Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 21173 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 21173 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME GELA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 05/10/2023 del TRIB. LIBERTA’ di CALTANISSETTA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
lettefserrtfte le conclusioni del PG ASSUNTA COCOMELLO COGNOME e-,`” “‘ t 4 ” L’ D4 LÀ COGNOME P1r).1
treFito il difensore, 4,NOME COGNOME eto cA COGNOME ( › R ‘t J t A·n rycèLSD
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale del riesame di Caltanissetta ha rigettato l’appello cautelare, proposto nell’interesse di NOME COGNOME, avverso l’ordinanza del Tribunale di Gela in composizione monocratica in data 8/09/2023, che sostituiva la misura cautelare degli arresti domiciliari con il dispositivo del braccialetto elettronico, in atto nei confronti del suddetto in ordine al reato di cui agli artt. 110, 112 n. 4) e 424, secondo comma, cod. pen. (per il quale è stato condanNOME con sentenza dello stesso Tribunale in data 12/06/2023 alla pena di anni due e mesi due di reclusione), con la misura della custodia cautelare in carcere. Tale sostituzione era avvenuta ai sensi dell’art. 276, comma Iter cod. proc. pen., a seguito delle segnalazioni del Commissariato di PS di Gela, con note in data 4 e 7 settembre 2023, circa i reiterati allontanamenti dal luogo dell’esecuzione della misura degli arresti domiciliari per periodi di tempo lunghi e mai autorizzati dall’Autorità giudiziaria; segnalazioni nelle quali si dava atto che ad COGNOME era stato spiegato in maniera esauriente quale fosse la procedura da seguire per richiedere l’autorizzazione e che questi aveva reagito in maniera recalcitrante e intimidatoria.
Osserva l’ordinanza impugnata che le violazioni segnalate, a parere del Tribunale, «non potevano essere considerate di lieve entità appalesandosi, per converso, di una certa gravità e dimostrative della inadeguatezza della misura in atto considerata l’inaffidabilità dimostrata, l’evidente incapacità di autocontrollo dell’imputato, nonostante il dispositivo di controllo, che in concreto non aveva avuto alcuna efficacia dissuasiva, e i passati ammonimenti» e che «evidenziava, poi, il Tribunale la totale indisponibilità al rispetto dell’autorità, la totale indifferenza al vincolo cautelare e la crescente pericolosità del prevenuto che andavano fronteggiati con la misura della custodia cautelare in carcere».
Rilevano, quindi, i Giudici del riesame che ha colto nel segno il Tribunale nel reputare gravi le violazioni poste in essere dal prevenuto, che a fronte della necessità manifestatagli dalle forze dell’ordine preposte ai controlli di richiedere all’Autorità giudiziaria le autorizzazioni per uscire, dava risposte miNOMErie, reiteratamente esplicitando la non necessità di dette autorizzazioni in quanto reputava prevalenti le sue necessità sanitarie e si limitava a comunicazioni telefoniche relative alle uscite, non aventi efficacia scriminante. Sottolineano, inoltre, che nelle uscite non
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autorizzate il prevenuto incontrava sia la compagna che la sorella, soggetti con i quali, in quanto non conviventi, non poteva comunicare; e che gli allontanamenti segnalati, in uno dei quali era oggetto insieme con la sorella di colpi di arma da fuoco, sono significativi piuttosto della volontaria indifferenza del suddetto rispetto ai precetti e della sua incapacità di contenimento, e, soprattutto, del concreto pericolo di reiterazione di condotte criminose analoghe, posto che il fatto per il quale è stato sottoposto a misura cautelare nel presente procedimento è stato commesso allorché il medesimo era sottoposto ad altra misura cautelare in altro procedimento; e che ciò è segno di incapacità ad adeguarsi alle regole da parte di un soggetto che, per i suoi precedenti penali e giudiziari e per la professionalità e spregiudicatezza, dimostra di possedere un altissimo grado di proclività a delinquere.
Avverso la suddetta ordinanza propone ricorso per cassazione NOME COGNOME, tramite il suo difensore, deducendo violazione dell’art. 276, comma 1-ter, cod. proc. pen., e vizio di motivazione circa la asserita violazione delle prescrizioni imposte, in assenza di considerazione della loro tenuità.
Rileva la difesa che ogni uscita di COGNOME era comunicata all’autorità di pubblica sicurezza preposta al controllo, che, se avesse voluto, avrebbe potuto vietare al suddetto di allontanarsi; e che tutte le uscite erano finalizzate ad esigenze sanitarie, potendosi al più ritenere le trasgressioni poste in essere di lieve entità e tali da non giustificare il disposto aggravamento.
Il difensore insiste, pertanto, per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
Disposta la trattazione scritta del procedimento ai sensi dell’art. 23 del d. I. n. 137 del 2020, il Sostituto Procuratore generale presso questa Corte, AVV_NOTAIO, conclude per l’inammissibilità del ricorso; il difensore di COGNOME, AVV_NOTAIO, insiste per l’annullamento con o senza rinvio dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
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Va, invero, premesso, in riferimento ai limiti del sindacato di legittimità in materia di misure cautelari personali, che questa Corte è priva di potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate e di rivalutazione degli apprezzamenti di merito, rientranti nel compito esclusivo del giudice che ha applicato la misura e del Tribunale del riesame. Il controllo di legittimità, quindi, è limitato all’esame del contenuto dell’atto impugNOME e alla verifica delle ragioni giuridicamente significative che lo determinavano e dell’assenza d’illogicità evidente, ossia dell’adeguatezza e della congruenza del tessuto argomentativo riguardante la valutazione degli elementi indizianti e delle esigenze cautelari rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto.
Orbene, nel caso di specie, il Tribunale del riesame non è incorso in alcuna violazione di legge e in alcun vizio motivazionale.
Le modifiche introdotte dall’art. 5 della I. 16 aprile 2015, n. 47 hanno temperato il rigido automatismo previsto nell’art. 276, comma 1-ter cod. proc. pen., che imponeva inderogabilmente il ripristino della custodia cautelare in carcere nel caso di trasgressione alle prescrizioni degli arresti domiciliari concernenti il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione o da ogni altro luogo di privata dimora, con l’aggiunta della locuzione “salvo che il fatto sia di lieve entità”.
Il legislatore ha così dato valore normativo ai principi statuiti dalla giurisprudenza costituzionale (Corte cost. 6 marzo 2002, n. 40), che pur ritenendo manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale di detta norma, aveva evidenziato il dato fondante della ragionevolezza riconosciuta alla scelta legislativa: «una volta che alla nozione di allontanamento dalla propria abitazione si riconosca valenza rivelatrice in ordine alla sopravvenuta inadeguatezza degli arresti domiciliari, non è escluso che il fatto idoneo a giustificare la sostituzione della misura tipizzato dal legislatore nella anzidetta formula normativa, possa essere apprezzato dal giudice in tutte le sue connotazioni strutturali e finalistiche, per verificare se la condotta di trasgressione in concreto realizzata presenti quei caratteri di effettiva lesività alla cui stregua ritenere integrata la violazione che la norma assume a presupposto della sostituzione». La Corte costituzionale segnalava la necessità che il tipo legale della violazione fosse costruito in base ad un criterio di necessaria offensività, di congruenza rispetto all’obiettivo di tutela ed alle connesse conseguenze sanzioNOMErie.
NOME
La giurisprudenza di legittimità ha, altresì, specificato l’ambito applicativo dell’art. 276, comma 1-ter cod. proc. pen., riferibile alle ipotesi in cui l’allontanamento dall’abitazione sia avvenuto senza autorizzazione o in orario o per ragioni diverse da quelle previste nel provvedimento del giudice (Sez. 3, n. 42847 del 22/10/2009, Palma, Rv. 244990), facendo rientrare nel disposto dell’art. 276, comma 1, cod. proc. pen. le ipotesi in cui, pur verificandosi l’allontanamento nel rispetto dei limiti orari e per le finalità previste dal provvedimento giudiziale, vengano violate altre specifiche prescrizioni (Sez. 1, n. 46093 del 7/10/2014, Calculli, Rv. 261365).
Ha, quindi, chiarito che in tema di violazione degli arresti domiciliari, il fatto di lieve entità di cui all’art. 276, comma 1-ter, cod. proc. pen. si riferisce a violazioni di modesto rilievo ovvero a quelle che non sono in grado di smentire la precedente valutazione di idoneità della misura degli arresti domiciliari a tutelare le esigenze cautelari (Sez. 4, n. 13348 del 09/02/2018, COGNOME Bernardo, Rv. 272943: nella fattispecie questa Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza del tribunale del riesame che aveva rigettato l’appello avverso il provvedimento che aveva disposto la sostituzione della misura degli arresti domiciliari con quella della custodia in carcere, ai sensi dell’art. 276, comma 1-ter, cod.proc.pen. nei confronti di imputato che si era allontaNOME dal luogo di detenzione domiciliare recandosi nella contigua abitazione dei genitori sita nel medesimo pianerottolo, per sottoporsi ad una visita medica non autorizzata).
Tali essendo le coordinate ermeneutiche, l’ordinanza in esame risulta congruamente motivare, nei termini sopra riportati, sulla sussistenza delle contestate violazioni della misura meno afflittiva applicata ad COGNOME, sintomatiche di inidoneità della stessa a contenere la pericolosità dell’imputato.
Immune da censure risulta, quindi, detta ordinanza, che, in assenza della lieve entità della trasgressione di cui al suddetto disposto normativo, ha confermato il provvedimento di aggravamento del Tribunale di Gela.
Di contro le censure difensive, a fronte di tali argomentazioni non manifestamente illogiche e scevre da vizi giuridici, aspecificamente insistono sulla lieve entità delle violazioni, incorrendo, altresì, nella manifesta infondatezza e nel contempo sollecitando una non consentita rivalutazione di elementi fattuali. A fronte di una motivazione logica ed adeguata nella quale si reputano le azioni poste in essere da COGNOME,
che più volte si allontanava di casa senza preventiva autorizzazione, nonostante fosse a conoscenza della procedura per richiederla, dimostrative dell’inadeguatezza della misura in atto, considerata l’inaffidabilità dimostrata e l’evidente incapacità di autocontrollo dell’imputato, il quale ebbe a reagire in modo intimidatorio nei confronti degli agenti del commissariato che lo richiamavano al rispetto delle prescrizioni in tema di allontanamento dal domicilio.
All’in m i i – lità consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna di al pagamento delle spese processuali e al pagamento di una somma che si ritiene equo determinare in euro tremila a favore della Cassa delle ammende, non ricorrendo le condizioni previste dalla sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2024.