Violazione di sigilli: la Cassazione chiarisce i limiti del custode giudiziale
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi sul reato di violazione di sigilli, offrendo importanti chiarimenti sui doveri del custode giudiziale e sui limiti di un’eventuale autorizzazione all’accesso al bene sequestrato. Il caso esaminato riguarda due fratelli, titolari di un’azienda di autodemolizioni, che, nonostante fossero stati nominati custodi del proprio terreno sottoposto a sequestro penale, hanno continuato a svolgere attività illecite, mascherandole dietro un permesso di bonifica.
I Fatti di Causa
La vicenda ha origine nel 2015, quando l’azienda di autodemolizioni dei due fratelli viene sottoposta a sequestro penale. Gli stessi titolari vengono nominati custodi giudiziali del sito. Tre anni dopo l’apposizione dei sigilli, nel 2019, vengono sorpresi mentre svolgono attività di manipolazione e commercio di merce presente all’interno dell’area sequestrata.
La difesa degli imputati si è basata su un’autorizzazione all’accesso ottenuta nel 2016, finalizzata a compiere lavori di bonifica del terreno. Tuttavia, sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno ritenuto i due fratelli colpevoli del reato di violazione di sigilli in concorso (artt. 110 e 349 c.p.), condannandoli a una pena di un anno di reclusione e 200 euro di multa ciascuno. Avverso tale decisione, gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione.
L’Analisi della Corte sulla violazione di sigilli
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e quindi inammissibile. I giudici hanno sottolineato come il tentativo della difesa di fornire una ricostruzione alternativa dei fatti non sia ammissibile in sede di legittimità. Il ruolo della Cassazione, infatti, non è quello di riesaminare le prove, ma di verificare la correttezza logica e giuridica della motivazione della sentenza impugnata.
Nel merito, la Corte ha evidenziato due punti cruciali:
1. L’attività non era una bonifica: Gli accertamenti della Polizia Giudiziaria avevano inequivocabilmente dimostrato che i due fratelli non stavano compiendo i lavori di bonifica autorizzati tre anni prima. Al contrario, erano intenti in una vera e propria attività commerciale e di manipolazione dei beni, ignorando completamente il vincolo reale apposto sul sito.
2. Mancato rispetto delle condizioni: L’autorizzazione alla bonifica prevedeva condizioni precise, come lo svolgimento delle operazioni sotto il controllo della P.G. e il conferimento del materiale in discariche autorizzate. Nessuno di questi requisiti è risultato essere stato rispettato o dimostrato dagli imputati.
Le motivazioni del rigetto
La motivazione della Corte si fonda su una logica stringente. I giudici di merito hanno correttamente valorizzato le prove, dalle quali emergeva una condotta del tutto incompatibile con i doveri del custode e con i limiti dell’autorizzazione ricevuta. L’accesso al sito, concesso per un fine specifico (la bonifica), era stato illecitamente trasformato in un’opportunità per proseguire l’attività commerciale.
Inoltre, la Corte ha respinto anche il secondo motivo di ricorso, con cui si chiedeva l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.). La decisione si basa sulla constatazione che la condotta degli imputati non era affatto occasionale. Il prosieguo dell’attività non consentita, unito al fatto che entrambi fossero recidivi reiterati, ha costituito un ostacolo insormontabile all’applicazione del beneficio, che presuppone la non abitualità del comportamento illecito.
Conclusioni
La decisione in commento ribadisce un principio fondamentale: il custode giudiziale ha il preciso dovere di preservare il bene sequestrato e di astenersi da qualsiasi attività che possa violare il vincolo imposto dall’autorità. Un’autorizzazione a compiere atti specifici, come una bonifica, non può mai essere interpretata come un via libera per riprendere l’attività commerciale interrotta dal sequestro. La condotta non occasionale e la presenza di precedenti penali specifici, inoltre, precludono la possibilità di invocare la particolare tenuità del fatto, confermando la piena responsabilità penale per la violazione di sigilli.
Cosa costituisce violazione di sigilli da parte di un custode giudiziale?
