Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 38226 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 38226 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOMECODICE_FISCALE) nato a MONTECCHIO MAGGIORE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 30/03/2023 della CORTE APPELLO di VENEZIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO, il quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 30 marzo 2023 la Corte di appello di Venezia ha rigettato l’istanza, presentata nell’interesse di NOME COGNOME, volta al riconoscimento del vincolo della continuazione, in executivis, tra i reati per cui egli è stato condannato con due separate sentenze.
Il giudice dell’esecuzione ha, in proposito, ritenuto che l’omogenea offensività delle condotte accertate – afferenti a reati di ricettazione, truffa falso documentale – non valga a dimostrare che esse costituiscano espressione del medesimo disegno criminoso, militando in senso contrario, tra l’altro, sia la diversità dell’oggetto e della modalità di commissione delle condotte, concernenti, in un caso, la ricezione di opere d’arte contraffatte, corredate da certificazioni di autenticità parimenti falsificate, e, nell’altro, la ricettazio assegni circolari di matrice furtiva e la loro artata compilazione che la partecipazione, a ciascuna delle vicende, di correi diversi ed ulteriori rispetto al solo NOME COGNOME.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’AVV_NOTAIO, ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale denuncia violazione di legge motivazione sul rilievo che il giudice dell’esecuzione è pervenuto al rigetto dell’istanza ex art. 671 cod. proc. pen. sulla base dell’ingiustificata svalutazione degli elementi sintomatici della riconducibilità dell indicate manifestazioni delittuose ad un’unica, comune programmazione iniziale, costituiti: dalla medesimezza dell’indole dei reati, concretatisi nell’acquisizione, a scopo di profitto, di beni di provenienza illecita; dalla stretta contiguità cronologica tra gli episodi criminosi, sintomatica del fatto che egli, al tempo in cui trattava, con NOME COGNOME, il commercio della tela contraffatta, era già conscio della possibilità di venire in possesso di assegni circolari provenienti dal furto commesso proprio dal suo contingente interlocutore, al quale era legato da un rapporto fiduciario; dalla consuetudine di COGNOME e COGNOME con il traffico di opere d’arte contraffatte, comprovata dal tenore di un’eloquente intercettazione; dalla necessità, per COGNOME, di cooperare con COGNOME ad imprese criminose finalizzate a ricavare le risorse attraverso le quali egli avrebbe potuto ripianare i debito contratto nei confronti del correo; all’assenza, in COGNOME, di competenza alcuna in ambito artistico, settore al quale si egli si è accostato al solo scopo, comune alla ricettazione di assegni, di ricavare dall’illecito un consistente risultato di ordine economico.
Il ricorrente trae, dunque, dalle sviluppate considerazioni la conclusione che COGNOME e COGNOME «avevano evidentemente ideato e pianificato una serie di
condotte criminose da realizzarsi in un dato periodo di tempo, segnatamente nell’estate/autunno del 2012, tutte volte al fine di lucro e che in entrambe le occasioni di cui ai due giudizi in questione, integravano fatti di ricettazione di beni di provenienza illecita, reperiti attraverso canali che i due conoscevano, già a monte di entrambe le condotte criminose in ordine alle quali si chiede la continuazione, e che erano tra di loro in rapporto di scambio».
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e, pertanto, passibile di rigetto.
Preliminarmente, va ricordato che la giurisprudenza di legittimità, con riferimento al vincolo della continuazione in sede di esecuzione, ha individuato gli elementi da cui desumere l’ideazione unitaria, da parte del singolo agente, di una pluralità di condotte illecite, stabilendo che le violazioni dedotte ai fini dell’applicazione della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen. devono costituire parte integrante di un unico programma criminoso deliberato per conseguire un determinato fine, per il quale si richiede l’originaria progettazione di una serie ben individuata di illeciti, già concepiti almeno nelle loro caratteristiche essenziali (Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012, NOME, Rv. 255156).
