Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 14352 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 14352 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a SALERNO il DATA_NASCITA
NOME COGNOME NOME nato a SALERNO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/10/2023 della CORTE APPELLO di SALERNO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Salerno ha confermato la condanna di NOME e NOME per il reato di violazione domicilio. In particolare ai due imputati è contestato di essersi introdotti inviso domino in un garage nella disponibilità del curatore del fallimento del proprietario del bene, al fine svolgervi attività di spaccio di stupefacenti.
Avverso la sentenza ricorrono entrambi gli imputati con atti autonomi, ma in tutto sovrapponibili ed a firma del comune difensore, che articolano tre motivi.
2.1 Con il primo vengono dedotti erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione in merito alla ritenuta legittimazione del curatore fallimentare a proporre la querela, qualora, come nel caso di specie, non sia derivato dal fatto un danno agli interessi dei creditori. Legittimazione da escludersi in ragione del fatto che lo stesso curatore non sarebbe il titolare del bene giuridico del reato, posto che l’incriminazione è posta a tutela dello svolgimento nel domicilio della vita privata di ciascun individuo.
2.2 Con il secondo motivo i ricorrenti denunziano violazione di legge in merito al riconoscimento da parte del giudice di primo grado dell’aggravante della violenza sulle cose, invero mai contestata agli imputati nemmeno in fatto, rimanendo irrilevante che tale aggravante non sia stata poi computata ai fini della commisurazione della pena applicata.
2.3 Con il terzo motivo vengono nuovamente dedotti erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione in merito al denegato riconoscimento delle attenuanti generiche. In tal senso osservano i ricorrenti come la Corte territoriale si sia limitata richiamare sul punto la motivazione della sentenza di primo grado, la quale però aveva negato le menzionate attenuanti in ragione dell’erroneo riconoscimento della mai contestata aggravante della violenza sulle cose.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei limiti di seguito esposti. Deve peraltro rilevar pregiudizialmente che il reato per cui si procede, pur essendo stato commesso il 4 maggio 2016, non è ancora prescritto, atteso che il relativo termine non maturerà prima del 20 gennaio 2024 tenuto conto dei 77 giorni in cui lo stesso è rimasto sospeso nei gradi di merito.
Fondato è anzitutto il primo motivo.
2.1 In tal senso va ricordato anzitutto che oggetto di tutela nell’art. 614 c.p. l’inviolabilità del domicilio sancita dall’art. 14 Cost., ossia dei luoghi in cui si svolgo manifestazioni della vita privata al riparo da intrusioni esterne (ex multis Sez. 5, n. 37875 del 04/07/2019, Bondì, Rv. 277637). Il domicilio, dunque, è oggetto di tutela non tanto nella sua consistenza oggettiva, quanto nel suo essere proiezione spaziale della persona, cioè ambito primario ed imprescindibile alla libera estrinsecazione della personalità individuale e, infatti, la fattispecie di cui si tratta è stata configurata ne 614 c.p., ossia tra i reati contro la persona e specificamente tra quelli contro la liber individuale. E nel medesimo senso lo stesso legislatore non ha limitato la tutela all’abitazione, ma l’ha estesa agli altri luoghi di privata dimora ed alle l appartenenze, al fine di garantire l’individuo anche nel caso in cui compia atti della sua vita privata al di fuori dell’abitazione stessa, purché si tratti di luoghi che abbian medesime caratteristiche di quest’ultima, in termini di riservatezza e, conseguentemente, di non accessibilità, da parte di terzi, senza il consenso dell’avente diritto (Sez. 5, n. 50192 del 04/11/2019, Amoresano, Rv. 277959).
2.2 Conclusioni queste che trovano il conforto del giudice delle leggi, il quale ha evidenziato come il domicilio cui fa riferimento l’art. 14 Cost. viene in rilievo «n panorama dei diritti fondamentali di libertà come proiezione spaziale della persona, nella prospettiva di preservare da interferenze esterne comportamenti tenuti in un determinato ambiente: prospettiva che vale, per altro verso, ad accomunare la libertà in parola a quella di comunicazione (art. 15 Cost.), quali espressioni salienti di un più ampio diritto alla riservatezza della persona» e che la libertà di domicilio assume «una valenza essenzialmente negativa, concretandosi nel diritto di preservare da interferenze esterne, pubbliche o private, determinati luoghi in cui si svolge la vit intima di ciascun individuo» (C. Cost. n. 135 del 2002; nello stesso senso C. Cost. n. 149 del 2008).
