Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 17175 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 17175 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a NAPOLI il 23/06/1971
avverso l’ordinanza del 24/09/2024 del TRIBUNALE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata;
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, accoglieva l’istanza proposta nell’interesse di NOME COGNOME per ottenere, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., il riconoscimento del vincol della continuazione tra il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90, oggetto della sentenza emessa in data 13 dicembre 2021 dal Tribunale di Roma, irrevocabile il 29 dicembre 2021, con la quale era stata applicata, su richiesta delle parti, la pena di un anno di reclusione e 4.000,00 euro di multa (indicata sub 1 nel provvedimento impugnato), e il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90, giudicato con sentenza della Corte di appello di Roma emessa, con rito abbreviato, in data 14 febbraio 2023, definitiva il 31 maggio 2023, di condanna alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione e 4.000,00 euro di multa (indicata sub 2 nel provvedimento impugnato).
Attenendosi all’orientamento giurisprudenziale espresso da Sez. 5, n. 6789 del 2020, il giudice dell’esecuzione individuava, come reato più grave, quello giudicato con la sentenza di “patteggiamento” sub 1), per il quale, prima della riduzione per il rito, era stata determinata la pena di un anno e sei mesi di reclusione e 6.000,00 euro di multa; a detta pena correlata al reato base veniva aggiunta, per il reato-satellite giudicato con la sentenza sub 2), la pena di quattro mesi di reclusione e 1.000,00 euro di multa, per una pena complessiva di un anno e dieci mesi di reclusione e 7.000,00 euro di multa.
2. Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, deducendo, quale unico motivo di ricorso, violazione di legge in relazione agli artt. 671 cod. proc. pen. e 81 cod. pen.
Ad avviso del difensore del ricorrente, il giudice di merito, dopo aver correttamente individuato la violazione più grave nel reato di cui alla sentenza sub 1) senza tenere conto della diminuzione per il rito ex art. 444 cod. proc. pen., avrebbe errato nell’operare l’aumento per il reato satellite di cui alla sentenza sub 2), in quanto da applicarsi sulla pena effettivamente concordata per la sentenza sub 1), al netto della riduzione per il rito alternativo.
In altre parole, nella prospettazione difensiva, la pena applicata su accordo delle parti, nella cornice di una riconosciuta continuazione tra più reati, andrebbe calcolata in due modi diversi: al “lordo” della riduzione per il rito al solo fin individuare il reato più grave; al “netto” della riduzione per il rito in sede di cal finalizzato a determinare la pena complessiva conseguente alla ravvisata continuazione.
Il Procuratore generale di questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, in adesione alle tesi del ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’ordinanza impugnata va annullata, relativamente alla determinazione della pena, anche se per ragioni diverse da quelle addotte dal ricorrente.
La questione sottoposta all’odierno vaglio di legittimità mira a individuare il criterio cui ricorrere per individuare la violazione più grave in caso riconoscimento del vincolo della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., tra reati giudicati, l’uno, con patteggiamento, e l’altro con rito abbreviato.
Sul tema, si contrappongono, nella giurisprudenza di legittimità, due diversi indirizzi ermeneutici.
2.1. Secondo il primo di essi, espresso, da Sez. 1, n. 12136 del 19/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275056 – 01 e da Sez. 5, n. 6789 del 3/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278741 – 01, «l’individuazione del reato più grave deve essere effettuata confrontando la pena effettivamente irrogata dal giudice all’esito del giudizio abbreviato, tenendo, quindi, conto anche della riduzione per il rito, e la pena determinata in sede di patteggiamento, senza, invece, prendere in considerazione la concordata riduzione di pena, in quanto la richiesta di continuazione comporta la caducazione del pregresso accordo ex art. 444 cod. proc. pen., con il solo limite, previsto dagli artt. 81 cod. pen. e 671 comma 2, cod. proc. pen., di non applicare per il reato-satellite una frazione di pena superiore a quella irrogata dal giudice della cognizione».
2.1.1. Afferma, in particolare, Sez. 5, n. 6789 del 2020:
« l’applicazione della continuazione tra reati giudicati con il rito ordinar e altri giudicati con il rito abbreviato comporta che nei confronti di questi ultimi siano essi reati cd. satellite ovvero reati che integrino la violazione più grave deve essere applicata la riduzione di un terzo della pena, a norma dell’art. 442, comma secondo, cod. proc. pen., per il suo carattere premiale, e in quanto svincolata da qualsiasi apprezzamento di merito riguardante il reato o il reo, essendo prevista una riduzione di pena fissa (Sezioni Unite n. 35852 del 22/02/2018, COGNOME, Rv. 273547). Con riferimento, invece, al caso in cui venga riconosciuta la continuazione tra un reato più grave giudicato con il rito ordinario e un reato satellite oggetto di sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., il giudice, nel determinare l’aumento di pena per quest’ultimo, non deve applicare la riduzione di pena prevista dal comma 1 del predetto articolo, dal momento che la richiesta di rideterminazione della pena, quale che sia la sede in
cui viene formulata (cognizione o esecuzione), comporta la caducazione dell’intero pregresso accordo sul reato-satellite, ferma restando la necessità di rispettare i limiti previsti dagli artt. 81 cod. pen. e 671, comma 2, cod. proc. pen. e di non applicare per il reato-satellite una frazione di pena superiore a quella irrogata dal giudice della cognizione (Sez. 1, n. 12136 del 19/10/2018 Cc. (dep. 19/03/2019) Rv. 275056). Il principio ora richiamato è validamente estensibile anche al caso, come quello di specie, in cui l’intervento unificatore abbia avuto a oggetto pene inflitte all’esito del giudizio abbreviato e pene concordate, stante la natura del rit abbreviato quale giudizio di merito ».
2.2. Il diverso orientamento è rappresentato dalle due successive sentenze Sez. 1, n. 21808 del 7/7/2020, Terranova, Rv. 280643 – 01 e Sez. 1, n. 30119 del 7/4/2021, Dinari, Rv. 281679 – 01, che, seppure attinenti alla continuazione fra reati giudicati, rispettivamente, con rito ordinario e con patteggiamento, esprimono un principio valido desumibile dall’art. 187 disp. att. cod. proc. pen. per tutti i casi di continuazione in executivis (esclusi quelli previsti dall’art. 188 disp. att. cod. proc. pen. concernente la continuazione riconosciuta fra sentenze emesse ex art. 444 cod. proc. pen.), secondo il quale la violazione più grave in concreto inflitta deve individuarsi al netto della riduzione per il rito.
Tale indirizzo non condivide il presupposto, enunciato dalla tesi contrapposta, secondo cui «la richiesta di rideterminazione della pena, formulata in sede di cognizione o “in executivis”, comporta la caducazione dell’intero pregresso accordo sul reato-satellite» e afferma la natura processuale della riduzione della pena concordata ex art. 444 cod. proc. pen. alla stessa stregua della diminuente applicata per il rito abbreviato.
2.2.1. Non è superfluo riportare i brani salienti di Sez. 1, n. 30119 del 2021, tratti dai paragrafi 3 e seguenti del ‘Considerato in diritto’:
«3. Non vi è motivo di non applicare il medesimo principio alla riduzione della pena prevista dall’art. 444 cod. proc. pen., anche essa avente natura esclusivamente processuale.
Non rileva in senso contrario il dato normativo secondo cui la misura della diminuzione della pena non è fissa, ma è rimessa alla discrezionalità delle parti che, sia pure all’interno di un range predefinito fino a un terzo, possono diversamente modulare la pena nell’osservanza del limite di anni due o cinque di reclusione con maggiori benefici nel primo caso previsti dall’art. 445 cod. proc. pen. Detto meccanismo, infatti, non equipara la diminuzione di cui all’art. 444 cod. proc. pen. alle circostanze attenuanti e lascia immodificato il carattere premiale inscindibilmente legato alla scelta processuale compiuta dall’imputato.
Ciò è tanto vero che, una volta perfezionatosi l’accordo formale sul rito, l’unico potere spettante al giudice (cui è riservata la verifica della correttezza dell
()i cornice giuridica dei fatti) sul merito della richiesta attiene alla valutazione del congruità della pena finale oggetto della richiesta; al contrario, le “circostanze” in senso tecnico, anche quando non hanno un contenuto oggetto di predeterminazione legale astratta e quindi difettano di tipicità, come quelle previste dall’art. 62-bis cod. pen., non sono concedibili ad arbitrio del giudice, il quale deve darne sempre adeguata giustificazione (cfr. Sez. 6, n. 5542 del 02/04/1996, P.G. proc. Conte, Rv.204876). La diminuzione si configura a tal punto come effetto tipico del rito previsto dalla legge come obbligatorio e non facoltativo, con la conseguenza che il giudice ha l’obbligo di rigettare la richiesta di patteggiamento mancante del computo della diminuzione “fino a un terzo” della pena (Sez. 3, n. 9888 del 14/01/2009, COGNOME, Rv. 243097; Sez. 4, n. 18669 del 31/01/2013, COGNOME, Rv. 255927).