Costituisce violazione di sigilli qualsiasi attività sul bene sequestrato che esuli dai meri compiti di conservazione o dalle specifiche autorizzazioni ricevute. Nel caso specifico, continuare a manipolare e commercializzare la merce presente nel sito, anziché limitarsi ai lavori di bonifica autorizzati, integra il reato.
Perché l’autorizzazione a entrare nel sito per la bonifica non ha scagionato gli imputati?
L’autorizzazione è stata ritenuta irrilevante perché i lavori di bonifica non risultavano essere mai stati portati a compimento. Inoltre, il permesso prevedeva condizioni specifiche, come il controllo da parte della Polizia Giudiziaria e lo smaltimento autorizzato, che non sono state rispettate. L’attività svolta era palesemente commerciale e non di bonifica.
Per quale motivo è stata negata l’applicazione della particolare tenuità del fatto?
La particolare tenuità del fatto è stata esclusa perché la condotta degli imputati non era occasionale. La Corte ha sottolineato che il prosieguo di un’attività non consentita e il fatto che entrambi fossero recidivi reiterati sono indici di una condotta illecita non sporadica, incompatibile con i presupposti per l’applicazione di tale beneficio.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 1125 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 1125 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 13/09/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a GALLIPOLI il 06/09/1957
COGNOME nato a MATINO il 06/06/1969
avverso la sentenza del 16/10/2023 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Premesso che è stata impugnata la sentenza della Corte di appello di Lecce del 16 ottobre 2023, che, in parziale riforma della decisione resa dal Tribunale di Lecce il 13 ottobre 2020 e pr riconoscimento delle attenuanti generiche, ha rideterminato in anni 1 di reclusione ed euro 20 di multa ciascuno la pena inflitta a carico di NOME COGNOME e NOME COGNOME ritenuti colp del reato ex art. 110 e 349 cod. pen., accertato in Matino il 5 marzo 2019.
Rilevato che il primo motivo di ricorso, con il quale si censura la conferma del giudiz colpevolezza degli imputati, è manifestamente infondato, in quanto volto a prefigurare un rivalutazione alternativa delle fonti probatorie, a fronte dell’adeguata ricostruzione opera giudici di merito, i quali hanno valorizzato gli accertamenti di P.G., da cui è emerso che i f Potenza, titolari di un’azienda di autodemolizioni insistente su un terreno sottoposto a seques penale nel settembre 2015 ed entrambi nominati custodi giudiziali, furono sorpresi nel marz 2019 mentre erano intenti in attività di manipolazione e commercio della merce presente nel lotto in questione, cui accedevano reiteratamente, noncuranti del vincolo reale apposto, per c legittimamente è stato ritenuto ravvisabile il reato contestato, dovendosi considerare che i la di bonifica, per i quali fu consentito l’accesso al sito tre anni prima, nel 2016, non risul stati portati a definitivo compimento, essendosi previsto, peraltro, che gli accessi finalizz bonifica avvenissero solo sotto il controllo della P.G. e che la bonifica avvenisse pr conferimento in discarica autorizzata, requisiti questi non dimostrati nel caso di specie.
Ritenuto che la motivazione della sentenza impugnata risulta sorretta da considerazioni razional cui la difesa contrappone differenti apprezzamenti di merito, che tuttavia non sono consentit sede di legittimità (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601).
Osservato che il secondo motivo di ricorso, con il quale si contesta il mancato riconoscimen della particolare tenuità del fatto, è anch’esso manifestamente infondato, dovendosi escluder profili di travisamento delle prove o vizi logici della motivazione della sentenza impugnata in senso ostativo all’applicazione dell’art. 131 bis cod. pen., ha rimarcato, in maniera non irragionevole, il prosieguo da parte degli imputati, peraltro entrambi recidivi reite un’attività non consentita, indice questo della non occasionalità della condotta illecita.
Evidenziato, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile e rilevato che a declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere a ca dei ricorrenti del pagamento delle spese del procedimento, nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile &ricorseee condanna i ricorrenti al pagamento delle spese proce della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 13 settembre 2024.