2.3 In senso analogo, ai fini della definizione della nozione di “luogo di privata dimora – evocata nella legislazione sostanziale non solo nell’art. 614 c.p., ma altresì negli art 615, 615-bis, 624-bis, 628, terzo comma, n. 3-bis, 52, secondo comma, dello stesso codice – Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, COGNOME, Rv. 270076 hanno precisato che è tale quello nel quale si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale. Riprendendo in tal senso quanto già affermato da Sez. U, n. 26795 del 28/03/2006, Prisco, Rv. 234269, il Supremo Collegio nell’occasione ha ribadito altresì come «il concetto di domicilio individui un rapporto tra la persona ed un luogo, generalmente chiuso, in cui si svolge la vita privata, in modo anche da sottrarre chi lo occupa alle ingerenze esterne e da garantirgli
quindi la riservatezza», specificando però che il rapporto tra la persona ed il luogo deve essere tale da giustificare la tutela di questo anche quando la persona è assente, connotandolo della personalità del titolare. In altre parole nelle due pronunzie citate l Sezioni Unite hanno sottolineato che «il concetto di domicilio non può essere esteso fino a farlo coincidere con un qualunque ambiente che tende a garantire intimità e riservatezza», giacché un luogo si trasforma in domicilio solo se in maniera relativamente stabile è adibito all’esplicazione della vita privata del suo titolare.
In definitiva secondo le Sezioni Unite D’COGNOME gli indefettibili elementi che definiscono un luogo di privata dimora sono a) utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attivit professionale e di lavoro in genere), in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne; b) durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità; c) non accessibilità del luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare.
2.4 Nella successiva elaborazione operata dalla giurisprudenza di legittimità si è poi sottolineato come una lettura costituzionalmente orientata della disposizione di cui all’art. 614 c.p., alla luce della previsione contenuta nell’art. 14 Cost., imponga prendere in considerazione la particolare natura del diritto alla inviolabilità d domicilio, il cui contenuto non è astrattamente predeterminato, ma variabile e definibile solo in concreto, vale a dire in ragione dell’effettivo atteggiarsi della relazione t soggetto ed il bene scelto come abitazione o luogo ad essa equiparabile (Sez. 5, Sentenza n. 42806 del 26/05/2014, COGNOME, Rv. 260769).
Alla luce di questi consolidati principi, ai fini della configurabilità del reato pre dall’art. 614 c.p. è dunque necessario stabilire se il luogo violato sia o meno un “domicilio”, nel senso sopra inteso. In proposito deve osservarsi come, nel caso di specie, il luogo oggetto dell’illecita intrusione sia un garage, ossia un locale che per sua naturale destinazione non può identificarsi con l’abitazione, né rappresentare un luogo di privata dimora, potendo eventualmente costituire una appartenenza degli stessi, a meno che non ne venga dimostrata la sua conversione ad una funzione diversa da quella che gli è propria.
3.1 In quanto appartenenza è dunque necessario dimostrare anzitutto che il locale in questione svolgesse una funzione servente ed esclusiva ad una abitazione o ad altro luogo di privata dimora ovvero che fosse utilizzato, in maniera relativamente stabile, per lo svolgimento al suo interno di atti della vita privata in maniera autonoma, che, altrimenti, prima ancora della questione relativa alla legittimazione alla proposizione della querela, si profila logicamente il problema della stessa effettiva integrazione i
ogni suo elemento della fattispecie tipica. In secondo luogo viene in conto il profilo relativo all’identificazione del soggetto la cui libertà domiciliare è stata violata da condotta degli imputati, presupposto ineludibile per l’attribuzione della legittimazione alla proposizione della querela.
3.2 Ed in proposito non può che evidenziarsi come su tutti questi punti la motivazione della sentenza risulti gravemente carente. La Corte territoriale, infatti, ha respint l’eccezione difensiva relativa al difetto di legittimazione del curatore assumendo che, avendo egli la disponibilità giuridica del bene in quanto “organo pubblicistico del fallimento”, è altresì titolare dello ius excludendi alios. E’ dunque evidente che i giudici di merito non si sono in alcun modo posti il problema di verificare se il locale violat fosse o meno appartenenza di una abitazione o di altro luogo di privata dimora ovvero se fosse egli stesso stato eretto a luogo di privata dimora, accertando dunque che costituisse il domicilio (o parte del domicilio) di qualcuno al momento dell’intrusione, presupposto ineludibile della rilevanza del diritto di esclusione. Tale diritto, infatti, v in conto ai fini della sussistenza del delitto di cui all’art. 614 c.p. solo se ad ess violato è effettivamente uno dei luoghi tipizzati dalla norma incriminatrice con conseguente lesione della libertà domiciliare del soggetto che con tale luogo intrattiene la relazione qualificata presupposta dalla stessa norma.
3.3 Sotto l’altro profilo non è in dubbio che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte la legittimazione a sporgere querela per il reato di violazione di domicilio spetta sia al proprietario, che al soggetto avente la materiale disponibilità dell’immobile (Sez. 5, n. 5592 del 19/11/2014, dep. 2015, Mallamo, Rv. 262813), ma sempre che quest’ultimo subisca, con l’introduzione invito domino di altro soggetto, una lesione del diritto di libertà domestica spettantegli in tale sua qualità (Sez. 1, n. 864 d 05/12/1995, dep. 1996, Brigida, Rv. 203684).
Ora, non è dubbio che il curatore fallimentare, in astratto, sia legittimato a proporre la querela in quanto detentore materiale e qualificato dei beni del fallito (Sez. 5, n. 34802 del 24/04/2019, COGNOME, Rv. 276646, con riferimento al reato di furto). Ma tale diritto sussiste solo se coerente con la ratio e la struttura della fattispecie contestata in concreto, come certamente deve ritenersi, ad esempio, per i reati di furto o danneggiamento.
3.4 Diversamente, per il reato per cui si procede, è necessario che il luogo violato costituisca il domicilio (nel senso più volte precisato) del soggetto che propone la querela in quanto unica persona offesa del reato. Il diritto all’inviolabilità del domicili infatti un diritto strettamente personale, che non rientra nel fallimento ai sensi dell’ar 46 comma 1 lett. a) legge fall. vigente all’epoca dei fatti (disposizione peraltro ribadit anche in riferimento alla liquidazione giudiziale dall’art. 146 d.lgs. 12 gennaio 2019, n.
7
14) e che non ha contenuto patrimoniale. Ne consegue che il curatore non può sostituirsi al titolare del domicilio, potendo proporre querela soltanto se il luogo viola possa ritenersi un suo proprio domicilio, in quanto al suo interno si svolgono manifestazioni della sua vita privata connesse alla sua attività professionale.
E’ dunque evidente che la sentenza impugnata, non solo non ha verificato se il garage di cui si tratta fosse mai stato il domicilio del proprietario del bene, ma non h accertato se all’interno del locale il curatore svolgesse o avesse in passato svolto, non in maniera occasionale, atti della propria vita privata in modo tale da poter stabilire s lo stesso possa o meno qualificarsi come luogo di privata dimora o appartenenza dello stesso a lui riconducibile, dovendosi altrimenti escludere che la mera detenzione del bene lo legittimi alla presentazione della querela.
L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento di quelli successivi. Non di meno è opportuno evidenziare, con riferimento al secondo, come anch’esso sarebbe parzialmente fondato. Infatti, la Corte ha escluso che nel giudizio di primo grado si sia tenuto surrettiziamente conto della mai contestata aggravante della violenza sulle cose nella commisurazione della pena, in quanto la stessa sarebbe stata determinata nel minimo edittale. In realtà, non solo la sentenza di primo ha fatto riferimento all’ipote aggravata di cui al quarto comma dell’art. 614 c.p., ma è appena il caso di evidenziare che la pena in concreto irrogata dal Tribunale di Salerno non corrisponde, come ritenuto invece dalla Corte territoriale, al minimo edittale previsto dal primo comma del suddetto articolo nel testo vigente all’epoca del fatto per il reato non aggravato che era invece quello di sei mesi di reclusione, poi elevato ad un anno dall’art. 4 comma 1 lett. a) I. 26 aprile 2019, n. 36, per l’appunto successiva alla consumazione del reato.
In conclusione la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Napoli.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Napoli.
Così deciso il 18/1/2024