisi, sterilizzerebbero la portata della norma. Si è, dunque, affermato <Un proposito deve essere evidenziato come la nomina del custode, che assume la qualifica di pubblico ufficiale (Sez. 6, n. 9964 del 17/04/1985, COGNOME, Rv. 170885 – 01), pone in capo allo stesso un dovere giuridico di impedire che il fatto si verifichi: in altre parole, una posizione garanzia, che, tuttavia, è tipico paradigma di attribuzione della responsabilità nei reati omissivi colposi. Il Collegio ritiene che, per evitare «tensioni» del sistema d imputazione della responsabilità, occorre considerare il rapporto di protezione che la legge impone tra il custode e la res come un «obbligo di attivazione», il quale si articola in modo «bidirezionale»: prima che il reato venga compiuto, mediante la previsione di un obbligo di porre in essere concrete attività volte ad evitare che altri violino i sigilli (attraverso, a mero titolo esemplificativo, la predisposizio sistemi di sorveglianza o dissuasione); post crimen patratum, mediante la previsione di un obbligo di avvisare tempestivamente l'autorità giudiziaria, ove la violazione dei sigilli sia stata posta in essere da terzi. La violazione di tali obbli potrà, ove ne ricorrano nel caso concreto tutti gli elementi enucleati dalla giurisprudenza, essere imputata anche a titolo di dolo eventuale, posto che il delitto in parola è punito a titolo di dolo generico (Sez. 3, n. 27134 del 08/04/2015, COGNOME, Rv. 264305 – 01; Sez. 3, n. 21918 del 07/03/2008, COGNOME, Rv. 240033 – 01). Conclusivamente, il Collegio ritiene che, a fronte della violazione di tali obblighi e dell'onere probatorio assolto dalla pubblica accusa, anche sulla base di presunzioni o massime di esperienza, incombe sul custode dedurre, sulla base di concreti ed oggettivi elementi fattuali, l'assenza di profili di macroscopica inazione, tale da ricondurre la condotta (omissiva) nell'alveo del dolo eventuale, poiché è l'imputato che, in considerazione del principio della c.d. «vicinanza della prova», può acquisire o quanto meno fornire, tramite l'allegazione, tutti gli elementi per provare il fondamento della tesi difensiva (Sez. 2, n. 3883 del 19/11/2019, dep. 2020, Pomilio, Rv. 278679 – 03; Sez. 2, n. 6734 del 30/01/2020, Bruzzese, Rv. 278373 – 01)». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.3. A siffatto ultimo orientamento, condividendolo, il Collegio ritiene di-aderire.
Osserva, dunque, che nel caso in esame la sentenza della Corte di appello -ferma la ricorrenza dell'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 349 cod.pen., attestato dalla certa constatazione della ultimazione dei lavori dopo la prima apposizione dei sigilli coeva al primo sopralluogo e sequestro, del 17 giugno 2014, e neppure dalla difesa contestato- ha precisato, nell'ordine, che le due unità sono parte di un unico immobile, e ha ritenuto l'infondatezza del motivo di appello circa l'ignoranza dell'attività abusiva ulteriore, successiva a sequestro ed apposizione di sigilli, perché NOME era perfettamente consapevole dell'esistenza del vincolo per essere stata presente in loco al momento del primo accesso degli operanti, quando è stata da costoro constatata la realtà del cantiere in atto; le circostanze dell'essere stata la ricorrente nominata custode, essere stata diffidata dal proseguire i lavori, essere stata resa edotta degli obblighi derivanti dalla nomina a custode giudiziario mercè consegna di copia del verbale, nonché dell'essere ella residente, unitamente al marito, COGNOME NOME, figlio della coimputata COGNOME, nell'immobile insistente al piano terra dell'unico stabile (cfr. sentenza del Tribunale di Palermo, pag. 3), sono state correttamente ritenute dalla Corte territoriale tali da escludere che l'odierna ricorrente potesse essere stata ignara dell'attività ulteriore (rispetto al sequestro), posta in essere previa rimozione dei sigilli (apposti contestualmente allo stesso sequestro), tanto più che i lavori di completamento comprendevano, anche, la realizzazione di una scala che dal piano terra conduceva al piano primo dello stabile.
