Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 46270 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 46270 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 13/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto: dalla parte civile COGNOME NOMECOGNOME nato a CONDOFURI il 02/06/1942
dalla parte civile NOMECOGNOME nata a CERTALDO il 21/10/1963 nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME nata a VENEZIA il 22/05/1947
avverso la sentenza del 07/11/2023 della CORTE APPELLO di VENEZIA visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, COGNOME che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi;
letta la memoria dei ricorrenti che, a mezzo del difensore, avv. NOME COGNOME hanno insistito per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Venezia, in riforma della decisione di primo grado, assolveva NOME COGNOME dai delitti di ragion fattasi e violazione di domicilio per insussistenza del fatto.
Avverso la richiamata sentenza propongono ricorsi per cassazione le parti civili NOME COGNOME e NOME COGNOME che, con il comune difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME articolano tre motivi di impugnazione di identico tenore, di seguito ripercorsi entro i limiti previsti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., e correlato vizio di motivazione per la mancata acquisizione e valutazione dei documenti prodotti in appello dal proprio difensore.
In particolare denunciano che non sono state considerate le sentenze civili, ormai passate in giudicato, con le quali è stata accertata l’esistenza di un negozio fiduciario tra loro e la COGNOME in forza del quale quest’ultima aveva l’obbligo di ritrasferire agli stessi l’immobile (in cui erano stati commessi i delit ascritti), del quale era stato disposto così il trasferimento coattivo della proprietà ad essi ricorrenti ex art. 2932 cod. civ., condizionando solo la produzione dell’effetto traslativo al versamento in favore della stessa COGNOME della somma di euro 76.000,00 a titolo di saldo del prezzo. Di conseguenza la sentenza impugnata, nell’affermare che il diritto di proprietà di essi ricorrenti non emergeva da alcun documento, non aveva correttamente vagliato la rilevanza delle indicate sentenze.
2.2. Mediante il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell’obbligo di motivazione rafforzata che la decisione della Corte territoriale avrebbe dovuto rispettare per ribaltare l’esito condannatorio della pronuncia di primo grado, poiché, a fronte dell’ampio apparato argomentativo su cui la stessa si era fondata, la sentenza resa in sede di gravame avrebbe argomentato apoditticamente, omettendo di confutare le specifiche argomentazioni contrarie esposte nella pronuncia del Tribunale.
Di qui i ricorrenti ripercorrono la vicenda concreta e sottolineano che, ad ogni modo, con lettera del 5 dicembre 2016, ricevuta dalla COGNOME nella data del 22 dicembre 2016, avevano formalizzato alla stessa la richiesta di procedere alla divisione dell’immobile, secondo il programma concordato anni prima,
evidenziando nella medesima missiva, prodotta in giudizio, di essere nel possesso incontestato dell’immobile al piano terra a far data dall’anno 2008.
Dacché sottolineano che la decisione di primo grado era ragionevolmente pervenuta ad una condanna dell’imputata in quanto l’appartamento al piano terra costituiva loro luogo di privata dimora, e del quale avevano il possesso, come attestato tanto dalle dichiarazioni testimoniali quanto dalla necessità per l’imputata di commettere effrazione per introdursi nell’abitazione.
2.3. Con il terzo motivo i ricorrenti assumono violazione degli artt. 614 e 393 cod. pen. e vizio di motivazione poiché la Corte d’Appello di Venezia ha fondato la decisione assolutoria su una pretesa ambiguità della situazione complessiva senza considerare che il delitto di cui all’art. 614 cod. pen. tutela non il diritto formale di proprietà ma il rapporto di fatto con l’abitazione. Sottolineano che la situazione di fatto, ossia che l’immobile era adibito da lungo tempo a loro privata dimora, era nota alla ricorrente che, tra l’altro, aveva ricevuto una loro missiva nella quale si faceva riferimento ad un incontestato possesso sin dall’anno 2008 prima di entrare nella loro abitazione. Lettera dalla quale si evinceva anche l’integrazione del delitto di ragion fattasi perché, a fronte del ricevimento della missiva, la COGNOME avrebbe dovuto far valere semmai le proprie ragioni in sede giudiziaria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi dei ricorsi, suscettibili di valutazione unitaria, sono fondati.
La decisione impugnata, invero, effettivamente erra nell’intendere, laddove incentra le proprie valutazioni sull’esistenza, o meno, di un legittimo titolo di possesso dell’immobile in capo ai ricorrenti, rispetto al pacifico diritto proprietà della COGNOME, il bene giuridico tutelato dal delitto di cui all’art. 614 cod. pen., che è, invece, quello, inviolabile anche sul piano costituzionale, al godimento indisturbato del domicilio, inteso come proiezione spaziale della persona (tra le altre, Corte Cost. sent. n. 117 del 2021; n. 135 del 2022).
In questo senso si è posta, da tempo risalente, anche la giurisprudenza della Corte di cassazione osservando che il diritto alla inviolabilità del domicilio può essere fatto valere anche nei confronti del proprietario o del conduttore dell’immobile poiché la tutela contemplata dall’art. 614 cod. pen. riguarda chiunque risieda in un’abitazione o in un altro luogo equiparabile (Sez. 5, n. 10601 del 10/06/1982, COGNOME, Rv. 156034 – 01).
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La violazione del domicilio presuppone, in particolare, la sua esistenza reale ed attuale, con l’esercizio di tutte le attività domestiche che godono della tutela della legge penale. L’attualità dell’uso, cui è collegato il diritto alla tutela del libertà individuale, sotto il profilo della libertà domestica, non implica la sua continuità e, pertanto, non viene meno in ragione dell’assenza, più o meno prolungata nel tempo, dell’avente diritto, la quale, qualora non sia accompagnata da indici rivelatori di un diverso divisamento, non comporta affatto, di per sè sola, la volontà di non tornare ad accedere all’abitazione e meno che mai quella di abbandonare definitivamente il domicilio (Sez. 5, n. 21062 del 05/03/2004, COGNOME, Rv. 229190 – 01).
Anche sotto tale aspetto la pronuncia impugnata non ha considerato che, nella fattispecie in esame, dalla documentazione agli atti del giudizio richiamata dalle parti civili, non emerge una “situazione confusa”, bensì la consapevolezza in capo alla COGNOME dell’occupazione – fosse o meno essa legittima dell’appartamento situato al piano terra da parte dei ricorrenti, atteso che ella aveva ricevuto una missiva pochi mesi prima dei fatti per cui è processo nella quale gli stessi facevano riferimento anche alla circostanza che sin dall’anno 2008 erano nel possesso indisturbato dell’appartamento medesimo.
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, che provvederà anche sulle spese sostenute dalle parti civili ricorrenti nel giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Così deciso in Roma il 13 novembre 2024 Il Consigliere Estensore COGNOME
Il P esidente