Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 36644 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 36644 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Taranto il DATA_NASCITA;
avverso la ordinanza della Corte di appello di Lecce – sezione distaccata di Taranto, in funzione di giudice dell’esecuzione, del 20/05/2025;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza in epigrafe la Corte di appello di Lecce – sezione distaccata di Taranto, in funzione di giudice dell’esecuzione, respingeva la richiesta di riconoscimento del vincolo della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., tra i reati per i quali NOME COGNOME era stato riconosciuto colpevole (e condannato) con le seguenti decisioni irrevocabili: 1) sentenza della Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, pronunciata in data 8 marzo 2010; 2) sentenza della Corte di appello di Lecce del 16 maggio 2003; 3) sentenza della Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, pronunciata il giorno 18 novembre 2022.
In particolare, il giudice dell’esecuzione osservava che i reati di cui alle sentenze sub 1) e 2) erano già stati posti in continuazione (assieme ad altri), ai sensi del citato art. 671, con ordinanza emessa dalla stessa Corte territoriale il giorno 18 luglio 2014, ma che – quanto alla sentenza sub 3) – i relativi reati non potevano essere considerati come espressione del medesimo disegno criminoso rispetto a quelli delle altre due sentenze, in considerazione del tempo trascorso tra di essi, della circostanza che i reati accertati con la sentenza n.3 non erano riconducibili alle associazioni di stampo mafioso di cui il COGNOME aveva fatto parte in passato, nonché per la diversità dei concorrenti in detti reati.
Avverso la citata ordinanza il condannato, per mezzo dell’AVV_NOTAIO, ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, di seguito riprodotto nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., insistendo per il suo annullamento.
Il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione di legge ed il vizio di motivazione poiché, a suo dire, il giudice dell’esecuzione ha respinto la sua richiesta senza tenere conto che anche i reati di cui alla sentenza n.3 erano riconduàij all’ambito associativo di cui egli aveva fatto parte e che, in particolare, le relative attività di carattere estorsivo erano state commesse per conto dell’associazione di appartenenza. Inoltre, evidenzia che la distanza temporale tra i reati era dovuta unicamente al fatto che egli era stato detenuto dal 26 aprile 2000 sino al 25 settembre 2006 e che, proprio in occasione della fruizione di un permesso premio, la vittima (tale COGNOME) del reato sub 3) si era rivolto al COGNOME per ottenere un prestito.
Il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
Come è noto la consolidata giurisprudenza di legittimità, con specifico riferimento al vincolo della continuazione invocato dal ricorrente, ha individuato gli elementi da cui desumere l’ideazione unitaria da parte del singolo agente di una pluralità di condotte illecite, affermando che le violazioni dedotte ai fini dell’applicazione della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen. devono costituire parte integrante di un unico programma criminoso, che deve essere deliberato per conseguire un determinato fine, per il quale si richiede l’originaria progettazione di una serie ben individuata di reati, già concepiti nelle loro caratteristiche essenziali (Sez. 5, n. 1766 del 06/07/2015, COGNOME, Rv. 266413; Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012, COGNOME, Rv. 255156; Sez. 1, n. 44862 del 05/11/2008, COGNOME, Rv. 242098).
2.1. L’unicità del programma criminoso, a sua volta, non deve essere assimilata a una concezione esistenziale fondata sulla serialità delle attività illecite del condannato, perché in tal caso «la reiterazione della condotta criminosa è espressione di un programma di vita improntato al crimine e che dal crimine intende trarre sostentamento e, pertanto, penalizzata da istituti quali la recidiva, l’abitualità, la professionalità nel reato e la tendenza a delinquere, secondo un diverso ed opposto parametro rispetto a quello sotteso all’istituto della continuazione, preordinato al favor rei» (Sez. 5, n. 10917 del 12/01/2012, COGNOME, Rv. 252950).
2.2. La verifica di tale preordinazione criminosa, inoltre, non può essere compiuta dall’autorità giudiziaria sulla base di indici di natura meramente presuntiva ovvero di congetture processuali, essendo necessario, di volta in volta, dimostrare che i reati che si ritengono avvinti dal vincolo della continuazione siano stati concepiti ed eseguiti nell’ambito di un programma criminoso che, almeno nelle sue linee fondamentali, risulti unitario e imponga l’applicazione della disciplina prevista dall’art. 671 cod. proc. pen., che può essere applicata, indifferentemente, sia per tutti i reati presupposti sia per una parte limitata di
essi (Sez. 1, n. 37555 del 13/11/2015, COGNOME, Rv. 267596; Sez. 1, n. 35639 del 02/07/2013, COGNOME, Rv. 256307; Sez. 5, n. 49476 del 25/09/2009, Notaro, Rv. 245833).
Ciò posto si rileva che il provvedimento impugnato sfugge a censura, nella parte in cui – con motivazione adeguata ed esente da evidenti vizi logici – ha escluso l’identità del disegno criminoso rispetto a tutti i reati accertati con le tre sentenze indicate nella originaria domanda, avendo dato rilievo – per escludere la continuazione rispetto ai reati sub 3) – alla distanza temporale intercorsa con quelli accertati con le altre due decisioni (già uniti in continuazione), alla loro parziale diversa natura ed alla diversità dei concorrenti.
3.1. Nello specifico la Corte territoriale, in modo non irrazionale, ha ritenuto rilevante il divario temporale intercorso tra le varie condotte criminose, il fatto che i reati sub 3) non erano inquadrabili all’interno delle associazioni di stampo mafioso (dato che non era stata contestata l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1. cod. pen.) e la circostanza che i correi non coincidevano con quelli dei due reati associativi già uniti in continuazione
3.2. Pertanto, il condannato pur lamentando la violazione di legge ed il vizio di motivazione vorrebbe pervenire ad una non consentita lettura alternativa degli elementi processuali, rispetto a quella svolta, in modo coerente, dal giudice dell’esecuzione per escludere la continuazione in ordine ai reati di cui alla sentenza n.3.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2025.