4. La natura negoziale del patteggiamento e quella processuale della diminuente prevista dall’art. 444 cod. proc. pen. sono alla base della disciplina dettata dall’art. 188 disp. att. cod. proc. pen. per l’applicazione della continuazione in fase di esecuzione tra reati giudicati con più sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti pronunciate in procedimenti distinti. In questa eventualità l’imputato e il pubblico ministero possono chiedere l’applicazione della disciplina del concorso formale o del reato continuato solo con un nuovo accordo, che rispetti il limite di pena di due o cinque anni, al di sotto del quale il rito è consentito. coerenza con la natura negoziale del patteggiamento, è possibile incidere sul giudicato solo qualora intervenga tra le parti un nuovo accordo che contempli tutti i reati autonomamente definiti su richiesta delle parti, in modo tale che si garantisca il rispetto del beneficio processuale senza pregiudicare le scelte processuali sul rito effettuate in fase di cognizione. L’accordo così raggiunto sostituisce quelli precedenti anche ai fini del termine di estinzione previsto dall’art. 445, comma 2, cod. proc. pen., che a mente dell’art. 137, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. decorre nuovamente per tutti i reati dalla data in cui è divenuta irrevocabile l’ultima sentenza (Sez.1, n. 38446 del 16/09/2008, Covito, 241301). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
5. Il disposto di cui all’art. 188 disp. att. cod. proc. pen. non opera nel caso in cui l’istanza di applicazione della disciplina del reato continuato avanzata al giudice dell’esecuzione riguardi in parte sentenze emesse a seguito d’applicazione della pena su richiesta delle parti e in parte sentenze emesse a seguito di giudizio ordinario (Sez. 1, Sentenza n. 47076 del 19/06/2018 COGNOME, Rv. 274331).
Laddove la continuazione concerna sentenze che abbiano definito il procedimento con rito ordinario o abbreviato e sentenze di patteggiamento, la norma di riferimento è l’art. 137, comma 2, disp. att. cod. proc. pen.; essa, nel prevedere anche in questa ipotesi la possibilità di applicazione del concorso formale o del reato continuato, esclude la necessità di un nuovo accordo tra le
parti ed attribuisce al giudice dell’esecuzione gli stessi poteri di rideterminazione della pena unica esercitabili in caso di applicazione della disciplina della continuazione tra reati giudicati con più sentenze di condanna emesse in esito a giudizi svolti con forme diverse da quelle di cui all’art. 444 cod. proc. pen.; trovano, quindi, piena applicazione i limiti che al potere in questione sono fissati dagli artt. 671 cod. proc. pen. e 78 cod. pen. (Sez. 1, n. 7374 del 06/02/2007, COGNOME Rv. 236246).
Ritiene il Collegio che il giudice dell’esecuzione nel determinare la pena unica ai sensi dell’art. 81, secondo comma, cod. pen. a seguito della unificazione di reati per i quali è stata applicata la pena su richiesta delle parti, fuori dall’ipot dell’art. 188 disp. att. cod. proc. pen., incontra l’ulteriore limite, direttamen discendente dalla esaminata natura processuale della diminuzione di pena di cui il condannato ha in fase cognitiva beneficiato come contropartita alla scelta di definire il processo con il rito speciale; è, infatti, obbligato a mantenere la riduzion concessa dalla sentenza divenuta irrevocabile con riferimento esclusivo ai reati giudicati con il rito speciale; gli è, dunque, inibito estendere la riduzione anche all’aumento di pena per il reato satellite, definito con rito ordinario.
In conformità al delineato obbligo, il giudice dell’esecuzione nel caso in cui tra i reati unificati in continuazione valuti più grave la violazione giudicata con i rito del patteggiamento, dovrà porre a base del calcolo la relativa pena ridotta ex art. 444 cod. proc. pen. Parimenti, quando tra i reati unificati in continuazione vi è un solo reato per il quale è stata patteggiata la pena e tale reato è considerato satellite rispetto alla violazione più grave giudicata con altro rito, ha l’obbligo commisurare l’aumento ex art. 81, secondo comma, cod. pen. relativo a quest’ultimo reato alla pena per esso determinata in sede di cognizione comprensiva della riduzione ex art. 444 cod. proc. pen. ».
L’orientamento appena illustrato, che si lascia preferire per ampiezza ed efficacia di argomenti, anche in ottica sistematica, ha ricevuto un importante suggello, ad avviso del Collegio, da una recente sentenza delle Sezioni Unite, che, sebbene limitata ai casi di riconoscimento della continuazione fra reati giudicati con rito abbreviato, ha espresso un principio di portata generale, secondo cui «Ai fini dell’individuazione della violazione più grave nel reato continuato in sede esecutiva, ai sensi dell’art. 187 disp. att. cod. proc. pen., deve essere considerata come “pena più grave inflitta”, che identifica la “violazione più ‘grave”, quella concretamente irrogata dal giudice della cognizione, siccome indicata nel dispositivo di sentenza (Sez. U, n. 7029 del 28/09/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285865 – 01)».
