Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 9288 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 9288 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 31/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOME nato in Tunisia il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 09/05/2023 del TRIBUNALE DI RAVENNA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 9 maggio 2023 il Tribunale di Ravenna, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha accolto l’istanza del condannato NOME COGNOME di applicazione della continuazione tra i reati oggetto delle due seguenti sentenze di condanna emesse nei suoi confronti:
sentenza del Tribunale di Ravenna del 10 ottobre 2011, irrevocabile il 4 novembre 2011, di applicazione ex art. 444 cod. proc. pen., per un unico reato di cessione di stupefacenti, della pena di 4 anni di reclusione e 18 000 euro di multa;
sentenza del Tribunale di Ravenna del 2 maggio 2013, irrevocabile il 9 novembre 2013, emessa in rito ordinario, di condanna, per una pluralità di reati di detenzione e cessione di stupefacenti, alla pena di 4 anni e 9 mesi di reclusione e 25.000 euro di multa.
Il giudice dell’esecuzione ha individuato la pena più grave in quella della sentenza sub 2. emessa in rito ordinario, in quanto ex art. 187 disp. att. cod. proc. pen. la pena più grave non è la pena base, ma la pena inflitta in concreto.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso il condannato, per il tramite del difensore, con unico motivo in cui deduce violazione di legge e vizio di motivazione perché il giudice dell’esecuzione ha individuato la pena base in quella della sentenza sub 2. senza effettuare la scissione di tale pena (che era stata pronunciata per più reati posti in continuazione tra loro) per individuare quella inflitta per il reato più grave.
Nel caso in esame, nella sentenza sub 2. il Tribunale aveva individuato per il reato più grave la pena base di 6 anni di reclusione e 27.000 euro di multa, diminuita per le attenuanti generiche alla pena di 4 anni di reclusione e 18.000 euro di multa, pena inferiore, quindi, a quella individuata nella sentenza sub 1. per l’unico reato oggetto della applicazione pena, che era pari a 6 anni di reclusione e 27.000 euro di multa, ridotta per il rito, ma senza concessione delle attenuanti generiche o di altre attenuanti.
Con requisitoria scritta il Procuratore Generale, NOME COGNOME, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
Qualora la continuazione esterna tra più sentenze, riconosciuta in executivis, si venga ad aggiungere ad una continuazione interna ad una di tali sentenze già riconosciuta in cognizione, per individuare la “violazione più grave” di cui all’art. 187 disp. att. cod. proc. pen., occorre procedere in questo modo:
nel calcolo del trattamento sanzionatorio di ciascuna sentenza il giudice dell’esecuzione deve scorporare la pena inflitta per i reati satellite della continuazione interna ed individuare la pena inflitta in ciascuna di esse per il reato più grave (Sez. 1 , Sentenza n. 21424 del 19/03/2019, COGNOME, Rv. 275845; Sez. 5, n. 8436 del 27/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259030; Sez. 1, n. 38244 del 13/10/2010, COGNOME, Rv. 248299; Sez. 1, n. 49748 del 15/12/2009, COGNOME, Rv. 245987);
una volta effettuata questa operazione, il giudice deve individuare come pena inflitta per il reato più grave di ciascuna sentenza quella calcolata all’esito del giudizio di bilanciamento tra aggravanti ed attenuanti, posto che il riferimento
contenuto nel testo dell’art. 187 disp. att. cod. proc. pen, alla “pena inflitta esclude che si possa attribuire rilievo alla pena base scelta dal giudice per tale reato, che è solo un passaggio interlocutorio del calcolo della pena da infliggere, ma non è la pena “inflitta”;
– una volta effettuata questa operazione, se una o più delle sentenze oggetto dell’istanza di continuazione esterna sono state emesse all’esito di rito alternativo con riduzione premiale, il giudice deve individuare come pena “inflitta” per il reato più grave di ciascuna sentenza la pena risultante dopo la eventuale diminuzione , per il rito, posto che la norma dell’art. 187 disp. att. cod. proc. pen. prende in considerazione specificamente tale ipotesi e dispone che “si considera violazione più grave quella per la quale è stata inflitta la pena più grave, anche quando per alcuni reati si è proceduto con giudizio abbreviato” (cfr., in tema di giudizio abbreviato, Sez. 1, Sentenza n. 48204 del 1.0/12/2008, COGNOME, Rv. 242660; Sez. 1, n. 3964 del 7/10/ 1993, dep. 1994, COGNOME, rv. 196342; Sez. 1, n. 12741 del 9/11/1995, Triolo, rv. 203336).
In definitiva, la pena “inflitta” per la “violazione più grave” di cui all’art. disp. att. cod. proc. pen. è la pena calcolata prima della continuazione interna, ma dopo il giudizio di bilanciamento tra aggravanti ed attenuanti, ed anche dopo la riduzione per il rito (operazione quest’ultima da effettuare eventualmente in modo virtuale dal giudice dell’esecuzione, posto che la riduzione rito avviene in cognizione a continuazione già calcolata).
Ciò posto, nel caso in esame, il ricorrente attacca l’ordinanza impugnata partendo da una deduzione corretta in diritto, ovvero che qualora la continuazione esterna riconosciuta in executivis si aggiunga ad una continuazione interna ad una di tali sentenze già riconosciuta in cognizione, per individuare la “violazione più grave” di cui all’art. 187 disp. att. cod. proc. pen., occorre considerare la pena inflitta per il singolo reato, e non la pena finale della eventuale continuazione interna.
Questa deduzione non è, però, sufficiente a rendere illegittima la decisione impugnata – né lo è l’ulteriore passaggio logico su cui è basato incidentalmente il ricorso, ovvero che nella individuazione della “la violazione più grave” si debba tener conto anche del giudizio di bilanciamento tra le aggravanti e le attenuanti perché, nell’individuare la pena “inflitta” per il reato più grave, occorre anche tener conto della riduzione per il rito.
Nell’ordinanza impugnata, infatti, il giudice dell’esecuzione, facendo corretta applicazione del criterio interpretativo indicato sopra, ha comparato le pene inflitte con le due sentenze al netto della riduzione rito, specificando anche in modo esplicito tale passaggio logico in un punto della motivazione dell’ordinanza.
Applicando al calcolo in esame, oltre che la scissione della continuazione, ed oltre che la riduzione per le attenuanti generiche, anche la riduzionè rito, consegue che per il reato della sentenza 1) è stata “inflitta” una pena di 4 anni di reclusione e 18.000 euro di multa e per il reato più grave della sentenza 2) è stata “inflitta” parimenti una pena di 4 anni di reclusione e 18.000 euro di multa.
Il ricorso, invece, per sostenere che è più grave la pena della sentenza di patteggiamento, non soltanto ha calcolato la pena di quella sentenza al lordo della riduzione rito, ma ha omesso del tutto di confrontarsi con il passaggio logico di segno contrario della ordinanza impugnata e di prendere posizione su esso.
Sotto questo profilo il ricorso deve, pertanto, essere ritenuto inammissibile per aspecificità del motivo, perché non si confronta in modo compiuto con il percorso logico della decisione impugnata (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 17281 del 08/01/2019, COGNOME, Rv. 276916, nonché, in motivazione, Sez. U, Sentenza n. 8825 del 27/10/2016, deo. 2017, COGNOME, Rv. 268823).
Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via equitativa, nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 31 gennaio 2024
Il consigliere estensore
Il presi de nte