Tale programma, a sua volta, non deve essere confuso con la sussistenza di una concezione di vita ispirata all’illecito, perché in tal caso «la reiterazione della condotta criminosa è espressione di un programma di vita improntato al crimine e che dal crimine intende trarre sostentamento e, pertanto, penalizzata da istituti quali la recidiva, l’abitualità, la professionalità nel reato e la tendenza a delinquere, secondo un diverso ed opposto parametro rispetto a quello sotteso all’istituto della continuazione, preordinato al favor rei» (Sez. 5, n. 10917 del 12/01/2012, COGNOME, Rv. 252950).
La verifica di tale preordinazione – ritenuta meritevole di più benevolo trattamento sanzionatorio attesa la minore capacità a delinquere di chi si determina a commettere gli illeciti in forza di un singolo impulso, anziché di spinte criminose indipendenti e reiterate – investendo l’inesplorabile interiorità psichica del soggetto, non può essere compiuta sulla base di indici meramente presuntivi ovvero di congetture processuali, essendo necessario
dimostrare che i reati che si ritengono avvinti dal vincolo della continuazione invocato siano stati concepiti ed eseguiti nell’ambito di un programma criminoso unitario (Sez. 1, n. 37555 del 13/11/2015, COGNOME, Rv. 267596).
Ne discende che «Il riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea» (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074).
Non è, per converso, necessaria la concomitante ricorrenza di tutti i predetti indicatori, potendo l’unitarietà del disegno criminoso essere apprezzata anche al cospetto di soltanto alcuni di detti elementi, purché significativi (in questo senso cfr., tra le tante, Sez. 1, n. 8513 del 09/01/2013, COGNOME, Rv. 254809; Sez. 1, n. 44862 del 05/11/2008, COGNOME, Rv. 242098).
L’accertamento di tali indici è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, quando il convincimento del giudice sia sorretto da una motivazione adeguata e congrua, senza vizi logici e travisamento dei fatti.
Tanto premesso sul piano dei principi, ritiene il Collegio che la Corte di appello di Venezia vi si sia, nel complesso, attenuta, pervenendo al rigetto dell’istanza ex art. 671 cod. proc. pen. proposta nell’interesse di NOME COGNOME sulla scorta di considerazioni logiche e coerenti e, comunque, esenti da vizi rilevanti in sede di legittimità.
Nella valutazione del giudice dell’esecuzione, la distanza temporale stimabile in circa tre mesi e, quindi, tutt’altro che minimale – tra le diverse condotte si accompagna alla considerazione, fedele sia ad ordinari canoni razionali che alla storicità degli eventi accertati, della radicale diversità d moduli operativi.
A questo proposito, la Corte di appello non ha mancato di vagliare compiutamente le allegazioni di parte relative agli elementi asseritamente sintomatici dell’unicità del disegno criminoso che, però, ha ritenuto, con motivazione diffusa e coerente, che sfugge al sindacato di legittimità, dimostrative della reciproca autonomia delle deliberazioni criminose anziché della loro riconducibilità al medesimo disegno criminoso.
Il giudice dell’esecuzione, deve qui ribadirsi, ha sviluppato un tes argomentativo sintonico con la descritta cornice ermeneutica, che il ricorr contesta ponendosi in un’ottica sostanzialmente confutativa, in quanto tale idonea ad abilitare l’intervento censorio del giudice di legittimità, che si i su elementi che, frutto di una opposta esegesi delle risultanze istruttorie valgono a connotare in chiave di illegittimità la decisione impugnata, incentra su dati di fatto – quali quelli afferenti alla differente tipologia d acquisiti, alla specificità del settore merceologico del commercio di opere d’ nel quale egli, sprovvisto di autonome competenze, si è occasionalment inserito, ed all’intervento di correi diversi – che, correttamente espost giudice dell’esecuzione, le garantiscono un adeguato supporto razionale quanto idonei ad orientare l’esercizio della discrezionalità giudiziale, frutt prevalenza degli elementi ostativi all’accoglimento dell’istanza ex art. 671 cod. proc. pen. su quelli che il Tribunale, senza esorbitare dall’ambito della lib apprezzamento che gli è normativamente attribuita, ha, invece, stima recessivi.
Dal rigetto del ricorso discende la condanna di COGNOME al pagamento del spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, cod. p pen..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle sp processuali.
Così deciso il 15/07/2024.