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Violazione di sigilli: ricorso inammissibile

Un ricorso contro una condanna per violazione di sigilli su un immobile sequestrato è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione. La ricorrente, custode giudiziaria dell’immobile, basava l’appello su contestazioni generiche senza criticare specificamente le motivazioni della sentenza. La Corte ha confermato la responsabilità penale, condannando la ricorrente al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria. Il procedimento a carico del co-imputato è stato invece estinto per decesso.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Violazione di Sigilli: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2053 del 2024, ha fornito importanti chiarimenti sui requisiti di ammissibilità dei ricorsi, in un caso riguardante la violazione di sigilli. Questa pronuncia sottolinea come le contestazioni generiche e non supportate da specifiche critiche alla sentenza impugnata portino inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità, con conseguente condanna definitiva e sanzioni pecuniarie per il ricorrente.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da una condanna emessa dal Tribunale e parzialmente riformata dalla Corte di Appello nei confronti di due coniugi. L’accusa principale, per cui è intervenuta la condanna definitiva, era quella di violazione di sigilli apposti su un immobile di loro proprietà, che era stato sottoposto a sequestro giudiziario. Nonostante il sequestro, erano state realizzate numerose opere edilizie abusive.

La moglie, in qualità di custode giudiziario dell’immobile, è stata ritenuta responsabile del reato. La Corte d’Appello aveva già dichiarato prescritto il reato urbanistico, riducendo la pena per la sola violazione dei sigilli.

Contro questa decisione, entrambi gli imputati hanno proposto ricorso in Cassazione. Tuttavia, prima della discussione, è stato depositato il certificato di morte di uno dei due coniugi. Per la moglie superstite, i motivi del ricorso si concentravano sulla presunta carenza di motivazione della sentenza d’appello e sulla mancata concessione delle attenuanti generiche in misura prevalente sull’aggravante contestata.

L’Analisi della Corte di Cassazione sulla Violazione di Sigilli

La Suprema Corte ha adottato due decisioni distinte per i due ricorrenti. Per l’imputato deceduto, la Corte ha annullato la sentenza senza rinvio, dichiarando il reato estinto per morte del reo, come previsto dalla legge.

Per la ricorrente superstite, invece, il ricorso è stato dichiarato inammissibile. La Corte ha evidenziato come i motivi presentati fossero basati su “mere asserzioni del tutto sganciate da rilievi critici alla motivazione della sentenza impugnata”. In altre parole, la difesa si era limitata a riproporre le proprie tesi senza attaccare specificamente i punti logico-giuridici su cui si fondava la decisione dei giudici d’appello.

La Responsabilità Penale del Custode

I giudici di legittimità hanno confermato la correttezza della valutazione operata nei gradi di merito. La responsabilità penale della ricorrente per la violazione di sigilli è stata desunta da elementi fattuali chiari e concordanti:

1. Era proprietaria e custode giudiziaria dell’immobile.
2. È stata trovata sul luogo durante un’ispezione della polizia giudiziaria, mentre i lavori abusivi erano in corso.
3. Non ha fornito alcuna spiegazione alternativa plausibile per la prosecuzione dei lavori.

Queste circostanze sono state ritenute sufficienti a dimostrare la sua colpevolezza, rendendo le doglianze sul punto del tutto generiche.

Le Motivazioni della Decisione

Il fulcro della decisione della Cassazione risiede nel principio secondo cui il ricorso non può essere una semplice riproposizione delle proprie tesi difensive, ma deve costituire una critica puntuale e argomentata del provvedimento che si intende impugnare. Nel caso di specie, la difesa non ha individuato elementi pretermessi o scorrettamente valutati dai giudici di merito, limitandosi a un dissenso generico.

Anche per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio, la Corte ha ritenuto che i giudici d’appello avessero correttamente motivato la decisione di non concedere la prevalenza delle attenuanti generiche, a fronte di una pena già molto modesta. La mancanza di elementi nuovi e specifici nel ricorso ha reso anche questa doglianza inammissibile.

Conclusioni

La sentenza in esame ribadisce un principio fondamentale del processo penale: un ricorso per cassazione, per essere ammissibile, deve essere specifico e pertinente. Non è sufficiente contestare la decisione, ma è necessario dimostrare dove e perché i giudici dei gradi precedenti hanno errato nel loro ragionamento giuridico o nella valutazione dei fatti. La conseguenza di un ricorso generico è la sua inammissibilità, che non solo rende la condanna definitiva ma comporta anche l’addebito delle spese processuali e il pagamento di una somma alla Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata quantificata in 3.000 euro.

Cosa succede al processo penale se l’imputato muore?
Se l’imputato muore prima della sentenza definitiva, il reato si estingue. La Corte, come in questo caso, annulla la sentenza di condanna senza rinvio, chiudendo permanentemente il procedimento nei confronti del defunto.

Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando è basato su “mere asserzioni”, ovvero contestazioni generiche che non si confrontano criticamente con le motivazioni della sentenza impugnata. Non basta dissentire, ma è necessario indicare specifici vizi logici o giuridici nel ragionamento del giudice.

Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile?
La declaratoria di inammissibilità rende la condanna definitiva. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in 3.000,00 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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