Specularmente, la qualità di COGNOME, proprietaria dell'immobile, dichiarata irrevocabilmente responsabile delle violazioni del T.U. Edilizia per l'attività abusiva constatata fino al 2014, e, dunque, necessariamente consapevole della illegittimità della realizzazione delle opere originarie, insieme con il rapporto di affinità con COGNOME, custode, e il constatato completamento dell'unità al piano superiore, arredato ed abitato proprio dalla ricorrente, sono state ritenute prove inequivocabili della sussistenza degli elementi, oggettivo e soggettivo, del reato contestatole.
2.4. Si tratta di motivazione a fronte della quale le difese di COGNOME e di COGNOME nel lamentare la mancanza di prova degli elementi oggettivo e soggettivo del reato contestato, e la correlativa mancanza di motivazione, non confrontandosi con la motivazione resa dal Tribunale e dalla Corte di appello, reiterano questioni già poste nei gradi di merito, tutte puntualmente analizzate e superate, risultando, per ciò, intanto generiche estrinsecamente oltre che intrinsecamente. Le Sezioni Unite della Corte (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822 – 01; conformi, ex multis, Sez. 2, n. 51531 del 19/11/2019, Greco, Rv. 277811.01; Sez. 3, n. 12727 del 21/02/2019, COGNOME, Rv. 275841 – 01) hanno precisato che i motivi di impugnazione (sia in appello che in cassazione) sono affetti da
genericità «estrinseca» quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell'impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato), posto che l'atto di impugnazione «non può ignorare le ragioni del provvedimento censurato» (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425), e da genericità «intrinseca» quando risultano intrinsecamente indeterminati, risolvendosi sostanzialmente in formule di stile, come nel caso di appelli fondati su considerazioni generiche o astratte, o comunque non pertinenti al caso concreto (ex multis, Sez. 6, n. 3721 del 2016 e Sez. 1, n. 12066 del 05/10/1992, Makram), ovvero su generiche doglianze concernenti l'entità della pena a fronte di sanzioni sostanzialmente coincidenti con il minimo edittale (ex multis, Sez. 6, n. 18746 del 21/01/2014, COGNOME, Rv. 261094).
2.5. In ogni caso i motivi sono inammissibili perché non è consentito in questa sede dedurre la violazione dell'art. 192 c.p.p., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), stesso codice, per censurare l'omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili (nel che le censure difensive tutte fin qui esaminate si traducono), in quanto i limiti all'ammissibilit delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell'inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (Sez. U, Sentenza n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027). Difatti la deduzione del vizio di violazione di legge, in relazione all'asserito malgoverno delle regole di valutazione della prova contenute nell'art. 192 c.p.p. ovvero della regola di giudizio di cui all'art. 533 dello stesso codice, non è permessa non essendo l'inosservanza delle suddette disposizioni prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibili o decadenza, come richiesto dall'art. 606 lett. c) c.p.p. ai fini della deducibilit della violazione di legge processuale (ex multis Sez. 3, n. 44901 del 17 ottobre 2012, F., Rv. 253567; Sez. 3, n. 24574 del 12/03/2015, COGNOME e altri, Rv. 264174; Sez. 1, n. 42207/17 del 20 ottobre 2016, COGNOME e altro, Rv. 271294; Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191; Sez. U, Sentenza n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027). Né vale in senso contrario la qualificazione del vizio dedotto operata dal ricorrente come error in iudicando in iure ai sensi della lett. b) dell'art. 606 c.p.p., posto che tale disposizione, per consolidat insegnamento di questa Corte, riguarda solo l'errata applicazione della legge sostanziale, pena, altrimenti, l'aggiramento del limite (posto dalla citata lett. c dello stesso articolo) della denunciabilità della violazione di norme processuali solo nel caso in cui ciò determini una invalidità (ex multis Sez. 3, n. 8962 del 3 luglio
1997, COGNOME, Rv. 208446; Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016, P.M. in proc. COGNOME e altri, Rv. 268404).
2.6. Il percorso logico giuridico sopra riproposto (cfr. § 2.3), esplicitato c argomentazioni piane e scorrevoli, aderenti alla piattaforma probatoria disponibile, corrette ed esaustive in diritto, prive di cedimenti logici, si sottrae a qualsivogl censura, così in tema di motivazione come di violazione di legge, non essendo revocabile in dubbio l'affermazione della esistenza, in particolare, dell'elemento soggettivo in capo ad entrambe le ricorrenti, non eliso dalle argomentazioni difensive.
Ne consegue la infondatezza dei motivi tutti fin qui esaminati.
Né tali decisione e motivazione, possono ritenersi inficiate dalla mancata ottemperanza del Collegio di appello alla sollecitazione difensiva alla rinnovazione dibattimentale.
Il quinto motivo di ricorso della difesa COGNOME (al proposito svolto) è infondato. 3.1. Si rileva, innanzi tutto, che a fronte della auspicata ampia rinnovazione istruttoria (COGNOME aveva richiesto integrazione documentale, nonché ammissione della prova per testi e con perizia, come già indicate: cfr. §2.5. del Ritenuto in Fatto), la Corte di appello ha ammesso le produzioni documentali tutte, ed ha rigettato le ulteriori (rectius ha accolto la sola sollecitazione difensiva ad acquisire le prime, cfr. pag. 4 della sentenza impugnata), sulla scorta non della 'denunciata' erronea preclusione derivante dal rito prescelto -abbreviato-, bensì ritenendole non assolutamente necessarie ai fini della decisione alla stregua degli elementi già in atti.
3.2. Si ribadisce che la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello ha carattere eccezionale ed è possibile soltanto nei casi stabiliti dall'art. 603 c.p.p La ratio di questa impostazione si ritrova nel fatto che il legislatore riconosce al processo di appello un carattere di "controllo", presumendo la completezza dell'acquisizione delle prove nel giudizio di primo grado.
L'art. 603 c.p.p. stabilisce, espressamente, le ipotesi in cui è possibile procedere alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello: al comma 1, per il caso in cui una parte, nell'atto di appello o nei motivi nuovi abbia chiesto la riassunzione di prove già acquisite in primo grado o l'assunzione di nuove prove (le "prove nuove" sono quelle prove preesistenti o concomitanti già conosciute nel giudizio di primo grado, ma non acquisite); in tale ipotesi, il giudice può decidere se disporre la rinnovazione, valutando se egli sia o meno in grado di decidere allo stato degli atti; il potere discrezionale del giudice in esame (se disporre o meno la rinnovazione) non è sindacabile in sede di legittimità, tranne che sotto il profilo motivazionale, qualora non abbia adeguatamente motivato la propria decisione;
al comma 2, per il caso in cui una parte chieda l'acquisizione di prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado; in tal caso, il giudice deve disporre la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, nei limiti stabiliti dal comma 1 dell'a 495 del c.p.p., cioè, secondo i criteri previsti per l'ammissione dei mezzi di prova in primo grado, alla stregua dell'art. 190 del c.p.p; al comma 3, per il caso di rinnovazione d'ufficio dal giudice, qualora egli la ritenga assolutamente necessaria, ai fini dell'accertamento del fatto (locuzione il cui significato, in realtà, no discosta molto da quello di "non poter decidere allo stato degli atti" di cui al comma 1).
