Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 30416 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 30416 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CAMPOSAMPIERO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 19/07/2023 della CORTE APPELLO di VENEZIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
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Visti gli atti e l’ordinanza impugnata;
letti i motivi del ricorso;
rilevato, preliminarmente, che la giurisprudenza di legittimità, con riferimento al vincolo della continuazione in sede di esecuzione, ha individuato gli elementi da cui desumere l’ideazione unitaria, da parte del singolo agente, di una pluralità di condotte illecite, stabilendo che le violazioni dedotte ai fin dell’applicazione della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen. devono costituire parte integrante di un unico programma criminoso deliberato per conseguire un determinato fine, per il quale si richiede l’originaria progettazione di una serie ben individuata di illeciti, già concepiti almeno nelle loro caratteristiche essenzial (Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012, Daniele, Rv. 255156);
che tale programma, a sua volta, non deve essere confuso con la sussistenza di una concezione di vita improntata all’illecito, perché in tal caso «la reiterazione della condotta criminosa è espressione di un programma di vita improntata al crimine e che dal crimine intende trarre sostentamento e, pertanto, penalizzata da istituti quali la recidiva, l’abitualità, la professionalità reato e la tendenza a delinquere, secondo un diverso ed opposto parametro rispetto a quello sotteso all’istituto della continuazione, preordinato al favor rei» (Sez. 5, n. 10917 del 12/01/2012, COGNOME, Rv. 252950);
che la verifica di tale preordinazione non può essere compiuta sulla base di indici meramente presuntivi ovvero di congetture processuali, essendo necessario dimostrare che i reati che si ritengono avvinti dal vincolo della continuazione invocato siano stati concepiti ed eseguiti nell’ambito di un programma criminoso unitario (Sez. 1, n. 37555 del 13/11/2015, COGNOME, Rv. 267596);
che, di conseguenza, «Il riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074)»;
che, per converso, non è necessaria la concomitante ric:orrenza di tutti i predetti indicatori, potendo l’unitarietà del disegno criminoso essere apprezzata anche al cospetto di soltanto alcuni di detti elementi, purché significativi (in
questo senso cfr., tra le tante, Sez. 1, n. 8513 del 09/01/2013, COGNOME, Rv. 254809; Sez. 1, n. 44862 del 05/11/2008, COGNOME, Rv. 242098);
che l’accertamento di tali indici è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, quando il convincimento del giudice sia sorretto da una motivazione adeguata e congrua, senza vizi logici e travisamento dei fatti;
che, nel caso in esame, il giudice dell’esecuzione ha esaminato in dettaglio le vicende accertate nell’ambito dei procedimenti penali indicati nell’istanza ex art. 671 cod. proc. pen. ed ha ritenuto che, se le truffe commesse da NOME grazie alla disponibilità degli assegni provenienti dal furto perpetrato in pregiudizio della medesima persona offesa e le relative condotte di ricettazione appaiono espressione di un unico disegno criminoso, non altrettanto può dirsi per le fattispecie residue, a ciò ostando, volta per volta, lo iato cronologico che le separa, la differente cornice spaziale, l’autonomia delle modalità esecutive, l’identità dei correi;
che la motivazione – analitica e completa – sottesa al provvedimento impugnato appare esente da fratture razionali e coerente con il quadro normativo, secondo l’interpretazione sopra illustrata, perché valorizza dati che, di per sé, attestano la reciproca autonomia delle deliberazioni e tiene conto di tutte le evidenze raccolte;
che il ricorrente, con i motivi di ricorso, si pone in una prospettiva di mera confutazione, che non riesce a mettere in luce, nel provvedimento impugnato, specifici profili di manifesta illogicità o contraddittorietà, e che si esaurisce in un opposta considerazione del dato temporale e di quello territoriale, nonché nel reiterato richiamo all’omogenea offensività dei reati ed alla giustificazione da lui offerta con memoria redatta di proprio pugno (nella quale ha, tra l’altro, esposto che, per un lungo periodo della propria vita, egli ha utilizzo le competenze maturate in ambito lavorativo per compiere una sequela di delitti contro il patrimonio) che, tuttavia, non appare idonea a smentire, nell’ottica propria del giudizio di legittimità, le conclusioni raggiunte dal giudice dell’esecuzione;
ritenuto che, pertanto, deve essere dichiarata la inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 04/04/2024.