In applicazione dell’enunciato principio al caso di specie, Sez. U, COGNOME, ha, inoltre, affermato che «In tema di continuazione in sede esecutiva, nel caso di
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riconoscimento del vincolo tra reati giudicati separatamente con rito abbreviato, fra cui sia compreso un delitto punito con la pena dell’ergastolo per il quale il giudice della cognizione abbia applicato la pena di anni trenta di reclusione, per effetto della diminuente di un terzo ex art. 442, comma 2, terzo periodo, cod. proc. pen. (nel testo vigente sino al 19 aprile 2019), il giudice deve considerare come “pena più grave inflitta” che identifica la “violazione più grave” quella conseguente alla riduzione per il giudizio abbreviato (Rv. 285865 – 02)».
Il Collegio, in conclusione, ritiene di aderire al secondo degli orientamenti ermeneutici illustrati, per le ragioni già espresse e, soprattutto, per l’autorevole convalidazione ricevuta dalle Sezioni Unite, che hanno espresso un principio afferente a una norma, quella dell’art. 187 disp. att. cod. proc. pen. (Determinazione del reato più grave), di carattere generale in tema di continuazione in executivis e, quindi, esso stesso di portata generale in materia.
Di tale principio non ha fatto corretta applicazione, nel caso di specie, il Tribunale di Roma, con riferimento alla individuazione della “violazione più grave” fra i due reati sottoposti al suo vaglio, l’uno giudicato con il rito d “patteggiamento” (sentenza sub 1) e l’altro giudicato con rito abbreviato (sentenza sub 2).
Se, infatti, il giudice dell’esecuzione avesse operato il raffronto tra le due pene “al netto” delle due riduzioni per il rito speciale, avrebbe dovuto individuare, quale “violazione più grave”, quella, irrogata in sede di abbreviato con la sentenza sub 2), di un anno e quattro mesi di reclusione e 4.000,00 euro di multa, in quanto più elevata di quella, pari a un anno di reclusione e 4.000,00 euro di multa, applicata ex art. 444 cod. proc. pen. con la sentenza sub 1).
L’errore in cui è incorso il giudice a quo è stato quello di applicare, in modo contraddittorio, due diversi criteri per l’individuazione della “violazione più grave”, optando per la pena “al lordo” della riduzione per il rito premiale con riguardo al reato oggetto di patteggiamento e indicando la pena “al netto” della riduzione per il reato giudicato con rito abbreviato.
Così operando, il giudice di merito è pervenuto, in accoglimento della richiesta presentata dall’interessato ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., a una determinazione della pena complessiva inficiata dall’utilizzo di due criteri di calcolo disomogenei per l’individuazione della “violazione più grave” ai sensi dell’art. 187 disp. att. cod. proc. pen., trascurando di considerare, come da ultimo rimarcato anche da Sez. U, COGNOME, che la questione afferente alla definizione della pena si presenta come strettamente unitaria, senza che possano porsi, quindi, artificiose e irragionevoli dicotomie tra i criteri che concorrono alla definizione medesima, siano essi inerenti alla individuazione della “violazione più grave” come desumibile dalla “pena più grave” inflitta (art. 187 disp. att. cod. proc. pen.), siano ess
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attinenti alla successiva individuazione della pena per il reato base o per il reato o i reati-satellite, da applicare nel calcolo effettivo e complessivo finale.
In entrambi i casi, infatti, alla luce di quanto esposto, dovrà applicarsi la pena inflitta “in concreto”, ovvero, per mutuare un’espressione della richiamata
pronuncia delle Sezioni Unite, quella “indicata nel dispositivo della sentenza”.
Va escluso che, in applicazione dei criteri ora indicati, nel caso di specie si tenuto conto che la pena di un anno e
perverrebbe a una reformatio in peius,
sub quattro mesi di reclusione, irrogata con la sentenza
2), da individuarsi come
“più grave” ai sensi dell’art. 187 disp. att. cod. proc. pen., risulta oggettivamente inferiore a quella di un anno e sei mesi di reclusione, erroneamente individuata
dal giudice dell’esecuzione come la pena più grave.
In conclusione, l’ordinanza impugnata va annullata relativamente alla
6.
determinazione della pena, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Roma in composizione monocratica, in diversa persona fisica (C. cost. 9 luglio 2013, n.
183), che si atterrà, nell’eseguire il nuovo calcolo, ai criteri sopra indicati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata, relativamente alla determinazione della pena, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Roma.
Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2025
Il Consigliere estensore
Ptlesjdente