Violazione Custodia Sequestro: Quando la Negligenza Diventa Reato
La gestione di un bene sottoposto a sequestro comporta responsabilità precise e inderogabili. Ma cosa succede se il custode, anziché proteggere il bene, ne facilita la sottrazione? Si tratta di un semplice illecito amministrativo o di un vero e proprio reato? La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha affrontato un caso emblematico di violazione custodia sequestro, tracciando una linea netta tra le due ipotesi e confermando la rilevanza penale della condotta attiva del custode.
I Fatti del Caso
La vicenda giudiziaria ha origine dalla condanna di un individuo per il reato previsto dall’articolo 335 del codice penale. L’imputato, nominato custode di un veicolo sottoposto a sequestro, era stato ritenuto responsabile di aver agevolato la sottrazione del mezzo da parte di persone rimaste ignote. In sostanza, invece di adempiere ai suoi doveri di vigilanza e conservazione, la sua condotta aveva attivamente contribuito alla sparizione del bene.
Contro la sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Appello, l’uomo ha proposto ricorso in Cassazione, basando la sua difesa su un unico, specifico motivo.
Il Motivo del Ricorso: Sanzione Amministrativa o Reato Penale?
Il ricorrente sosteneva che la sua condotta dovesse essere inquadrata non come reato, ma come un illecito amministrativo. Secondo la sua tesi, al momento dei fatti, la normativa applicabile era l’articolo 213 del Codice della Strada, che per la violazione degli obblighi di custodia prevedeva unicamente una sanzione di natura amministrativa.
Questa argomentazione mirava a declassare la gravità del fatto, trasformandolo da un illecito penale, con tutte le conseguenze del caso, a una violazione soggetta a una semplice multa.
Le Motivazioni della Cassazione sulla violazione custodia sequestro
La Corte di Cassazione ha rigettato completamente la tesi difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici supremi hanno evidenziato come l’argomento del ricorrente fosse una mera riproposizione di una censura già esaminata e correttamente respinta nei precedenti gradi di giudizio.
Il punto cruciale della decisione risiede nella natura della condotta accertata. La Corte ha sottolineato che non si trattava di una semplice omissione o negligenza nella custodia, ma di un comportamento attivo e volontario: l’aver “agevolato la sottrazione del veicolo”. Questa azione, secondo la Cassazione, integra pienamente gli estremi del reato di cui all’art. 335 del codice penale (Violazione colposa di doveri inerenti alla custodia di cose sottoposte a sequestro). Il giudice di merito aveva correttamente valorizzato questo aspetto, distinguendolo dalla sfera di applicazione della sanzione amministrativa prevista dal Codice della Strada, che punisce violazioni di diversa natura e gravità.
Le Conclusioni: La Decisione della Corte
In conclusione, la Corte ha stabilito che facilitare attivamente la rimozione di un bene sequestrato non è una leggerezza da punire con una multa, ma un reato a tutti gli effetti. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile.
Il ricorrente è stato quindi condannato non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: chiunque accetti l’incarico di custode di un bene sequestrato assume una responsabilità penale precisa, e qualsiasi azione che favorisca la dispersione del bene sarà perseguita come reato.
Facilitare la sottrazione di un veicolo sequestrato è solo un illecito amministrativo?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la condotta di chi agevola attivamente la sottrazione di un veicolo affidatogli in custodia integra il reato di violazione dei doveri inerenti alla custodia, previsto dall’art. 335 del codice penale, e non si limita a una sanzione amministrativa.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché riproponeva una censura già esaminata e correttamente respinta dal giudice di merito, senza presentare nuovi e validi argomenti giuridici. La Corte ha ritenuto che la valutazione del giudice precedente fosse giuridicamente corretta.
Quali sono le conseguenze per il ricorrente dopo la dichiarazione di inammissibilità?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità del ricorso, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34752 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 34752 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 06/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a MESSINA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/04/2025 della CORTE APPELLO di MESSINA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
N. NUMERO_DOCUMENTO/25 Pulejo
OSSERVA
Visti gli atti e la sentenza impugnata (condanna per il reato di cui all’art. 335 cod. pen.);
Esaminati i motivi di ricorso;
Rilevato che, l’unico motivo di ricorso con cui si deduce la violazione di legge in ordine alla responsabilità per il reato contestato, sul presupposto che, al momento della commissione del fatto, fosse vigente l’art. 213 del Codice della Strada, il quale prevedeva unicamente l’applicazione di una sanzione amministrativa, risulta riproduttivo di censura già adeguatamente vagliata e disattesa con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito che ha valorizzato come la condotta accertata – consistita nell’aver agevolato la sottrazione del veicolo da parte di ignoti, in violazione degli obblighi inerenti alla custodia del bene – integrasse gli estremi del reato di cui all’art. 335 cod. pen. (v. pp. 3-4 della sentenza impugnata);
Rilevato, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 06/10/2025