Vincolo della Continuazione: La Cassazione Chiarisce i Limiti per i Reati Mafiosi
L’istituto del vincolo della continuazione, previsto dall’articolo 671 del codice di procedura penale, rappresenta un cardine del nostro sistema sanzionatorio, consentendo di unificare sotto un unico ‘disegno criminoso’ più reati commessi dalla stessa persona. Questo meccanismo, che porta a un trattamento sanzionatorio più favorevole, non è però applicabile indiscriminatamente. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i rigidi paletti per la sua applicazione, specialmente quando si tratta di reati eterogenei e di contesti di criminalità organizzata.
I Fatti del Caso in Esame
Il caso sottoposto alla Suprema Corte riguardava un ricorso presentato da un condannato avverso un’ordinanza della Corte d’Assise d’Appello di Napoli. Quest’ultima aveva negato l’applicazione del vincolo della continuazione tra una serie di reati, per alcuni dei quali era già stato riconosciuto, e un residuo reato di tentato omicidio. Il ricorrente sosteneva che tutte le condotte illecite rientrassero in un medesimo programma criminale, ma i giudici di merito avevano respinto tale tesi.
Il Principio del Vincolo della Continuazione e la Decisione della Corte
La Corte di Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha ribadito i principi fondamentali che regolano l’istituto. Per poter applicare la continuazione, non è sufficiente che i reati siano stati commessi dalla stessa persona, ma è indispensabile dimostrare l’esistenza di un’unica e originaria programmazione criminale che leghi tutte le condotte.
La Mancanza di un Disegno Criminoso Unitario
I giudici hanno evidenziato come i reati già unificati e il tentato omicidio non fossero omogenei sul piano esecutivo né riconducibili a una preordinazione criminosa comune. In particolare, il tentato omicidio era stato commesso per ragioni sorte estemporaneamente, ‘concretizzatesi soltanto il giorno della sua realizzazione’ e ‘precedentemente inesistenti’. Questa contingenza spezza il nesso logico e programmatico necessario per configurare il vincolo della continuazione, dimostrando che il grave reato non faceva parte del piano originario.
La Specificità dei Reati di Criminalità Organizzata
La Corte ha inoltre affrontato la questione specifica dei reati commessi in contesti mafiosi. Richiamando un proprio precedente (sentenza n. 51906/2017), ha specificato che, in questi casi, non basta un generico riferimento all’omogeneità dei reati o all’appartenenza a un sodalizio. È invece necessaria ‘una specifica indagine sulla natura dei vari sodalizi, sulla loro concreta operatività e sulla loro continuità nel tempo’. Lo scopo è accertare se l’appartenenza del soggetto a una o più organizzazioni risponda a un unico ‘momento deliberativo’ iniziale, che si attua progressivamente. Un’analisi che, nel caso di specie, mancava e che ha contribuito a ritenere infondata la richiesta.
Le Motivazioni della Sentenza
Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri. Il primo è la rigorosa interpretazione del concetto di ‘medesimo disegno criminoso’, che non può essere presunto ma deve essere provato in concreto. La commissione di un reato grave come un tentato omicidio, dettato da circostanze immediate e non pianificate, non può essere ricondotto a un programma criminale preesistente. Il secondo pilastro riguarda la necessità di un’analisi più approfondita e specifica quando si invocala continuazione per reati legati a organizzazioni mafiose. La semplice appartenenza a un clan non è sufficiente a unificare automaticamente tutti i reati commessi, ma occorre dimostrare che essi siano la diretta attuazione di un’unica strategia deliberata a monte.
Le Conclusioni
La decisione della Cassazione rafforza un principio fondamentale: il beneficio del vincolo della continuazione non è un automatismo, ma richiede una prova rigorosa dell’unicità del disegno criminoso. L’ordinanza sottolinea come la natura estemporanea e contingente di un reato possa interrompere la catena programmatica, escludendo l’applicazione dell’istituto. Per i reati di mafia, la pronuncia impone ai giudici un’indagine ancora più meticolosa, volta a verificare se la pluralità di crimini sia effettivamente espressione di una singola volontà criminale iniziale o, al contrario, di decisioni autonome e successive. La conseguenza per il ricorrente è stata la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, con condanna al pagamento delle spese processuali e di una cospicua somma alla Cassa delle ammende.
Quando può essere escluso il vincolo della continuazione tra più reati?
Il vincolo della continuazione viene escluso quando manca la prova di un ‘medesimo disegno criminoso’ che leghi tutte le condotte. In particolare, è escluso se uno dei reati, come un tentato omicidio, scaturisce da ragioni improvvise e contingenti, non contemplate nel programma criminale iniziale.
Quali sono i requisiti specifici per il vincolo della continuazione in caso di reati di tipo mafioso?
Per i reati connessi a organizzazioni mafiose, non è sufficiente un’astratta omogeneità. È necessaria una specifica indagine sulla natura, l’operatività e la continuità nel tempo dei sodalizi criminali per accertare se tutti i reati derivino da un’unica deliberazione iniziale e dalla sua progressiva attuazione.
Cosa succede se un ricorso per cassazione viene dichiarato inammissibile?
Se la Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, salvo ipotesi di esonero, al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 13502 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 13502 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a ERCOLANO il 21/03/1969
avverso l’ordinanza del 03/12/2024 della CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATI -0 E CONSIDERATO IN DIRITTO
Esaminato il ricorso, così come integrato dalle memorie difensive versate in atti, proposto avverso l’ordinanza del 3 dicembre 2024, con la quale la Corte di assise di appello di Napoli rigettava la richiesta avanzata da NOME COGNOME finalizzata a ottenere il riconoscimento del vincolo della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., in relazione ai reati giudicati dalle sentenze irrevocabili di cui ai punti 1-3 del provvedimento impugnato, per gli ultimi due dei quali il vincolo invocato era già stato riconosciuto dal giudice di cognizione.
Ritenuto che, al contrario di quanto dedotto dal ricorrente, le ipotesi di reato giudicate dalle sentenze di cui ai punti 2 e 3 e quella giudicate dalla sentenza di cui al punto 1 non risultavano tra loro omogenee sul piano esecutivo e non erano riconducibili, neppure astrattamente, a una preordinazione criminosa, tenuto conto del fatto che le condotte illecite poste in essere da NOME COGNOME già sottoposte a unificazione non apparivano collegate al residuo tentato omicidio, pur commesso dallo stesso ricorrente, che veniva compiuto, come correttamente evidenziato a pagina 2 del provvedimento censurato, per «ragioni concretizzatesi soltanto il giorno della sua realizzazione precedentemente inesistenti ».
Ritenuto che laddove il vincolo della continuazione sia invocato in sede esecutiva con riferimento a una pluralità di reati, collegati a un’organizzazione mafiosa, analogamente al caso di COGNOME, non è sufficiente il riferimento all’astratta omogeneità dei reati, occorrendo «una specifica indagine sulla natura dei vari sodalizi, sulla loro concreta operatività e sulla loro continuità nel tempo, al fine di accertare l’unicità del momento deliberativo e la sua successiva attuazione attraverso la progressiva appartenenza del soggetto ad una pluralità di organizzazioni ovvero ad una medesima organizzazione» (Sez. 6, n. 51906 del 15/09/2017, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 271569 – 01).
Per queste ragioni, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 20 marzo 2025.