Vincolo della Continuazione: Quando la Distanza Temporale Spezza il Legame
L’istituto del vincolo della continuazione, previsto dall’articolo 81 del Codice Penale, rappresenta un cardine del nostro sistema sanzionatorio, consentendo di unificare sotto un’unica pena più reati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Ma quali sono i limiti di questa applicazione? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce come la notevole distanza temporale tra i fatti e altre circostanze possano essere decisive per escludere tale beneficio.
Il Caso in Esame: Due Condanne a Distanza di Anni
Il caso sottoposto all’esame della Suprema Corte riguardava un soggetto che aveva richiesto al Giudice dell’esecuzione di riconoscere il vincolo della continuazione tra due sentenze definitive. Entrambe le condanne si riferivano a reati in materia di stupefacenti (art. 73 d.P.R. 309/1990), ma erano state commesse in periodi di tempo molto distanti:
* Prima condanna: per fatti commessi tra ottobre 2014 e ottobre 2016.
* Seconda condanna: per fatti commessi tra aprile e novembre 2023.
Il ricorrente sosteneva che, nonostante il tempo trascorso, i reati fossero riconducibili a un unico programma criminoso. Il Giudice dell’esecuzione, tuttavia, aveva rigettato la richiesta, spingendo la difesa a presentare ricorso in Cassazione.
L’Analisi del Giudice di Merito e i Motivi del Ricorso
Il Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Lodi aveva negato la continuazione basandosi principalmente su due elementi: la significativa distanza temporale tra le due serie di reati e il fatto che, nel periodo intermedio, il condannato era stato sottoposto a una misura cautelare personale.
La difesa ha impugnato questa decisione lamentando una violazione di legge e una carenza di motivazione, sostenendo che il giudice si fosse concentrato unicamente sul fattore tempo, trascurando altri indici che avrebbero potuto dimostrare l’esistenza di un unico disegno criminoso.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione sul vincolo della continuazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la correttezza della decisione del giudice di merito. Le motivazioni della Suprema Corte si fondano su principi consolidati e offrono importanti chiarimenti sui criteri di valutazione del vincolo della continuazione.
L’Inammissibilità per Questioni di Fatto
In primo luogo, la Corte ha ribadito che il ricorso presentava doglianze relative a profili di mero fatto. La valutazione dell’esistenza di un medesimo disegno criminoso è un accertamento che spetta al giudice di merito. La Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice precedente, a meno che la motivazione di quest’ultimo non sia palesemente illogica o contraddittoria, vizio che in questo caso non è stato riscontrato. Il ricorso era, in sostanza, un tentativo di ottenere un nuovo giudizio sui fatti, non consentito in sede di legittimità.
Gli Indici Contrari al Disegno Criminoso Unitario
Entrando nel merito della valutazione, la Corte ha ritenuto logica e coerente l’argomentazione del Giudice dell’esecuzione. I giudici hanno sottolineato che la semplice identità della norma violata non è sufficiente a dimostrare la continuazione. Al contrario, devono essere analizzati tutti gli indici disponibili. Nel caso specifico, due elementi sono stati considerati decisivi per escludere un programma criminoso unitario concepito ab initio:
1. La significativa distanza temporale: Un intervallo di quasi sette anni tra la fine della prima condotta e l’inizio della seconda è stato ritenuto un forte indicatore della mancanza di un collegamento programmato.
2. La misura cautelare intermedia: Il fatto che il condannato fosse stato sottoposto a una misura restrittiva della libertà personale tra i due periodi è stato interpretato come un evento interruttivo, incompatibile con la persistenza di un unico piano criminoso originario.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale: il riconoscimento del vincolo della continuazione non è un automatismo, ma il risultato di una valutazione complessiva e ponderata di tutti gli elementi del caso concreto. La distanza temporale tra i reati non è l’unico criterio, ma assume un peso determinante, specialmente se corroborata da altri fattori, come eventi personali e giudiziari che interrompono la continuità dell’azione criminale. Questa decisione serve da monito: per ottenere il beneficio della continuazione, è necessario fornire una prova rigorosa dell’esistenza di un’unica programmazione iniziale, una prova che diventa tanto più difficile quanto più il tempo allontana i fatti tra loro.
Cosa si intende per ‘vincolo della continuazione’ in diritto penale?
È un istituto che permette di considerare più reati, commessi in esecuzione di un unico piano criminoso, come un’unica violazione di legge, portando a una pena complessiva più mite rispetto alla somma delle singole pene.
Un lungo periodo di tempo tra due reati esclude sempre il vincolo della continuazione?
Non automaticamente, ma secondo la Corte di Cassazione, una ‘significativa distanza temporale’ è un indice molto forte che depone contro l’esistenza di un unico disegno criminoso. Il suo peso aumenta se, come nel caso di specie, si aggiungono altri fattori interruttivi, come una misura cautelare.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le argomentazioni del difensore miravano a una rivalutazione dei fatti (come l’interpretazione degli indizi), compito che spetta al giudice di merito e non alla Corte di Cassazione. La motivazione del giudice precedente è stata ritenuta logica e priva di vizi.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19841 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19841 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il 19/08/1987
avverso l ‘ ordinanza del 19/12/2024 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lodi dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che, con il provvedimento impugnato, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lodi , in funzione del Giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta di riconoscimento del vincolo della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen. , proposta nell’interesse di NOME COGNOME in relazione ai reati giudicati con due sentenze irrevocabili, di cui all ‘ art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 commessi, per la prima sentenza, tra il mese di ottobre 2014 e il mese di ottobre 2016 e, per la seconda sentenza, da aprile a novembre 2023.
Ritenuto che i due motivi di ricorso, trattati unitariamente, prospettati dal difensore, avv. M. COGNOME ( violazione e falsa applicazione degli artt. 81 c.p. e 671 c.p.p., nonché carenza di motivazione per aver preso in considerazione un solo indice rivelatore del vincolo della continuazione ), si configurano come doglianze inammissibili in quanto attinenti a profili di mero fatto, reiterative di
questioni già prospettate con l’istanza e d adeguatamente vagliate dal Giudice dell’esecuzione , attraverso argomentazioni logiche e coerenti, e, comunque, manifestamente infondate, poiché il denunciato vizio di carenza motivazionale non trova riscontro nell’esame del provvedimento impugnato .
Considerato che il provvedimento gravato ha chiarito, con valutazione di merito, dandone conto con motivazione non manifestamente illogica, dunque incensurabile in questa sede, come gli indici emersi non confortino la conclusione della sussistenza della dimostrazione che ab initio l ‘ intera serie, in relazione ai fatti giudicati con le due sentenze indicate, fosse stata, pur nelle grandi linee, programmata, dando rilievo, in particolare, alla significativa distanza temporale intercorrente tra i reati oggetto della prima condanna e quelli di più recente commissione, nonché alla circostanza che, nel periodo intermedio tra i due gruppi di reati, il condannato è stato sottoposto a una misura cautelare personale.
Reputato che la mera identità delle disposizioni normative violate non può, di per sé, giustificare l’automatica riconducibilità di fatti commessi a distanza di molti anni l’uno dall’altro a d un medesimo disegno criminoso.
Ritenuto che, per le ragioni sin qui esposte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna alle spese processuali, nonché, tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen. con l’onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, determinata equitativamente nella misura di cui al dispositivo, considerati i motivi devoluti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 3 aprile 2025