Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 46297 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 46297 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a NAPOLI il 15/11/1988
avverso l’ordinanza del 21/06/2024 del GIP TRIBUNALE di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, dott. NOME COGNOME il quale ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 21 giugno 2024 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli ha rigettato la richiesta, presentata nell’interesse di NOME COGNOME volta al riconoscimento del vincolo della continuazione, in executivis, tra i reati per cui egli è stato condannato con due separate sentenze.
Il giudice dell’esecuzione, premesso che analoga istanza è stata disattesa con provvedimento dell’8 ottobre 2021, divenuto definitivo il 14 aprile 2022, ha, in proposito, ritenuto che gli elementi ulteriormente addotti dall’istante costituiti dalle dichiarazioni rese da taluni collaboratori di giustizia e, tra gli alt da NOME COGNOME cl. ’71 – non valgano a dimostrare che egli, all’atto del suo inserimento, risalente al periodo 2008-2009, nel dan COGNOME, al tempo guidato dal suocero NOME COGNOME e dedito sia al controllo camorristico del territorio che al narcotraffico, avesse già programmato, sia pure a grandi linee, l’omicidio di NOME COGNOME, avvenuto il 22 febbraio 2011 e deliberato in seguito all’acuirsi di contrasti interni al sodalizio che, nel momento dell’affiliazione di Baiano, erano ancora latenti e non sufficientemente delineati.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’avv. NOME COGNOME ricorso per cassazione affidato ad un unico, articolato motivo, del quale si darà atto, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. ri,
Denuncia vizio di motivazione sul rilievo che il giudice dell’esecuzione è pervenuto al rigetto dell’istanza ex art. 671 cod. proc. pen. senza riconoscere il dovuto rilievo alle circostanze da lui esposte con apposita memoria difensiva e, quindi, rendendo dichiarazioni spontanee e, in particolare, al rango attribuitogli in seno alla compagine sin dal suo ingresso, in virtù del quale gli era stata affidata la diretta responsabilità del commercio della sostanza stupefacente.
Rileva, al riguardo, che il ruolo svolto su incarico di NOME COGNOME proprio in quel periodo datosi alla latitanza, contemplava, ab initio, il controllo dell’attività di COGNOME, sospettato di distrarre a vantaggio della propria fazione, quella degli COGNOME, parte degli incassi derivati dai traffici illeciti, ciò che rendeva concreta, già in quella fase, la prospettiva di risolvere i contrasti interni al gruppo attraverso uno scontro armato e, quindi, l’uccisione di chi, come COGNOME, teneva un atteggiamento quantomeno ambiguo.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e, pertanto, passibile di rigetto.
2. Preliminarmente, va ricordato che la giurisprudenza di legittimità, con riferimento al vincolo della continuazione in sede di esecuzione, ha individuato gli elementi da cui desumere l’ideazione unitaria, da parte del singolo agente, di una pluralità di condotte illecite, stabilendo che le violazioni dedotte ai fini dell’applicazione della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen. devono costituire parte integrante di un unico programma criminoso deliberato per conseguire un determinato fine, per il quale si richiede l’originaria progettazione di una serie ben individuata di illeciti, già concepiti almeno nelle loro caratteristiche essenziali (Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012, NOME, Rv. 255156).
Tale programma, a sua volta, non deve essere confuso con la sussistenza di una concezione di vita ispirata all’illecito, perché in tal caso «la reiterazione della condotta criminosa è espressione di un programma di vita improntato al crimine e che dal crimine intende trarre sostentamento e, pertanto, penalizzata da istituti quali la recidiva, l’abitualità, la professionalità nel reato e la tendenza a delinquere, secondo un diverso ed opposto parametro rispetto a quello sotteso all’istituto della continuazione, preordinato al favor rei» (Sez. 5, n. 10917 del 12/01/2012, COGNOME, Rv. 252950).
La verifica di tale preordinazione – ritenuta meritevole di più benevolo trattamento sanzionatorio attesa la minore capacità a delinquere di chi si determina a commettere gli illeciti in forza di un singolo impulso, anziché di spinte criminose indipendenti e reiterate – investendo l’inesplorabile interiorità psichica del soggetto, non può essere compiuta sulla base di indici meramente presuntivi ovvero di congetture processuali, essendo necessario dimostrare che i reati che si ritengono avvinti dal vincolo della continuazione invocato siano stati concepiti ed eseguiti nell’ambito di un programma criminoso unitario (Sez. 1, n. 37555 del 13/11/2015, COGNOME, Rv. 267596).
