Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 45586 Anno 2024
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 3 Num. 45586 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/11/2024
TERZA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso presentato da COGNOME NOMECOGNOME nato a Castellammare di Stabia il 02/06/1986
avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli data 28/03/2024.
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Presidente;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. NOME COGNOME cui il medesimo P.G. si Ł riportato in udienza, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
udito, per l’imputato, l’Avv. NOME COGNOME del Foro di Napoli, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 28 marzo 2024 la Corte di appello di Napoli, in riforma della sentenza del Tribunale di Torre Annunziata del 21 dicembre 2021, condannava NOME COGNOME in ordine ai reati di cui agli artt. 349, secondo comma, cod. pen., 44 lett. c), 83-95 d.P.R. 380/2001, 181 d. lgs. 42/2004, alla pena di anni 1 di reclusione ed euro 220,00 di multa.
Avverso la sentenza il COGNOME propone ricorso per cassazione.
Con il primo e unico motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di cui all’articolo 349 cod. pen., non essendo lo stesso nØ proprietario nØ titolare di alcun diritto reale o di godimento sull’immobile de qua .
A fronte della analoga censura, sollevata con l’atto di appello e relativa alla innocenza da tutte le imputazioni contestate (ivi comprese quelle dichiarate prescritte), nulla risponde la Corte territoriale, la quale omette anche di confrontarsi con la deduzione secondo cui il ricorrente non era presente sul
posto, ma fatto intervenire dagli operanti in occasione del controllo.
Nell’atto di appello si era anche aggiunto che, per effetto della nomina dello stesso imputato come custode, il COGNOME avrebbe dovuto denunciare i propri genitori che avessero commesso il reato, condotta inesigibile.
Evidenzia infine che, al piø, allo stesso avrebbe potuto essere contestata la condotta di cui all’illecito amministrativo punto dall’art. 350 cod. pen. (v. Cass. n. 7371/2017, Rv. 165146), o di cui al reato di omessa denuncia di cui all’art. 361 cod. pen..
La riqualificazione del fatto avrebbe dovuto quindi condurre ad una rideterminazione della pena. La Corte territoriale non ha poi risposto alla richiesta del pubblico ministero di applicazione dell’articolo 131bis cod. pen..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso Ł complessivamente infondato.
Quanto alla dedotta violazione di legge, le doglianze sono infondate.
2.1. In proposito il Collegio evidenzia che, in ordine ai rapporti tra l’articolo 349 e l’articolo 350 cod. pen., nella giurisprudenza della Corte Ł dato rinvenire due distinti approdi interpretativi.
Secondo un primo orientamento (Sez. 3, Sentenza n. 29040 del 20/02/2013, Conti, Rv. 256670 01; Sez. 3, n. 19424 del 24/05/2006, COGNOME, Rv. 233830 – 01; Sez. 3, n. 2989 del 28/01/2000, COGNOME, Rv. 215767; Sez. 6, n. 4815 del 26/02/1993, COGNOME, Rv. 194548), il custode giudiziario per la sua qualità di soggetto destinatario di uno specifico obbligo di vigilanza sulla cosa affinchØ ne venga assicurata o conservata l’integrità – risponde della violazione di sigilli a meno che non dimostri che si verte in ipotesi di caso fortuito o di forza maggiore.
Secondo diverso e piø restrittivo orientamento (Sez. 3, Sentenza n. 7371 del 13/07/2016, dep. 2017, Marra, Rv. 269192 – 01; Sez. 3, n. 50984 del 10/10/2013, COGNOME, Rv. 257920; Sez. 3, n. 16900 del 19/03/2015, Rv. 263406), ai fini della configurazione del reato di violazione di sigilli previsto dall’art. 349, secondo comma, cod. pen., nei confronti di colui che ha in custodia la cosa, la prova della sussistenza del dolo, che differenzia tale ipotesi delittuosa dall’agevolazione colposa sanzionata amministrativamente dall’art. 350 cod. pen., deve essere fornita dalla pubblica accusa e non può essere desunta dalla negligenza e trascuratezza del custode; tuttavia, Ł onere di quest’ultimo addurre gli elementi specifici che gli hanno impedito di attivarsi, qualora risulti accertato che egli, benchØ direttamente a conoscenza della effrazione dei sigilli, abbia omesso di avvertire dell’accaduto l’autorità.
Tale secondo orientamento si fonda sulla considerazione della natura necessariamente dolosa del reato di cui all’art. 349, cod. pen., la prova della cui sussistenza, sotto il profilo soggettivo, non può essere elusa mediante il ricorso a formule che, a fronte di un addebito formalmente doloso, dissimulino un rimprovero per un atteggiamento sostanzialmente colposo.
Sul punto, il Collegio, se da un lato conferma l’impossibilità di prevedere qualsivoglia forma di responsabilità «oggettiva» in capo al custode, ovvero di addebitare allo stesso qualsiasi responsabilità «per colpa», dall’altro evidenzia la necessità di non frustrare di fatto la ratio dell’istituto, consentendo al custode – attraverso una interpretazione «a maglie larghe» della norma incriminatrice – di porre in essere condotte totalmente negligenti ed omissive che, in ultima analisi, sterilizzerebbero la portata della norma.
In proposito deve essere evidenziato come la nomina del custode, che assume la qualifica di pubblico ufficiale (Sez. 6, n. 9964 del 17/04/1985, COGNOME, Rv. 170885 – 01), pone in capo allo stesso un dovere giuridico di impedire che il fatto si verifichi: in altre parole, una posizione di garanzia, che,
tuttavia, Ł tipico paradigma di attribuzione della responsabilità nei reati omissivi colposi.
Il Collegio ritiene che, per evitare «tensioni» del sistema di imputazione della responsabilità, occorre considerare il rapporto di protezione che la legge impone tra il custode e la res come un «obbligo di attivazione», il quale si articola in modo «bidirezionale»: prima che il reato venga compiuto, mediante la previsione di un obbligo di porre in essere concrete attività volte ad evitare che altri violino i sigilli (attraverso, a mero titolo esemplificativo, la predisposizione di sistemi di sorveglianza o dissuasione); post crimen patratum , mediante la previsione di un obbligo di avvisare tempestivamente l’autorità giudiziaria, ove la violazione dei sigilli sia stata posta in essere da terzi. La violazione di tali obblighi potrà, ove ne ricorrano nel caso concreto tutti gli elementi enucleati dalla giurisprudenza, essere imputata anche a titolo di dolo eventuale, posto che il delitto in parola Ł punito a titolo di dolo generico (Sez. 3, n. 27134 del 08/04/2015, COGNOME, Rv. 264305 – 01; Sez. 3, n. 21918 del 07/03/2008, Vissicchio, Rv. 240033 – 01).
Conclusivamente, il Collegio ritiene che, a fronte della violazione di tali obblighi e dell’onere probatorio assolto dalla pubblica accusa, anche sulla base di presunzioni o massime di esperienza, incombe sul custode dedurre, sulla base di concreti ed oggettivi elementi fattuali, l’assenza di profili di macroscopica inazione, tale da ricondurre la condotta (omissiva) nell’alveo del dolo eventuale, poichØ Ł l’imputato che, in considerazione del principio della c.d. «vicinanza della prova», può acquisire o quanto meno fornire, tramite l’allegazione, tutti gli elementi per provare il fondamento della tesi difensiva (Sez. 2, n. 3883 del 19/11/2019, dep. 2020, Pomilio, Rv. 278679 – 03; Sez. 2, n. 6734 del 30/01/2020, Bruzzese, Rv. 278373 – 01).
Nel caso in esame, la sentenza impugnata precisa (pag. 6) che sono state realizzate ben tre violazioni di sigilli, relative ad un immobile di proprietà del padre dell’imputato e per lavori commissionati dalla madre, per cui la deduzione di non avere neppure compreso cosa stesse succedendo, non appare credibile.
Trattasi di motivazione che non presenta tensioni con i principi dianzi espressi (nel caso della citata sentenza Marra, che aveva concluso con l’annullamento della sentenza impugnata, non era neppure certo che l’imputato fosse a conoscenza della propria nomina di custode dell’immobile, non potendosi, per conseguenza, ipotizzare una responsabilità commissiva per omissione per il delitto di cui al comma primo dell’art. 349, cod. pen., da parte del custode che, senza colpa, ignori la sua qualità).
Il motivo di doglianza Ł pertanto infondato.
