Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 13821 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 13821 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/12/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME, nato ad Anzio (Rm) il DATA_NASCITA;
COGNOME NOME, nata ad Albano Laziale (Rm) il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza n. 1096/2023 della Corte di appello di Roma del 25 gennai 2023;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e i ricorsi introduttivi;
sentita la relazione fatta dal AVV_NOTAIO COGNOME;
letta la requisitoria scritta del PM, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME COGNOME, il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità de ricorsi
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 25 gennaio 2023 la Corte di appello di Roma ha riformato, sia con riferimento alla posizione di COGNOME NOME che con riferimento alla posizione di COGNOME NOME, la sentenza con la quale il precedente 21 aprile 2021 il Tribunale di Velletri, avendo deciso in esito a giudizio celebrato nelle forme del rito ordinario, aveva dichiarato la penale responsabilità dei due imputati in ordine al reato di violazione dei sigill commesso in concorso da entrambi, ritenuto aggravato quanto all’uomo dalla qualifica di custode del bene oggetto di sequestro da lui rivestita, ed in ordine a talune contravvenzioni in materia edilizia e paesaggistica ascritte alla sola COGNOME; per tali imputazione i due, riconosciute ad entrambi le circostanze attenuanti generiche, equivalenti alla contestata aggravante per ciò che attiene al COGNOME, e ritenuta, quanto alla COGNOME, la continuazione fra i reati a l contestati, erano stati condannarti dal giudice di primo grado rispettivamente alla pena di mesi 9 di reclusione ed euri 150,00 di multa il primo ed alla pena di mesi 7 di reclusione ed euri 150,00 di multa la seconda.
In parziale accoglimento del gravame interposto dai due imputati la Corte di appello capitolina proscioglieva la COGNOME – la quale già in primo grado era stata assolta dal reato di cui all’art. 633 cod. pen, in relazione all’art. 639 cod. pen. per l’insussistenza del fatto – quanto ai reati contravvenzionali essendo gli stessi estinti per prescrizione, rideterminando, pertanto, a suo carico la residua pena in mesi 4 e giorni 10 di reclusione ed euri 130.00 di multa, mentre, per ciò che attiene al COGNOME, ritenuta la continuazione fra il reato di cui al presente giudizio e quello già oggetto di sentenza di condanna emessa in data 22 febbraio 2021 dalla medesima Corte di appello di Roma, divenuta definitiva in data 25 maggio 2021, il giudice del gravame ha rideterminato la complessiva pena in anni 1 e mesi 3 di reclusione ed euri 400,00 di multa.
Per entrambi è stato concesso il beneficio della sospensione condizionale della sanzione irrogata.
I due ricorrenti hanno proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa dalla Corte di Roma, articolando, in coda ad una ampia premessa di carattere sistematico-ricostruttivo, 5 motivi di impugnazione, alcuni comuni altri riferiti solo a taluno dei ricorrenti, qui di seguito brevemente sintetizzat
Il primo motivo di impugnazione, attinente alla ritenuta violazione della legge penale, segnatamente l’art. 349, comma secondo, cod. pen., è articolato in relazione alla attribuibilità del COGNOME della condotta integrativa dell
fattispecie aggravata di violazione dei sigilli; si assumeva, infatti, in sede impugnazione che la Corte territoriale aveva qualificato il COGNOME come custode del bene del quale erano stati violati i sigilli, considerando, quindi il Russ inadempiente al dovere di vigilanza sul bene de quo, senza tenere conto sia del fatto che non vi erano tracce dell’avvenuta nomina del COGNOME quale custode del bene sia del fatto che, essendo stato il medesimo attinto, a decorrere dal 6 dicembre 2016, dalla misura cautelare del divieto di dimora il località Tor San Lorenzo, cioè dove si trovava l’immobile segregato tramite l’apposizione dei sigilli, egli non si trovava nella materiale possibilità di verificare la perduran integrità dei medesimi.
Il secondo motivo di impugnazione, anch’esso articolato con riferimento alla ritenuta violazione di legge posta in essere dalla Corte di Roma, attiene al fatto che questa, con motivazione del tutto apparente avrebbe rigettato il gravame presentato dalla difesa del COGNOME in ordine alla sussistenza in capo al predetto dell’elemento soggettivo del reato a lui ascritto, escludendo la qualificabilità della condotta posta in essere dal ricorrente ai sensi dell’art. cod. pen.
Il terzo motivo, il cui contenuto è riferito alla violazione di legge, sono a tale proposito evocati gli artt. 6 delle CEDU, 111 della Costituzione e 546 e 605 del codice di rito penale, in relazione all’art. 349 cod. pen., attiene a qualificazione dei fatti oggetto di comune imputazione nell’ambito della violazione dell’art. 349 cod. pen. in relazione alla posizione della COGNOME, con motivazione contraddittoria ed apodittica, non avendo la Corte territoriale di Roma tenuto conto del fatto che la predetta imputata non ha mai vissuto presso l’immobile di Tor San Lorenzo di cui si discute né mai è stata trovata nel possesso delle relative chiavi, essendo anzi sopraggiunta presso di esso successivamente all’arrivo degli agenti della Polizia locale di Ardea.
Anche il successivo quarto motivo è riferito alla violazione degli artt. 43, 110 e 349 cod. pen., commessa nel ritenere sussistente in capo alla COGNOME l’elemento soggettivo tipico del reato di violazione dei sigilli; ciò sarebb avvenuto, secondo la ricorrente, con motivazione apparente, essendo stato l’elemento soggettivo ritenuto sussistente senza un’idonea spiegazione delle relative ragioni.
Infine, il quinto motivo di impugnazione attiene, nuovamente con riferimento alla violazione di legge, al rigetto del motivo di gravame afferente al trattamento sanzionatorio applicato a carico del COGNOME, in particolare relativamente alla mancata qualificazione delle circostanze attenuanti
generiche in termini di prevalenza rispetto alla contestata aggravante ed in ordine alla determinazione della pena da irrogare in danno del prevenuto.
CONSIDERATO IN DIRMO
I ricorsi, risultati infondati o inammissibili i motivi posti a loro fondamento, debbono essere entrambi rigettati.
Prendendo le mosse dalla prima lagnanza del ricorrente COGNOME, sviluppata, dichiaratamente sotto il profilo della violazione di legge ma in realtà articolata con riferimento al vizio di motivazione della sentenza impugnata (circostanza questa che di per sé si porrebbe in verosimile antinomia con l’ammissibilità del ricorso, stante la derivante perplessa prospettazione del motivo di impugnazione; si veda, infatti, al riguardo: Corte di cassazione, Sezione I penale, 25 settembre 2015, n. 39122, nella quale si legge che la denunzia cumulativa, promiscua e perplessa della inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, nonché della mancanza, della contraddittorietà e della manifesta illogicità della motivazione rende i motivi aspecifici ed il ricorso inammissibile), osserva il Collegio che, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, il dato obbiettivo che il COGNOME fosse il custode dell’immobile i cu sigilli sono stati violati è stato desunto dalla Corte di Roma dall’accertamento in tale senso, neppure posto in discussione dall’attuale ricorrente, contenuto in altra sentenza emessa a carico del COGNOME divenuta oramai definitiva; parimenti del tutto logica la deduzione che a trasmettere le chiavi dell’immobile alla COGNOME sia stato il COGNOME, laddove si rifletta sul dato, congruamente valorizzato in sede di merito, che, essendo questi il titolare dell’immobile, sol lui poteva avere consegnato le chiavi dello stesso alla donna, nessun rilevo avendo la circostanza che l’imputato, cui era giudizialmente inibito l’accesso in località Tor San Lorenzo, non abbia personalmente violato i sigilli di cui alla imputazione, avendo potuto egli avvalersi per tale attività, appunto, della consapevole collaborazione della correa. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Sfugge, pertanto, in quali termini la, plausibile, ricostruzione fattuale operata in sede di merito sia, come preteso dal ricorrente, logicamente incompatibile con altri atti del processo, non potendo certamente porsi in tale logica contraddizione né il fatto che l’imputato vivesse in Comune di Ardea, quindi non nell’immobile de quo né quello che neppure la COGNOME, anagraficamente residente in una terza abitazione, vi dimorasse (peraltro, essendo l’immobile ancora in fase di costruzione, verosimilmente non sarebbe, comunque, stato idoneo a costituire l’abitazione di chicchessia, ma non per
questo ne poteva essere modificato lo stato di fatto, alla cui preservazione erano stati predisposti i sigilli rimossi).
Anche il secondo motivo di impugnazione riguarda tematiche prive di fondamento, al di là del profilo connesso alla sua prospettazione dichiaratamente riguardante la violazione di legge ed effettivamente concernente un vizio di motivazione.
Infatti, con riferimento alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di violazione dei sigilli in capo al COGNOME, ritenuta la sicura compatibilità del reat in discorso anche con l’ipotesi del dolo generico, si osserva che, anche in questo caso con plausibile coerenza, la Corte di merito ha ritenuto fondato l’elemento soggettivo in capo all’imputato sulla scorta del dato che lo stesso, il quale come già segnalato rivestiva la qualifica di custode del bene, ha affidato le chiavi dello stesso ad una terza persona, in tal modo non limitandosi ad una condotta negligentemente inosservante degli obblighi gravanti sul custode del bene e meramente agevolatrice della violazione dei sigilli posta autonomamente in essere da soggetti terzi (atteggiamento tipico della violazione dell’art. 350 cod. pen., come ricavabile da: Corte di cassazione, Sezione III penale,23 aprile 2015, n. 16900), ma ha positivamente operato, sia pure attraverso l’intervento di altro soggetto concorrente nel reato, alla preordinata prosecuzione delle opere abusive e, pertanto, alla immutatio loci, in cui si sostanzia la materiale condotta del delitto di violazione dei sigilli.
Quanto al terzo motivo di ricorso, riferito alla posizione della COGNOME, si rileva che, come detto, il fatto che la donna non abitasse con il COGNOME non ha una sua dirimente valenza, mentre la circostanza, sostenuta in sede di ricorso, che la stessa non fosse in possesso delle chiavi dell’immobile “sigillato” è, invece, puntualmente smentita nella sentenza di merito laddove si afferma con accertamento di fatto non suscettibile di essere più posto in discussione, laddove non si articoli una censura di travisamento della prova, nella presente sede di legittimità neppure adombrata – che la stessa fu “trovata in possesso delle chiavi dell’immobile” tanto che la medesima “apriva la porta di ingresso all’unità immobiliare di sinistra, consentendo agli operanti di ispezionare l’interno” (pag. 6 della sentenza impugnata).
Si tratta, all’evidenza di contestazioni del tutto generiche e, comunque, ora irrilevanti ora inammissibili in quanto afferenti a profili fattuali della vicend adeguatamente dimostrati nella sentenza impugnata.
Il successivo motivo riguardante l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte di merito nell’affermare la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato in capo alla COGNOME appare chiaramente inammissibile per la sua palese genericità non essendosi la ricorrente confrontata con il rilievo secondo il quale, essendo lei nella disponibilità delle chiavi di accesso al manufatto, er · del tutto plausibile che lei fosse consapevole, in tale senso essendo integrato profilo del dolo generico proprio del reato in discorso, della prosecuzione delle opere ad onta della pregressa apposizione dei sigilli a tutela della stabilità del stato dei luoghi.
Trattasi, pertanto, di argomento indubbiamente non “spendibile” in sede di giudizio di valenza fra elementi accidentali del reato.
In merito all’ultimo profilo di doglianza, riguardante il trattamento sanzionatorio riservato al COGNOME, è sufficiente rilevare, quanto alla valutazione di mera equivalenza fra le ritenute attenuanti generiche e la aggravante di cui al capoverso dell’art. 349 cod. pen., che la Corte di merito ha correttamente motivato la propria valutazione, considerando che non vi era alcun dato che avrebbe potuto giustificare la prevalenza delle attenuanti generiche rispetto alla contestata aggravante; siffatto argomento, di per sé idoneo a giustificare la decisione assunta in grado di appello, non ha trovato una valida confutazione da parte del ricorrente, il quale ha, singolarmente, addotto quale elemento che avrebbe dovuto inclinare nell’invocato senso la decisione del giudicante il fatto che “la partecipazione (…del COGNOME…) al fatto non possa ritenersi provata olt ogni ragionevole dubbio”, fattore questo che, ove sussistente (si fa, ovviamente, un ragionamento “per assurdo”) avrebbe dovuto condurre non certo ad un più favorevole bilanciamento fra le circostanze di verso opposto ma, semmai, alla assoluzione, sia pure ai sensi del comma 2 dell’art. 530 cod. proc. pen., dell’imputato. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In ordine, infine, alla questione riguardante la determinazione della pena, si osserva che la stessa è stata quantificata – in riferimento alla commissione del reato ora in discussione, siccome aumento ex art. 81, cpv, cod. pen., rispetto alla pena già a lui inflitta in occasione della precedente sentenza i relazione alla quale è stata ritenuta, in accoglimento di un motivo di appello formulato dalla difesa del COGNOME, la continuazione fra i reati nelle due occasioni contestati – in soli 3 mesi di reclusione ed euri 100,00 di multa; la modestia dell’aggravamento di pena rende evidente che non vi sia stato alcun abuso da parte del giudicante di merito del discrezionale potere a lui spettante di concreta
determinazione della pena congrua a sanzionare il fatto accertato (in tale senso, infatti: Corte di cassazione, Sezione VI penale, 22 novembre 2022, n. 44428).
Conclusivamente i ricorsi debbono essere rigettati stante l’infondatezza, ove gli stessi non siano inammissibili, dei motivi posti alla base dei medesimi.
A tanto consegue, visto l’art. 616 cod. proc. pen., altresì la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2023
Il AVV_NOTAIO estensore