Ne discende che «Il riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati
almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea» (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074).
Non è, per converso, necessaria la concomitante ricorrenza di tutti i predetti indicatori, potendo l’unitarietà del disegno criminoso essere apprezzata anche al cospetto di soltanto alcuni di detti elementi, purché significativi (in questo senso cfr., tra le tante, Sez. 1, n. 8513 del 09/01/2013, Cardinale, Rv. 254809; Sez. 1, n. 44862 del 05/11/2008, Lombardo, Rv. 242098).
L’accertamento di tali indici è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, quando il convincimento del giudice sia sorretto da una motivazione adeguata e congrua, senza vizi logici e travisamento dei fatti.
Tanto premesso sul piano dei principi, ritiene il Collegio che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli Osi sia, nel complesso, attenuto, pervenendo al rigetto dell’istanza ex art. 671 cod. proc. pen. proposta nell’interesse di NOME COGNOME sulla scorta di considerazioni logiche e coerenti e, comunque, esenti da vizi rilevanti in sede di legittimità.
Nella valutazione del giudice dell’esecuzione, la distanza temporale, stimabile in almeno un biennio, tra l’avvio della militanza associativa di Baiano e la sua partecipazione all’omicidio di NOME COGNOME si accompagna alla considerazione, compiuta sulla scorta dei più recenti apporti dei collaboratori di giustizia e, segnatamente, di quello di NOME COGNOME cl. ’71, dell’evoluzione dei rapporti tra le articolazioni del clan, attraversate da fibrillazioni che, a lungo rimaste sottotraccia, non hanno impedito il mantenimento di una duratura e fruttuosa collaborazione.
In questa cornice, il Giudice per le indagini preliminari assegna specifica rilevanza alla svolta verificatisi con il subentro di NOME COGNOME nella posizione già ricoperta da NOME COGNOME da cui sono derivate le tensioni con gli COGNOME intenzionati ad estromettere i COGNOME dalla gestione del traffico di cocaina e dal conteggio dei proventi delle perpetrate estorsioni – e, poscia, la decisione di uccidere COGNOME.
Per tale via, il giudice dell’esecuzione, dopo avere compiutamente vagliato le allegazioni di parte, ha, nondimeno, reputato, con motivazione ampia e coerente, che esse confermino la reciproca autonomia delle deliberazioni criminose anziché la loro riconducibilità al medesimo disegno criminoso, sviluppando un tessuto argomentativo sintonico con la descritta cornice ermeneutica, che il ricorrente contesta ponendosi in un’ottica sostanzialmente
confutativa – in quanto tale non idonea ad abilitare l’intervento censorio del giudice di legittimità – che si impernia su elementi che, frutto di una opposta esegesi delle risultanze istruttorie, non valgono a connotare in chiave di illegittimità la decisione impugnata, incentrata su dati di fatto che le garantiscono un adeguato supporto razionale in quanto senz’altro idonei ad orientare l’esercizio della discrezionalità giudiziale.
Così facendo, del resto, si è posto in linea di continuità con il consolidato e condiviso orientamento interpretativo secondo cui «È ipotizzabile la continuazione tra il reato di partecipazione ad associazione mafiosa e i reati fine, a condizione che il giudice verifichi puntualmente che questi ultimi siano stati programmati al momento in cui il partecipe si è determinato a fare ingresso nel sodalizio» (Sez. 1, n. 23818 del 22/06/2020, Toscano, Rv. 279430 – 01; Sez. 1, n. 1534 del 09/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271984 – 01), mentre, per contro, il medesimo vincolo non è ipotizzabile «tra il reato associativo e i reati fine non programmabili “ah origine” perché legati a circostanze ed eventi contingenti e occasionali, pur potendo astrattamente rientrare nell’ambito delle attività del sodalizio criminoso» (Sez. 6, n. 4680 del 20/01/2021, COGNOME, Rv. 280595 – 01; Sez. 5, n. 54509 del 08/10/2018, COGNOME, Rv. 275334 – 02; Sez. 6, n. 13085 del 03/10/2013, COGNOME, Rv. 259481 – 01).
Dal rigetto del ricorso discende la condanna di Baiano al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 17/10/2024.