Violazione Prescrizioni: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito i confini invalicabili del giudizio di legittimità, specialmente in casi di violazione prescrizioni legate a misure di prevenzione. Questa pronuncia offre un’importante lezione sulla differenza tra un ricorso basato su questioni di diritto e un tentativo, non consentito, di ottenere una nuova valutazione dei fatti. Analizziamo nel dettaglio la decisione e le sue implicazioni pratiche.
Il Caso: Allontanamento Autorizzato per Lavoro o per Motivi Personali?
La vicenda giudiziaria ha origine dalla condanna di un individuo, sottoposto a una misura di prevenzione, per aver violato le regole imposte. In particolare, pur avendo un’autorizzazione per allontanarsi dalla propria abitazione per motivi lavorativi, l’imputato si era recato presso l’abitazione della sua fidanzata, trasgredendo così i limiti della concessione.
Sia il Tribunale di primo grado che la Corte di Appello avevano confermato la sua colpevolezza, ritenendo provato che lo spostamento non fosse finalizzato a impegni di lavoro, bensì a ragioni di natura puramente personale.
Il Ricorso per la violazione prescrizioni: il vizio di motivazione
A fronte della doppia condanna, la difesa ha proposto ricorso in Cassazione, articolando un unico motivo di impugnazione. Il ricorrente lamentava un “vizio di motivazione” in relazione all’elemento soggettivo del reato. In altre parole, sosteneva che i giudici di merito non avessero adeguatamente motivato la sua reale intenzione, insistendo sulla natura lavorativa delle incombenze che lo avevano portato ad allontanarsi.
La Decisione della Corte di Cassazione: Inammissibilità per Genericità
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo su tutta la linea le argomentazioni difensive. La decisione si fonda su principi consolidati della procedura penale, che meritano di essere sottolineati.
Le Motivazioni della Suprema Corte
I giudici di legittimità hanno innanzitutto chiarito che le critiche del ricorrente non riguardavano un errore di diritto, ma miravano a una riconsiderazione del merito della vicenda. Il ricorso si configurava come una “doglianza inammissibile in quanto attinente a profili di mero fatto”, ovvero un tentativo di far rivalutare alla Cassazione le prove già esaminate (e correttamente interpretate) dalla Corte d’Appello. Il ruolo della Cassazione non è quello di un “terzo grado” di giudizio sui fatti, ma di garante della corretta applicazione della legge.
La Corte ha inoltre definito il ricorso come “riproduttivo di profili di censura già vagliati dalla Corte territoriale” e “non scandito da specifica critica”. In sostanza, il ricorrente si era limitato a ripetere le stesse argomentazioni già respinte in appello, senza individuare un preciso errore logico o giuridico nel ragionamento della sentenza impugnata. Infine, il presunto vizio di carenza motivazionale è stato ritenuto “manifestamente infondato”, poiché la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione chiara, logica e coerente sul perché l’intento dell’imputato non fosse legato al lavoro.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza è un monito fondamentale per chi intende impugnare una sentenza di condanna in Cassazione. La decisione ribadisce con forza che il ricorso non può essere un pretesto per ridiscutere l’interpretazione delle prove. Per avere successo, un ricorso deve concentrarsi su specifiche violazioni di legge o su vizi di motivazione che siano palesemente illogici o contraddittori, e non sulla semplice non condivisione della ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito. In materia di violazione prescrizioni, come in altri reati, l’appello alla Suprema Corte richiede argomentazioni giuridiche solide e non una generica contestazione fattuale. La conseguenza di un ricorso inammissibile, come in questo caso, non è solo la conferma della condanna, ma anche l’aggiunta di ulteriori spese e di una sanzione pecuniaria a carico del ricorrente.
Quando un ricorso in Cassazione per violazione delle prescrizioni può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando si limita a contestare la valutazione dei fatti già effettuata dai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello), senza sollevare questioni sulla corretta applicazione della legge. Inoltre, è inammissibile se ripropone le stesse censure già esaminate e respinte dalla Corte territoriale con una motivazione logica e giuridicamente corretta.
Cosa intende la Corte per “vizio di motivazione” manifestamente infondato?
La Corte lo considera manifestamente infondato quando la critica mossa alla sentenza impugnata è generica e non trova riscontro nell’analisi del provvedimento. Nel caso esaminato, il ricorrente lamentava una carenza di motivazione sull’intento, ma la Corte ha verificato che la sentenza di appello aveva chiaramente e logicamente spiegato perché l’allontanamento non fosse per motivi di lavoro ma per recarsi dalla fidanzata.
Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Inoltre, se l’inammissibilità è dovuta a colpa del ricorrente (come in questo caso, per la genericità del motivo), viene anche condannato a versare una somma di denaro, stabilita equitativamente dal giudice, in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19856 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19856 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Roma in data 8/01/1974
avverso la sentenza del 12/07/2024 della Corte di appello di Perugia
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che la sentenza impugnata ha confermato la condanna resa dal Tribunale di Spoleto nei confronti del ricorrente, alla pena di giustizia, in relazione al reato di cui all ‘ art. 75, comma 2, d. lgs. n. 159 del 2011.
Ritenuto che il motivo unico proposto a mezzo del difensore, avv. NOME COGNOME ( vizio di motivazione in relazione all ‘ elemento soggettivo del reato ), si configura come doglianza inammissibile in quanto attinente a profili di mero fatto, riproduttiva di profili di censura già vagliati dalla Corte territoriale con ragionamento corretto dal punto di vista giuridico, non scanditi da specifica critica nonché manifestamente infondata, poiché il denunciato vizio di carenza motiva zionale non trova riscontro nell’esame del provvedimento impugnato (v. p. 5 e ss.).
Considerato che il provvedimento gravato ha chiarito, con valutazione di merito, dandone conto con motivazione non manifestamente illogica, dunque
incensurabile in questa sede, come non emerga dalle prove assunte che l’intento di allontanarsi da parte dell’imputato fuori dai limiti della concessa autorizzazione per motivi lavorativi, sia stato quello di adempiere ad incombenze sempre di tipo lavorativo, non risultando che l’imputato abbia trasgredito solo perché richiesto dal datore di lavoro (ma, anzi, per ragioni diverse, per essersi portato presso la fidanzata).
Ritenuto che, per le ragioni sin qui esposte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna alle spese processuali, nonché (v. Corte Cost. n. 186 del 13 giugno 2000), valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen. con l’onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, determinata equitativamente.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 3 aprile 2025