LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Vincolo della continuazione: non basta la serialità

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un condannato che chiedeva il riconoscimento del vincolo della continuazione per sei sentenze definitive di truffa. Secondo la Corte, la semplice ripetizione di reati omogenei con modalità identiche non è sufficiente a dimostrare un ‘medesimo disegno criminoso’ pianificato fin dall’inizio, distinguendo così la condotta abituale dalla continuazione.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Il vincolo della continuazione tra reati: quando la serialità non basta

L’applicazione del vincolo della continuazione è un tema cruciale nel diritto penale, poiché consente di unificare sotto un’unica pena più reati commessi in esecuzione di un ‘medesimo disegno criminoso’. Tuttavia, come chiarisce una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la semplice serialità dei delitti non è sufficiente per ottenere tale beneficio. Questo articolo analizza la decisione, spiegando perché la ripetizione di truffe con le stesse modalità non integra automaticamente la continuazione.

I Fatti del Caso: Truffe Seriali e la Richiesta del Condannato

Il caso riguarda un individuo condannato con sei sentenze definitive per reati di truffa. Le frodi, commesse in un arco temporale di circa sei mesi, presentavano caratteristiche identiche: raggiri telefonici e informatici, accrediti su una stessa carta prepagata e attivazione dallo stesso numero di telefono. Forte di queste omogeneità, il condannato ha richiesto al Tribunale, in fase di esecuzione della pena, il riconoscimento del vincolo della continuazione ai sensi dell’art. 671 del codice di procedura penale, sostenendo che tutti i reati fossero parte di un unico piano criminoso.

La richiesta è stata però respinta. Il condannato ha quindi presentato ricorso in Cassazione, lamentando un vizio di motivazione e la violazione dell’art. 81 del codice penale, che disciplina appunto il reato continuato.

La Decisione della Corte di Cassazione e il vincolo della continuazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione del giudice di merito. La decisione si basa su una distinzione fondamentale tra il concetto di ‘medesimo disegno criminoso’ e la semplice ‘abitualità’ nel commettere reati, anche se identici nelle modalità.

Le motivazioni

I giudici di legittimità hanno ritenuto che le argomentazioni del ricorrente si concentrassero su profili di mero fatto, non sindacabili in sede di Cassazione. Il compito della Suprema Corte, infatti, è valutare la corretta applicazione della legge, non riesaminare le prove.

Nel merito, la Corte ha stabilito che la motivazione del provvedimento impugnato non era né apparente né illogica. Il giudice di merito aveva correttamente evidenziato che gli indizi presentati (stesse modalità operative, stessa carta, stesso telefono) non erano sufficienti a provare che l’intera serie di reati fosse stata programmata ab initio, cioè fin dall’inizio. Al contrario, la condotta del reo appariva più come una consumazione ‘contingente’ degli illeciti, dettata da occasioni via via presentatesi, e riconducibile a una ‘natura abituale’ delle sue condotte, piuttosto che a un piano unitario e preordinato.

La Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: la mera identità delle norme violate o delle modalità esecutive non può, da sola, giustificare l’automatica riconducibilità di fatti, commessi a distanza di mesi l’uno dall’altro, a un medesimo disegno criminoso. Per aversi continuazione, è necessario dimostrare che l’autore abbia deliberato un piano generico per commettere una serie di reati già prima di iniziare l’esecuzione del primo.

Le conclusioni

L’ordinanza consolida l’orientamento secondo cui il riconoscimento del vincolo della continuazione richiede una prova rigorosa della pianificazione unitaria e originaria dei reati. Non basta la ripetitività o l’omogeneità delle condotte, che possono semplicemente indicare un’inclinazione a delinquere o una professionalità nel reato. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, a causa della manifesta infondatezza delle sue doglianze.

Commettere più volte lo stesso tipo di reato significa automaticamente che si tratta di un reato continuato?
No. Secondo la Corte, la mera identità delle disposizioni normative violate o delle modalità operative, anche per fatti commessi a distanza di mesi, non è sufficiente di per sé a giustificare l’automatica applicazione del vincolo della continuazione.

Qual è la differenza tra un ‘medesimo disegno criminoso’ e l’abitualità nel commettere reati?
Il ‘medesimo disegno criminoso’ implica che l’intera serie di reati sia stata programmata fin dall’inizio (ab initio) in un piano unitario. L’abitualità, invece, descrive una condotta caratterizzata dalla consumazione contingente di illeciti, senza una programmazione iniziale complessiva, indicando una tendenza a delinquere.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché sollevava questioni di mero fatto, non era specifico nell’indicare le ragioni di diritto che lo sorreggevano ed era manifestamente infondato, in quanto il vizio di motivazione denunciato non trovava riscontro nel provvedimento impugnato, che aveva correttamente motivato la sua decisione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati