Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 24320 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 24320 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 17/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PUGLIESE COGNOME nato a COTRONEI il 10/02/1947
avverso la sentenza del 09/09/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME
ESPOSITO
che ha concluso chiedendo il rigetto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 09/09/2024, la Corte di appello di Torino, a seguito di giudizio di r disposto dalla Sezione Terza penale della Corte di cassazione, in parziale riforma della senten emessa dal giudice di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere nei confront dell’imputato NOME COGNOME in relazione alle contravvenzioni contestate di cui al ca imputazione A) e B) in quanto estinte per intervenuta prescrizione, e lo ha assolto dei deli cui agli artt. 256 comma 3 e 265 bis D.Lvo n.152 del 2006 (capo di imputazione F) per non aver commesso i fatti, rideterminando la pena per il residuo reato di cui all’art. 349 cod. pen. C) in mesi 8 di reclusione, confermando nel resto la sentenza impugnata.
2.Avverso la suddetta sentenza ricorre per cassazione NOME COGNOME affidando ricorso a due motivi.
2.1. Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio motivazione in relazione all’affermazione della responsabilità per il reato di cui all’art. 3 pen. così come descritto nel capo di imputazione C), ove si contesta al ricorrente di a materialmente rimosso i sigilli apposti in data 24/11/2017, di aver ulteriormente edifi manufatti abusivi costruendo un capannone e altri vani e di aver realizzato e gestito discarica abusiva. Evidenzia GLYPH il ricorrente, tuttavia, che delle suddette tre condot originariamente contestate nel capo di imputazione, GLYPH ne residua solo una, ossia quella consistente nella materiale rimozione dei cartelli e dei nastri apposti sull’area, in quanto e dagli atti che i carabinieri presenti alla data del primo accertamento (10/08/2017) avevano constatato la realizzazione delle ulteriori opere abusive; con la conseguenza che queste n potevano ritenersi effettuate dopo il 2017, ossia in data successiva alla apposizione dei si essendo già esistenti nel 2017, come correttamente aveva affermato il giudice di primo grad alla pagina 10 della sentenza. Quanto alla condotta inerente alla realizzazione e gestione de discarica abusiva di cui al capo F), la Corte territoriale ha assolto l’imputato per no commesso il fatto.
Ne segue che la violazione di sigilli non è avvenuta con una pluralità di condotte, così c contestata nel capo di imputazione.
Erronea ed illogica è anche l’affermazione della responsabilità che il giudice territoria argomentato inferendo dalla precedenti penali e dalla personalità dell’imputato, considera peraltro che i precedenti risalgono al 1994 e che l’affermazione della responsabilità non essere desunta da caratteristiche soggettive dell’autore.
Difetta anche l’elemento soggettivo del dolo, in quanto al ricorrente era stata notifica comune un’ingiunzione di Rimessa in pristino delle opere entro 90 giorni e che pertanto ricorrente aveva iniziato a rimuovere il materiale contenuto all’interno dei vari manufatt peraltro, rischiavano di ammalorarsi. Il Pugliese ha quindi frainteso gli ordini, in quanto
parte l’autorità giudiziaria, nel porre sotto sequestro l’area e nominare il ricorrente cu aveva intimato la conservazione dello stato dei luoghi, mentre l’autorità amministrativa imponeva di rimuovere le masserizie e gli altri oggetti che ingombravano l’area. Peraltro, anc nell’ordinanza comunale di ingiunzione di sgombero nulla era indicato in ordine alla necessi di acquisire un’autorizzazione prima di poter accedere nell’area sotto sequestro.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, nonché violazione del divieto di reformatio in peius, posto che il giudice di primo grado aveva escluso la recidiva, considerato che tutt precedenti risalgono ad almeno 30 anni prima, aveva concesso le attenuanti generiche nella massima estensione, riducendo la pena di un terzo, mentre la Corte territoriale ha ritenuto circostanze generiche concesse dal primo giudice equivalenti all’aggravante dell’art. 349 comma 2 cod. pen., comunque applicando la riduzione ai sensi dell’art. 62 bis cod. pen. in mis inferiore di un terzo.
Il Procuratore generale presso questa Corte, con requisitoria scritta, ha chiesto il ri del ricorso.
Il difensore del ricorrente ha depositato conclusioni scritte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1. Si premette che il reato di violazione di sigilli è posto a tutela dell’interesse andamento della pubblica amministrazione, con specifico riferimento all’interesse al rispett alla custodia simbolicamente impressa su cose mobili e immobili con l’apposizione di sigilli fine di assicurare i suddetti beni da ogni atto di disposizione o di manomissione da part persone non autorizzate (art. 97 Cost.). Oggetto specifico della tutela penale non è quindi res materiale assicurata dai sigilli su di essa apposti ma più precisamente il mezzo giuridico ne garantisce l’ intangibilità. In sostanza, la protezione penale non riguarda la cosa in sé, potrebbe prima facie arguirsi pensando ad atti di disposizione o di manomissione, ma concerne proprio la forma simbolica apposta sulla cosa con cui si manifesta la volontà della pubbl amministrazione di volerne garantire conservazione ed identità. Si afferma in giurisprudenz pertanto, che più che la materialità dei sigilli, è sostanzialmente la loro funzione di cust essere oggetto di tutela penale, sicché il reato si configura anche se la cosa assicurata è rima intatta o anche se i segni simbolici apposti ( i sigilli ) siano rimasti inalterati, rilevando rispetto dello stato di custodia della res, che ne garantisce al la conservazione o l’identità. Ne segue che la violazione di sigilli può essere integrata da qualsiasi condotta ( è reato a f libera) che muti lo stato del bene al quale gli stessi sono stati apposti al fine di im qualunque modifica, essendone interdetto un qualunque uso.
Nel caso in disamina il giudice a quo ha affermato la sussistenza degli estremi del reato di violazione dei sigilli, in quanto, come affermato dallo stesso ricorrente, egli aveva fatto a
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in una parte dell’area oggetto di sequestro, su cui erano stati apposti i sigilli e che al mo dei controlli risultavano rimossi, al fine di eseguirvi interventi resisi necessari a causa perdita d’acqua, senza aver previamente richiesto l’autorizzazione ad accedere nel fondo per i tempo necessario alla rimozione dei sigilli.
1.2. GLYPH Quanto all’elemento soggettivo, si ricorda che esso è integrato dal dolo generico per cui è sufficiente che il soggetto attivo si rappresenti e voglia realizzare la violazione d apposti per legge o sulla base di un provvedimento dell’autorità competente, senza che sia necessario il fine specifico di recare un “vulnus” alla conservazione o all’identità dell sequestrata. Il momento conoscitivo del dolo si sostanzia nella consapevolezza, da parte dell’agente della esistenza e della natura dei sigilli, resa possibile oltre che dalla signif esteriore mediante l’apposizione dei segni, anche dalla pregressa conoscenza della loro apposizione, come nel caso in cui la fattispecie contestata sia stata commessa dal custode, s cui grava un dovere di vigilanza.
Alla luce di tali premesse, in ordine al profilo relativo alla erronea convinzione da par ricorrente di essere autorizzato ad accedere al fondo interdetto, reiteratamente proposto d ricorrente con il ricorso per cassazione, si richiama quanto affermato dal giudice a quo, il quale ha evidenziato che l’imputato non poteva addurre a propria discolpa l’ingenuità, l’ignoranza o mancata conoscenza della necessità di chiedere l’autorizzazione alla rimozione dei sigil all’autorità giudiziaria al fine di espletare l’intervento di straordinaria manutenzione assume gli sia stato intimato, essendo consapevole del dovere di astenersi dal frequentare luoghi nonostante gli fosse inibito. Egli, infatti, era a consapevole di essere destinatari obblighi di vigilanza a fini conservativi, previsti nel provvedimento di nomina a custode da p dell’autorità giudiziaria, che certamente non potevano essere eliminati o sospesi per effe dell’intervento dell’autorità amministrativa. Peraltro, anche il giudice di primo grado escluso che l’imputato abbia potuto equivocare il contenuto dell’ingiunzione del Comune d Caselle Torinese, con il quale veniva ordinata la rimozione dei manufatti abusivamente edifica e non la rimozione del materiale ivi contenuto, quali pane scaduto, masserizie abbandonate, bottiglie d’acqua eccetera che il Puglisi afferma di aver rimosso, come si evince dall’ingiunz comunale allegata al ricorso ed esaminata dal primo giudice, ove, peraltro, si ingiun espressamente al Pugliese di rimuovere i manufatti abusivamente edificati e di ripristinare stato dei luoghi, evidenziando che l’intervento dovesse avvenire previo dissequestr dell’immobile, senza pregiudizio delle sanzioni penali.
2.Quanto alla reformatio in peius della sentenza impugnata dal solo imputato, si ribadi che non viola il divieto il giudice dell’impugnazione che, quando muta la struttu continuato- come avviene qualora la regiudicanda satellite diventi quella più grave qualificazione giuridica di quest’ultima- apporti per uno dei fatti unificati dall’iden criminoso un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non i una pena complessivamente maggiore (Sez. 2, n. 2867 del 26/11/2021, dep. 2022, Mont 282518 – 02). Inoltre, nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento della condanna
più grave ritenuto in continuazione, il giudice, nel determinare la pena per il reato satelli è vincolato alla quantificazione già effettuata in termini di aumento ex art. 81, comma secon cod. pen., ma, per il divieto di reformatio in peius, non può irrogare una pena più grave, per specie e quantità, di quella base stabilita nel provvedimento di condanna annullato, purc superiore al minimo edittale previsto per tale reato satellite, configurandosi altrimenti un’ di pena illegale (Sez. 4, n. 9176 del 31/01/2024, S., Rv. 285873)
Si precisa che, nel caso in disamina, il giudice di primo grado aveva applicato l’aumen alla pena determinata per il reato più grave di cui al capo F), pari a anni tre di reclusione; ridotto la pena ai sensi dell’art. 62 bis cod. pen. a anni due di reclusione e aveva app l’aumento di mesi uno per la continuazione con la fattispecie di cui all’art. 256 comma 3, d. 152 del 2006, e aumentata la pena di mesi quattro di reclusione per la continuazione con reato di cui all’art. 349 comma 2, cod. pen., applicando gli ulteriori aumenti per gli al satellite e giungendo alla pena finale di anni due e mesi otto di reclusione.
La Corte di appello, in sede di giudizio di rinvio, in parziale riforma della sentenza impug ha emesso pronuncia di condanna per il solo reato di violazione di sigilli cui al capo C), applic la pena di mesi otto di reclusione ed euro duecento di multa.
Ciò posto, il divieto di reformatio in peius non risulta violato, in quanto il Giudice del rinvi ha quantificato la pena complessiva in misura inferiore rispetto a quella precedentement stabilita e ha ritenuto, nell’esercizio del proprio potere discrezionale, di effettuare un gi equivalenza tra l’aggravante di cui all’art. 349, comma secondo, cod. pen. e le circosta attenuanti generiche che il giudice di primo grado aveva applicato per il reato di cui all’a bis D.Lvo n.152 del 2006 (capo di imputazione F).
Risulta infatti che, in primo grado, l’imputato era stato condannato anche per un altro re ( contestato nel capo F) che era stato anzi ritenuto più grave, ragion per cui il reato di capo C), oggetto di esame in questa sede, era stato considerato, nell’ottica della continuazio reato-satellite, con il conseguente aumento di pena ex art. 81, comma 2, cod. pen. In appello intervenuta assoluzione per il reato di cui al capo F) ed è stata invece confermata la condan per il delitto di cui al capo C). Ne è derivato che la pena per quest’ultimo reato è stata quant in via autonoma e non ex artt. 81, comma 2, cod. pen., essendo venuto meno il reato-base e quindi la continuazione. Non può pertanto porsi un problema di reformatio in peius, non essendo giuridicamente possibile istituire alcuna comparazione fra il trattamento sanzionatorio appli in primo grado e quello applicato in appello, attesa l’evidente alterità fra la quantificazio pena operata ex se, per un reato, e quella effettuata nell’ambito dell’istituto della continua
Venuta meno l’aggravante prevista dal secondo comma dell’art. 349 cod. pen., la Corte territoriale ha quindi determinato la pena assumendo il minimo edittale della fattispecie b prevista dal primo comma dell’art. 349 cod. pen., che punisce il reato con la reclusione da mesi a tre anni e con la multa da euro 103 a euro 1032, determinando quindi la pena in misura prossima al minimo edittale, pari a mesi 8 di reclusione.
3.11 ricorso va dunque dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila, determinata secondo equità,
in favore della Cassa delle ammende.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processua e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 17/04/2025