Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 8091 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1   Num. 8091  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a LODI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 23/01/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del AVV_NOTAIO procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto, con requisitoria scritta, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 23 gennaio 2023 la Corte di appello di Milano, quale giudice dell’esecuzione, ha respinto l’istanza formulata da NOME COGNOME di riconoscere il vincolo della continuazione tra i reati giudicati con varie sentenze poste in esecuzione dal procuratore generale di Milano.
La Corte di appello, dopo avere premesso essere già stati unificati sotto il vincolo della continuazione i reati giudicati con tre delle sentenze contenute nel provvedimento di cumulo, ha ritenuto non potersi riconoscere l’unicità di disegno criminoso rispetto ai reati giudicati con le due residue sentenze, in quanto, pur avendo ad oggetto violazioni analoghe, cioè delitti di bancarotta fraudolenta, essi sono stati commessi nel 2008 e nel 2015. La rilevante distanza temporale tra loro evidenzia l’insussistenza di uno dei presupposti di applicabilità dell’art. 671 cod.proc.pen., non avendo l’istante allegato specifici elementi dimostrativi dell’unicità di disegno criminoso. La già riconosciuta continuazione tra altri reati non è rilevante perché, non essendo nessuno di questi ritenuto in continuazione con quelli oggetto delle due sentenze citate, non è applicabile neppure il principio della cosiddetta proprietà transitiva della continuazione.
I plurimi precedenti specifici dell’istante, relativi a delitti di bancarott fraudolenta, devono, piuttosto, essere ritenuti indici sintomatici di una abitualità criminosa e di una scelta di vita ispirata alla sistematica commissione di reati.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME, per mezzo dei suoi difensori AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO, articolando un unico motivo con il quale deduce la violazione di legge e dell’obbligo di motivazione.
La Corte di appello, nel respingere l’istanza, ha omesso di accertare il reale coinvolgimento del COGNOME nei reati contestati, non tenendo conto del fatto che egli, essendo in regime di affidamento in prova, non poteva commettere alcun reato per le società coinvolte. Inoltre la Corte ha affermato che le condanne riportate dal COGNOME dimostrano una sua abitualità nel delinquere, ma tale abitualità non poteva essere dichiarata, senza un accertamento della sua attuale e concreta pericolosità sociale.
La dichiarazione di abitualità nel delinquere deve essere preceduta da una specifica contestazione, che metta l’imputato in condizione di difendersi. Nell’ordinanza impugnata, invece, manca ogni riferimento alle tipologie dell’abitualità, previste dall’art. 102 e dall’art. 103 cod.pen., anche sotto il profilo descrittivo, e la Corte di appello ha dichiarato il COGNOME “delinquente abituale” sulla
base di un mero automatismo valutativo di comparazione tra il suo passato e le recenti condanne.
Chiede pertanto l’annullamento della «sentenza di appello … senza rinvio limitatamente all’intervenuta dichiarazione di delinquenza abituale, che va eliminata» (sic).
 Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato, e deve essere dichiarato inammissibile.
La prima parte dell’unico motivo è manifestamente infondata, in quanto lamenta che l’ordinanza impugnata abbia «omesso di accertare anzitutto il reale coinvolgimento del COGNOME nei reati contestati», senza tenere conto del fatto che il giudice dell’esecuzione non può rivalutare nel merito le sentenze definitive, che sono sottoposte alla sua attenzione solo per finalità esecutive. Il ricorrente censura, perciò, l’omissione di un’attività che il giudice dell’esecuzione non può compiere, in quanto esclusa dalla sua competenza funzionale. E’ pertanto evidente che la violazione dell’obbligo motivazionale lamentata dal ricorrente non sussiste.
Anche la seconda parte del ricorso è manifestamente infondata. GLYPH Il ricorrente lamenta l’erroneità della dichiarazione di abitualità nel reato, che però non è stata effettuata dall’ordinanza impugnata, che si è limitata ad affermare che i plurimi precedenti penali del ricorrente appaiono essere indici sintomatici di una abitualità criminosa e di uno stile di vita improntato alla sistematica consumazione di reati, che possono comportare la dichiarazione di recidiva o di abitualità e professionalità nel reato, ma non sono elementi idonei per l’applicazione dell’istituto della continuazione. Il ricorso non si confronta, quindi, con la ratio decidendi dell’ordinanza impugnata, e si conclude con una richiesta palesemente inammissibile, quale quella di annullare una decisione che il giudice dell’esecuzione non ha assunto.
 Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n.
186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 13 ottobre 2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente