Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2509 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2509 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/11/2022 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito l’AVV_NOTAIO, per il ricorrente, che si è riportato ai motivi di ricorso e ha insistito per l’accoglimento dello stesso.
RITENUTO IN FATTO
La sentenza impugnata è stata emessa il 23 novembre 2022 dalla Corte di appello di Palermo, che ha confermato la pronunzia del Tribunale di Termini Imerese di condanna di NOME COGNOME per il reato di violazione di domicilio. Il reato sarebbe stato commesso dall’imputato introducendosi in un’area di proprietà di NOME COGNOME confinante con la sua, dove la persona offesa stava svolgendo dei lavori ad un pozzo ivi situato con l’aiuto di alcuni operai.
Avverso la sentenza anzidetta l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Il primo motivo di ricorso lamenta vizio di motivazione e violazione di legge quanto alla prova del dissenso dell’COGNOME all’accesso dell’imputato nel terreno. L’istruttoria dibattimentale, in particolare l’escussione degli operai che stavano coadiuvando la persona offesa, aveva evidenziato che COGNOME stava effettuando dei lavori di pulizia del cancelletto posto al confine tra le due proprietà e che COGNOME non aveva manifestato contrarietà al suo ingresso nell’area di sua spettanza. Il Tribunale aveva ritenuto sufficiente ad integrare il reato che non vi fosse stato un consenso, espresso o tacito, all’ingresso del prevenuto da parte della persona offesa, mentre la Corte di appello ha parlato di dissenso presunto, legato al fatto che l’area era recintata e chiusa da un cancelletto assicurato con un lucchetto. Ciò – sostiene il ricorrente – sarebbe frutto di un travisamento della prova, perché COGNOME ebbe accesso all’area attraverso il cancelletto di cui possedeva le chiavi, in ragione del fatto che occorreva consentire ai proprietari l’utilizzo del pozzo di uso comune. Tale disponibilità sarebbe eloquente di un tacito assenso della persona offesa all’accesso presso l’area di sua proprietà. Non solo. Il possesso delle chiavi e la consuetudine ventennale all’accesso all’area denoterebbero la mancanza di consapevolezza, in capo al ricorrente, del dissenso della persona offesa ovvero l’errore di fatto ex art. 47 cod. pen.
2.2. Il secondo motivo di ricorso denunzia vizio di motivazione e violazione di legge in ordine all’esimente putativa dell’esercizio di un diritto. Come ammesso dalla persona offesa in dibattimento, il cancello attraverso il quale COGNOME era entrato nella proprietà della persona offesa aveva la funzione di consentire agli eredi COGNOME di esercitare la servitù di accesso al pozzo per attingere acqua. I diritti su quella particella – la n. 617 – e sul pozzo ivi situato discendevano dal frazionamento di quella che era inizialmente un’unica proprietà, poi suddivisa in due lotti, una di proprietà di NOME COGNOME e l’altra di proprietà di tale COGNOME, dante causa di COGNOME. Dal frazionamento fu esclusa, poiché indivisibile, la particella 617, sulla quale insisteva il pozzo che serviva entrambe le proprietà. Il ricorrente ricorda che il Tribunale aveva valorizzato contra reum, a comprova della sussistenza del coefficiente soggettivo del reato, che vi fosse stata, 1’8 agosto 2016, la revoca dell’autorizzazione di accesso al pozzo concessa dal Genio civile e, il 18 marzo 2018, il provvedimento del Tribunale di Termini Imerese, che aveva stabilito che la particella 617 era di esclusiva proprietà di RAGIONE_SOCIALE; e che la Corte di appello ha, invece, evocato il primo dei due provvedimenti. Ebbene, vi sarebbe un evidente travisamento della prova da parte di entrambi gli organi giudicanti, perché i fatti si collocano in data
anteriore ad entrambi i provvedimenti, giacché, il 9 giugno 2015, nessuno ancora dubitava della comunione della particella 617, tanto che la natura indivisa della proprietà del sito risultava dalla visura catastale. Aggiunge il ricorrente che, il 22 maggio 2015, appena un mese prima dei fatti, la moglie dell’imputato, la signora COGNOME, aveva chiesto ed ottenuto dal genio civile di Palermo il riconoscimento dell’uso delle acque del pozzo, quale comproprietaria. Ne consegue che il COGNOME era convinto della sua facoltà, quale coniuge della COGNOME, di accedere al pozzo e tanto derivava anche dal contegno di COGNOME, che non aveva mai assunto iniziative tese a disconoscere la contitolarità dei COGNOME dell’area del pozzo. Le stesse foto allegate alla querela di COGNOME, prodotte dal patrono di parte civile, recavano delle didascalie ammissive della proprietà comune del pozzo. All’epoca dei fatti, quindi, l’uso condiviso del pozzo e la facoltà di attraversamento della proprietà 3444 erano dati pacifici. La situazione era mutata a distanza di oltre un anno dall’episodio per cui è processo, quando il Genio civile, 1’8 agosto 2016, aveva ritenuto il diritto di uso esclusivo del pozzo da parte di COGNOME, segnando, così, un revirement della medesima autorità. Ne conseguirebbe – sostiene il ricorrente – la prova dell’insussistenza del dolo della fattispecie, laddove, solo successivamente ai fatti e solo a seguito di articolate istruttorie amministrative e giudiziarie, si era raggiunta la conclusione dell’inesistenza del diritto della COGNOME di accedere al pozzo attraverso la particella 3444.
2.3. Il terzo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al diniego del proscioglimento ex art. 131-bis cod. pen. I precedenti sconfinamenti cui si è riferito il Tribunale – a sostegno del diniego non risultavano dagli atti del processo utilizzabili per la decisione. La Corte di appello, inoltre, ha ritenuto di dover verificare l’assenza di offensività della condotta, che è carattere estraneo all’istituto in discorso e che, laddove esistente, determinerebbe l’irrilevanza penale del fatto e non già il proscioglimento in parola.
Il presente ricorso era stato inizialmente fissato dinanzi alla settima sezione penale, il Collegio ha ritenuto che il ricorso non fosse inammissibile ed ha rimesso gli atti a questa quinta sezione.
La difesa dell’imputato ha presentato memoria e motivi nuovi.
Il ricorrente, in primo luogo, ribadisce la mancanza di un dissenso esplicito o, comunque, inequivocabile della persona offesa rispetto all’esclusione dei vicini dall’area del pozzo. La circostanza che il pozzo si trovasse nel giardino della proprietà della persona offesa – valorizzata dalla Corte di appello per reputare
comprovato il dissenso – sarebbe un argomento che prova troppo perché non basta l’esistenza di un ostacolo fisico a provare l’esercizio dello ius excludendi alios; occorre verificare, infatti, le circostanze della condotta che, nel caso di specie, smentiscono che la persona offesa avesse manifestato un dissenso penalmente rilevante – ma, anzi, accreditano l’idea che vi fosse un consenso tacito dell’offeso – perché COGNOME aveva fatto ingresso nella particella di COGNOME attraverso il cancelletto che divideva le due proprietà, di cui aveva le chiavi e che consentiva di raggiungere il pozzo all’epoca di uso comune. Ciò testimonierebbe anche la mancanza del coefficiente soggettivo. Il ricorrente, quindi, ribadisce la denunzia di travisamento della prova mossa ad entrambe le sentenze di merito nel ricorso circa la collocazione temporale del provvedimento del Genio civile di revoca dell’autorizzazione all’uso del pozzo.
Quanto al mancato proscioglimento ex art. 131-bis cod. pen., il ricorrente, oltre a ribadire quanto già affermato nel ricorso, ha invocato l’applicazione delle modifiche introdotte dal d.lgs 150 del 2022, secondo cui può essere valorizzata anche la condotta successiva al reato, condotta che, nella specie, era stata caratterizzata dall’assenza di ulteriori condotte analoghe, anche prima che vi fossero i provvedimenti negativi delle autorità amministrative e giudiziaria, a testimonianza di un’inclinazione del ricorrente alla composizione bonaria della vicenda.
CONSIDERATO IN DIRITTO
A . I1 ricorso è fondato, nei termini di seguito precisati.
Esso, in particolare, coglie nel segno quando denunzia che la sentenza impugnata abbia omesso di confrontarsi con la circostanza di fatto – propugnata nell’atto di appello – secondo cui il ricorrente possedeva le chiavi del cancelletto e vi poteva avere accesso e che tale accesso era consentito. In questo senso, la decisione avversata replica l’errore di percezione del Tribunale, che aveva collocato il procedimento di revoca dell’autorizzazione in data antecedente alla condotta – quale dato dimostrativo della consapevolezza del ricorrente di non poter accedere al fondo e, in definitiva, dell’inesistenza del diritto stesso quando tale provvedimento è successivo rispetto ai fatti.
Altro aspetto carente della sentenza impugnata è dato dal ragionamento sul dissenso implicito all’accesso al fondo legato alla presenza del cancelletto munito del sistema di chiusura, ragionamento svolto liquidando con una veloce battuta le argomentazioni dell’appellante secondo cui egli possedeva le chiavi del cancelletto, il che non ne faceva un sistema di delimitazione che avesse una sua eloquenza della volontà della persona offesa, a maggior ragione laddove, nella
particella di proprietà di quest’ultima, vi era il pozzo il cui diritto di utilizzo e controverso.
Le considerazioni suesposte fanno ritenere assorbito il motivo di ricorso sul mancato proscioglimento ex art. 131-bis, motivo peraltro anch’esso fondato laddove la risposta della Corte di appello ha fatto riferimento ad un dato – la mancanza di inoffensività della condotta – che non è tra i presupposti per accedere all’istituto di favore.
La fondatezza del ricorso impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, perché deve prendersi atto che, il 9 dicembre 2022, è maturata la prescrizione, decorsi sette anni e sei mesi dalla data del commesso reato.
Quanto al profilo civilistico della vicenda, all’annullamento della decisione avversata consegue il rinvio al Giudice civile competente per valore in grado di appello.
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, perché il reato è estinto per prescrizione. Annulla altresì la sentenza impugnata agli effetti civili con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Così deciso l’1/12/2023.