2.2. Quanto alla deduzione secondo cui sarebbe al piø configurabile il delitto di cui all’articolo 361 cod. pen., il Collegio evidenzia come al caso in esame ci si trovi di fronte ad un caso di «concorso apparente» di norme, da risolversi attraverso il principio di specialità per addizione: in entrambi i casi il delitto Ł posto in essere da un pubblico ufficiale; in entrambi i casi la condotta può consistere in una omissione di denuncia; tuttavia, il ventaglio delle condotte possibili da parte del custode Ł piø ampio, come visto al sottoparagrafo che precede, e la condotta può essere posta in essere non da ogni p.u., ma solo da colui che Ł stato nominato custode del bene sequestrato.
In ossequio al principio di specialità, pertanto, non può che trovare applicazione il delitto di cui all’articolo 349 cod. pen..
Anche tale doglianza Ł pertanto infondata.
3. Quanto al dedotto vizio di motivazione, esso Ł inammissibile.
Questa Corte ha reiteratamente affermato che la mancanza, l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione, come vizi denunciabili in sede di legittimità, devono risultare di spessore tale da risultare percepibili ictu oculi , dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le
deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchØ siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (Sez. U., n. 24 del 24/11/1999, Rv. 214794; Sez. U., n. 12 del 31/05/2000, Rv. 216260; Sez. U., n. 47289 del 24/09/2003, Rv. 226074; Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, Musa, Rv. 268360 – 01, in motivazione).
Il giudice d’appello, inoltre, non Ł tenuto a rispondere a tutte le argomentazioni svolte nell’impugnazione, giacchØ le stesse possono essere disattese per implicito o per aver seguito un differente iter motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione effettuata ( ex multis , Sez.U., n. 14722 del 30/01/2020, COGNOME, Rv. 279005 – 01, secondo cui devono considerarsi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata purchØ siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento del giudice; Sez. 5, n. 34496 del 20/06/2024, Calandra, n.m.; Sez. 3, n. 18041 del 10/04/2024, Sulis, n.m.; Sez. 5, n. 2117 del 04/10/2023, dep. 2024, COGNOME, n.m.; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, COGNOME, Rv. 262575 – 01; Sez. 6, n. 1307 del 26/09/2002, dep. 2003, COGNOME, Rv. 223061), in quanto la motivazione della sentenza di appello «Ł del tutto congrua se il giudice abbia confutato gli argomenti che costituiscono l’ossatura dello schema difensivo dell’imputato, e non una per una tutte le deduzioni difensive della parte» (Sez. 6, n. 1307 del 29/09/2002, COGNOME, Rv. 223061 – 01).
Nel caso in esame, la doglianza si limita a proporre, in termini meramente contestativi, una propria ricostruzione e valutazione del fatto in termini contrapposti a quella concordemente svolta dai giudici dei due gradi di merito (come visto al paragrafo che precede), i quali hanno motivatamente ritenuto la sussistenza degli elementi costitutivi del reato.
La censura risulta di tal guisa inammissibile per genericità.
La censura relativa alla rideterminazione della pena Ł manifestamente infondata per effetto della infondatezza della doglianza relativa alla riqualificazione del fatto, alla quale era ancorata.
La doglianza relativa alla omessa risposta in relazione all’articolo 131bis cod. pen. Ł inammissibile.
Ed infatti, dal non contestato riepilogo dei motivi di appello (sull’obbligo di contestare a pena di inammissibilità tale riepilogo ove non conforme ai motivi di appello vedi, ex multis , Sez. 3, n. 11830 del 13/03/2024, COGNOME n.m.; Sez. 3, n. 8657 del 15/02/2024, Immobile, n.m.; Sez. 3, n. 33415 del 19/05/2023, COGNOME n.m.; Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, COGNOME, Rv. 270627 – 01; Sez. 2, n. 9028/2014 del 05/11/2013, COGNOME, Rv. 259066), emerge che l’applicazione della causa di non punibilità ex art. 131bis cod. pen. non era stata dedotta tra i motivi di appello nØ in sede di conclusioni, con conseguente tardività.
La ammissibilità del primo motivo di ricorso, ancorchØ infondato, impone alla Corte di verificare la sussistenza di eventuali cause estintive che, tuttavia, non sono occorse nel caso di specie, in considerazione del periodo di sospensione della prescrizione (695 giorni) e dell’epoca di commissione dei reati (le due piø risalenti violazioni di sigilli sono state realizzate, rispettivamente, il 01/02/2016 e 30/03/2016, per cui la prescrizione maturerà nel 2025).
Il ricorso, in conclusione, deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 14/11/2024 Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME