Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 32264 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 32264 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 10/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CASTELFRANCO VENETO il 16/03/1963
avverso la sentenza del 21/10/2024 della Corte d’appello di Venezia Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza la Corte d’appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Treviso, ha dichiarato non doversi procedere in relazione al capo A) – art. 256 comma 3 d.lgs n. 152 del 2006 -, e ha rideterminato la pena in relazione al capo B) – art. 349 cod.pen.-, perché, quale custode giudiziario del sito sede operativa della Veneta Trasporti, già dichiarata fallita, di cui era amministratrice pro tempore, violava i sigilli apposti scaricando o consentendo ad altri di scaricare oltre 200 m 3 di rifiuti di vario genere. Accertato in Loria il 7 agosto 2018.
Avverso la sentenza ha presentato ricorso per cassazione l’imputata, a mezzo del difensore, deducendo, con un unico motivo di ricorso, la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla sussistenza del reato contestato di violazione di sigilli in luogo dell’illecito amministrativo di cui all’art. 350 cod.pe per non essersi attivata per denunciare la rimozione dei sigilli, stante l’assenza di prova in capo alla ricorrente della violazione degli stessi. La corte territoriale avrebbe reso una motivazione illogica là dove avrebbe ritenuto provata la responsabilità dell’imputata in ragione della presenza di cassoni marchiati Raccolta Veneta, circostanza dalla quale si dovrebbe dedurre che i rifiuti ivi contenuti erano
stati trasportati coi suddetti cassoni dalla COGNOME, già consigliera d amministrazione della Raccolta Veneta, fallita nel 2016.
Il Procuratore generale ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché diretto a richiedere una rivalutazione del fatto ed anche manifestamente infondato.
La corte territoriale, per quanto qui di rilievo, ha confermato la responsabilità penale dell’imputata per il reato di violazione di sigilli, quale custod giudiziario nominato all’atto della perquisizione del terreno, nel 2016, terreno condotto in locazione dalla RAGIONE_SOCIALE, di cui la COGNOME era legale rappresentante e oggetto di sequestro in quanto adibito a discarica, perché violava i sigilli scaricando o consentendo a terzi di scaricare oltre mc. 2000 di rifiut accertato il 07/08/2018.
Argomentano i giudici del merito che dagli accertamenti svolti dalla PG nel 2018, era stata dimostrata la violazione dei sigilli apposti all’area sequestrata, adibita a discarica, in quanto era stato constatato lo scarico di ulteriori rifiut ingente quantità, contenuti in sette cassoni della RAGIONE_SOCIALE, società di cui l’imputata era stata consigliere di amministrazione, cassoni utilizzati per trasportare e depositare i rifiuti presso il sito della Veneta Traporti, già sottopos a sequestro, società di cui l’imputata era legale rappresentante fino al 2017 e, in quanto custode giudiziario era responsabile della violazione, in cui contesto nel quale era ben consapevole degli accessi al fondo lamentati dal proprietario dell’area Borsato.
Occorre considerare che la fattispecie aggravata del reato in questione (art. 349, cpv., cod. pen.) individua il custode quale autore materiale e diretto della violazione dei sigilli apposti sulla cosa affidata alla sua custodia.
Nel caso in cui tale condotta dovesse esser posta da altri, egli risponderà: a) dell’illecito amministrativo di cui all’art. 350 cod. pen., ove la violazione d sigilli dovesse esser stata agevolata, o comunque resa anche solo possibile, dall’esercizio negligente (o dal mancato esercizio) dei doveri a lui facenti capo; b) del reato di cui all’art. 349, cpv., cod. pen., ove sia provato il concorso doloso nell condotta dell’autore principale della violazione o comunque la dolosa violazione dell’obbligo di impedirla (art. 40, cpv, cod. pen.) (Sez. 3, n. 7371 del 13/07/2016, Marra, Rv. 269192 – 01).
Dunque, l’indagine che il giudice deve compiere, deve in ordine logico, accertare in primo luogo, se il custode sia responsabile quale autore materiale o concorrente nel doloso mancato impedimento dell’evento, situazione che esclude in radice, la possibilità di configurare l’illecito amministrativo di cui all’art cod.pen. che sanzione il mancato adempimento colposo dei doveri di custodia.
Infatti, sul custode incombono doveri di vigilanza e custodia, ma, osserva il Collegio, il mancato adempimento di tali doveri può fondare, al tempo stesso, un addebito di natura dolosa o colposa. Ciò che conta è l’atteggiamento psicologico rispetto all’evento, non il solo dato della violazione dei doveri (ancora Sez. 3, n. 7371 del 13/07/2016, Marra, Rv. 269192 – 01).
Ciò posto, la sentenza impugnata ha argomentato che il mancato adempimento dei doveri inerenti alla custodia, essendo stata nominata custode giudiziario all’atto del sequestro, nomina mai revocata e/o venuta meno, essendo del tutto irrilevante la cessazione dalla carica sociale in seno alla RAGIONE_SOCIALE era conseguente al doloso mancato impedimento dell’evento (violazione dei sigilli) conseguente allo scarico di rifiuti riferibili ad attività connesse e poste in essere da società alla medesima riferibile (Raccolta Veneta), in un contesto nel quale il proprietario dell’area si era ripetutamente lamentato degli abusivi accessi nell’area sottoposta a sequestro.
Il convincimento del giudice, anche in punto elemento soggettivo, è fondato su elementi presenti in atti e supportato da motivazione logica, coerente e fondata su fatti concreti, a fronte della quale, ogni diversa valutazione del fatto non è ammissibile in questa sede, mentre la dedotta violazione di legge in relazione alla qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 350 cod.pen. è manifestamente infondata tenuto conto della ritenuta responsabilità della Cusinato quale autore materiale del fatto, quantomeno quale concorrente ex art. 40 cpv cod.pen. con il terzo autore materiale, ed essendo corretta l’affermazione, contenuta in sentenza, secondo la quale è onere del custode addurre gli specifici elementi che gli hanno impedito di attivarsi.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e la ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così è deciso, 10/09/2025