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Violazione DASPO: quando è reato? Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per violazione DASPO a carico di tre tifosi trovati in un’area interdetta vicino allo stadio. La sentenza chiarisce che il reato è di ‘pericolo astratto’, pertanto la semplice presenza nel luogo vietato è sufficiente per la condanna, senza che sia necessario dimostrare un pericolo effettivo di scontri. Tuttavia, la Corte ha annullato la decisione che negava le pene sostitutive, richiedendo una motivazione più specifica e non generica da parte del giudice di merito.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Violazione DASPO: La Sola Presenza in Zona Vietata Configura Reato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34370/2025, è tornata a pronunciarsi su un tema di grande attualità: la violazione DASPO. La pronuncia offre chiarimenti cruciali sulla natura del reato, specificando che la semplice presenza in un’area interdetta è sufficiente per integrare la fattispecie, senza che sia necessario un pericolo concreto di scontri. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Tifosi in Zona Interdetta

Tre tifosi, già destinatari di un provvedimento di DASPO che vietava loro l’accesso alle aree circostanti lo stadio in occasione di incontri di calcio, venivano condannati sia in primo grado che in appello. Erano stati identificati in un bar situato all’interno del perimetro a loro interdetto, a circa 550 metri dagli impianti sportivi, poco prima di una partita.

I ricorrenti si sono difesi sostenendo che la loro condotta non avesse generato alcun pericolo concreto. Si trovavano nel locale per motivi personali e in procinto di recarsi presso il commissariato per adempiere all’obbligo di firma, come previsto dal loro stesso DASPO. Hanno inoltre evidenziato una precedente assoluzione per fatti analoghi, chiedendo alla Corte di riconsiderare la loro posizione.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla violazione DASPO

La Suprema Corte ha rigettato i ricorsi per quanto riguarda la configurabilità del reato, ma li ha accolti limitatamente alla questione delle pene sostitutive. Vediamo i due punti chiave.

Il Reato di Pericolo Astratto

Il punto centrale della sentenza riguarda la natura giuridica del reato di violazione DASPO. La Corte ha ribadito con fermezza che si tratta di un reato di pericolo astratto e di mera condotta.

Questo significa che il reato si perfeziona con la sola trasgressione del divieto imposto dal Questore. Non è necessario, ai fini della condanna, che l’imputato abbia creato un pericolo effettivo di contatto con tifoserie avversarie o causato disordini. La ratio legis (la finalità della norma) è preventiva: impedire a soggetti ritenuti pericolosi di trovarsi in luoghi e momenti sensibili, frustrando sul nascere ogni potenziale minaccia all’ordine pubblico.

La semplice presenza consapevole nell’area vietata, nell’arco temporale dell’interdizione, integra quindi pienamente il reato previsto dall’art. 6 della legge 401/1989.

La Questione delle Pene Sostitutive

Se da un lato la condanna per il reato è stata confermata, dall’altro la Corte ha accolto le lamentele relative al diniego del lavoro di pubblica utilità. I giudici di merito avevano negato l’accesso a questa pena sostitutiva basandosi in modo generico sui precedenti penali degli imputati.

La Cassazione ha giudicato tale motivazione ‘apparente e stereotipata’, affermando che la decisione di negare le pene sostitutive deve fondarsi su una valutazione specifica, puntuale e concreta per ogni singolo imputato, che tenga conto della sua capacità di reintegrazione sociale e del rischio di recidiva. Un semplice richiamo ai precedenti non è sufficiente.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che i reati di pericolo astratto sono uno strumento del legislatore per controllare rischi settoriali e prevedibili. La discrezionalità del giudice non sta nel valutare se un pericolo si sia verificato, ma solo se la condotta tipica (la violazione del divieto) sia stata posta in essere. La presenza degli imputati in un bar, noto luogo di ritrovo di tifosi, in un’ora antecedente alla partita, è stata considerata una palese violazione del divieto, indipendentemente dalle loro intenzioni personali o dal fatto che non si siano verificati incidenti.

Per quanto riguarda le pene sostitutive, la motivazione dell’annullamento risiede nel principio di individualizzazione della pena. Il giudice deve spiegare in modo approfondito perché ritiene che un imputato, nonostante abbia presentato un programma di trattamento, non sia meritevole della sanzione alternativa. La motivazione non può essere una formula generica, ma deve scendere nel dettaglio della situazione personale del condannato.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale molto chiaro: chi è colpito da DASPO deve astenersi in modo assoluto dall’accedere alle zone interdette. Non esistono ‘giustificazioni’ o ‘motivi personali’ che possano scriminare la condotta. La legge punisce il rischio potenziale, non il danno effettivo. D’altra parte, la decisione apre uno spiraglio importante sul fronte sanzionatorio, ribadendo che l’accesso a misure alternative come il lavoro di pubblica utilità non può essere negato con motivazioni superficiali, ma richiede un’analisi attenta e personalizzata da parte del giudice.

Per commettere il reato di violazione DASPO è necessario creare un pericolo concreto, come una rissa?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che si tratta di un reato di pericolo astratto e di mera condotta. La semplice violazione del divieto di accesso, cioè la presenza in un’area interdetta, è sufficiente per integrare il reato, a prescindere dal verificarsi di un effettivo pericolo.

Essere in un bar all’interno della zona vietata dal DASPO è considerato reato?
Sì. La sentenza conferma che lo stazionamento in un luogo pubblico, come un bar, situato all’interno del perimetro vietato durante l’arco temporale di validità del divieto, costituisce una violazione del provvedimento e quindi integra il reato.

Un giudice può negare le pene sostitutive (come il lavoro di pubblica utilità) basandosi solo sui precedenti penali?
No, non in modo generico. La Corte ha annullato la decisione su questo punto, stabilendo che il diniego delle pene sostitutive deve essere basato su una motivazione specifica, puntuale e concreta per ciascun imputato, non su un richiamo generico e stereotipato ai precedenti penali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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