Si è affermato che l'istituto della rinnovazione dibattimentale di cui all'articolo 60 cod. proc. pen. costituisce un'eccezione alla presunzione di completezza dell'istruzione dibattimentale di primo grado dipendente dal principio di oralità del giudizio di appello, cosicché si ritiene che ad esso possa farsi ricorso, su richiesta di parte o d'ufficio, solamente quando il giudice lo ritenga indispensabile ai fini del decidere, non potendolo fare allo stato degli atti (v. Sez. 2, n. 41808 del 27/9/2013, COGNOME, Rv. 256968 ed altre prec. conf., nonché Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015 (dep. 2016), COGNOME, Rv. 26682001) sussistendo tale evenienza unicamente quando i dati probatori già acquisiti siano incerti, nonché quando l'incombente richiesto sia decisivo, nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali incertezze ovvero sia di per sé oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza (Sez. 6, n. 20095 del 26/2/2013, Ferrara, Rv. 256228). Si è ulteriormente osservato che, per il carattere eccezionale dell'istituto, è richiesta una motivazione specifica solo nel caso in cui il giudice disponga la rinnovazione, poiché in tal caso deve rendere conto del corretto uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non poter decidere allo stato degli atti, mentre in caso di rigetto è ammessa anche una motivazione implicita ; ricavabile dalla stessa struttura argomentativa posta a sostegno della pronuncia di merito nella quale sia evidenziata la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in senso positivo o negativo sulla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento (Sez. 6, n. 11907 del 13/12/2013 (dep. 2014), COGNOME, Rv. 259893; Sez. 3, n. 24294 del 7/4/2010, D., Rv. 247872; Sez. 5, n. 15320 del 10/12/2009, COGNOME, Rv. 246859; Sez. 4, n. 47095 del 2/12/2009, Sergio, Rv. 245996). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Per tali ragioni si è anche ritenuto che il giudice di legittimità può sindacare l correttezza della motivazione sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento entro l'ambito del contenuto esplicativo del provvedimento adottato e non anche sulla concreta rilevanza dell'atto o della testimonianza da acquisire (Sez. IV n. 470959 cit.; Sez. 4, n. 37624 del 19/9/2007, COGNOME, Rv. 237689; Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, (dep. 1996), COGNOME, Rv. 203764).
Ai fini della rinnovazione del dibattimento in appello, il giudice deve valutare l'indispensabilità della prova richiesta dalla parte, avendo riguardo – con riferimento alla testimonianza – alla sua decisività e non alla sua verosimiglianza, che implica un giudizio di fatto che non può essere formulato "a priori", ma solo dopo l'espletamento della prova, sulla base del confronto con tutti gli elementi di valutazione dell'attendibilità dei testi (Sez. 3, n. 42006 del 27/9/2012, M., Rv. 253604).
Mentre, per giurisprudenza costante di legittimità, "nel giudizio di appello la rinnovazione di una perizia può essere disposta solo se il giudice ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti, ed il rigetto della relativa richies se logicamente e congruamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità, trattandosi di un giudizio di fatto." – Sez. 2, n. 34900 del 07/05/2013, S., Rv. 257086 -.
3.3. Nel caso di specie la difesa -si ribadisce- ha sollecitato l'acquisizione di prove nuove, già note al momento del giudizio di primo grado, ma non acquisite agli atti (per quanto risulta dalla sentenza di primo grado è stato richiesto, ed ammesso il rito abbreviato cd. "secco", né sono state formulate, poi, richieste di integrazione alcuna della piattaforma probatoria disponibile), prove rispetto alle quali la discrezionalità giudiziale attiene al vaglio della possibilità di decidere, o meno, all stato degli atti, con potere, processuale, sindacabile in sede di legittimità solo in difetto di adeguata motivazione.
3.4. Quanto alla rinnovazione istruttoria invocata nel procedimento di appello a seguito di giudizio abbreviato occorre premettere che, secondo l'ampiamente consolidato orientamento della giurisprudenza, nel giudizio abbreviato d'appello le parti sono titolari di una mera facoltà di sollecitazione del potere di integrazione istruttoria, esercitabile dal giudice ex officio nei limiti della assoluta necessità ai sensi dell'art. 603, comma 3, cod. proc. pen., atteso che in sede di appello non può riconoscersi alle parti la titolarità di un diritto alla raccolta della prov termini diversi e più ampi rispetto a quelli che incidono su tale facoltà nel giudizi di primo grado (cfr., tra le tantissime, Sez. 2, n. 5629 del 20/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282585-01, e Sez. 6, n. 51901 del 19/09/2019, COGNOME, Rv. 278061-01).
Di conseguenza, con il ricorso per cassazione può essere censurata la mancata assunzione in appello, in sede di giudizio abbreviato non condizionato, di prove richieste dalle parti solo qualora si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (cfr., per tutte, Sez. 2, n. 48630
del 15/09/2015, COGNOME, Rv. 265323-01, nonché Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014, dep. 2015, PR., Rv. 261799-01, nonché ancora Sez. 6, n. 1256 del 28/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258236-01).
3.5. Nel rammentare, dunque, quanto osservato dalla Corte di appello a proposito della coerente valutazione di sussistenza degli elementi, oggettivi o soggettivi, del reato per cui è stata pronunciata condanna, deve, solo, rilevarsi come l'affermazione della non assoluta necessarietà ai fini della decisione della testimonianza di COGNOME rispettivamente marito e figlio delle imputate odierne ricorrenti, e della perizia, vertente, come la testimonianza, sullo stato dei luoghi, quali prove 'nuove', si connota come corretta ed esaustiva, tanto più ove correlata alla motivazione nelle sue poliedriche sfaccettature anche fattuali, da cui si desume la non decisività delle prove suddette in quanto inefficaci a disarticolare il solido percorso logico giuridico già riveniente dalle risultanze probatorie disponibili.
Il reato è, tuttavia, ad oggi prescritto.
Il reato è stato commesso il 6 febbraio 2015.
In assenza di cause interruttive della prescrizione, preso atto della sospensione dei termini per complessivi 190 giorni la stessa è, ormai, maturata il 16 febbraio 2023.
A fronte, dunque, della infondatezza dei motivi sul merito, se ne impone la declaratoria e, conseguentemente, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, nella sua interezza, essendo il reato per cui è stata pronunciata estinto per tale causa sopravvenuta successivamente alla sentenza impugnata (sicchè l'ottavo motivo di ricorso di COGNOME e il secondo motivo di ricorso di COGNOME sono manifestamente infondati).
Travolta l'intera sentenza resta, pertanto, assorbito il terzo motivo di ricorso svolto nell'interesse della sola Cuccia, comunque fondato.
5.1. Intende il Collegio rilevare che costituisce principio incontroverso nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale è illegittima la subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione del manufatto abusivo nel caso di condanna per il reato di violazione di sigilli, atteso che la costruzione abusiva non può essere considerata quale conseguenza dannosa o pericolosa da eliminare in relazione al reato di cui al citato art. 349, e che inoltr l'ordine di demolizione è tipizzato normativamente dall'art. 31, comma nono, d.P.R. n. 380 del 2001 per ipotesi di reato diverse da quella in questione (Sez. 3, n. 27698 del 20/05/2010, COGNOME, Rv. 247926; Sez. 3, n. 40438 del 28/09/2006, COGNOME, Rv. 235461; Sez. 3, n. 5061 del 05/07/2017, COGNOME, n.m.; Sez. 3, n.
4132 del 06/12/2017, dep. 2018, COGNOME, n.m.; Sez. 1, n. 26555 del 28/02/2017,
COGNOME n.m.; Sez. 3, n. 796 del 22/09/2016, dep. 2017, COGNOME, n.m.).
5.2. Si tratta di principio che il Collegio condivide e intende perpetuare e che avrebbe, comunque, comportato l'annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata anche quanto alla subordinazione del beneficio alla demolizione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma , 6 maggio 2025
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NOMENOME reazza