Vincolo della Continuazione: la dipendenza da alcol non basta
L’ordinanza n. 46071/2024 della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sul vincolo della continuazione, un istituto fondamentale del nostro diritto penale. La Suprema Corte ha ribadito un principio cruciale: la mera sussistenza di una dipendenza, come quella da alcol, non è sufficiente a dimostrare automaticamente l’esistenza di un “medesimo disegno criminoso” necessario per unificare più reati. Analizziamo questa decisione per comprenderne la portata e le implicazioni pratiche.
I Fatti del Processo
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un soggetto avverso una sentenza della Corte di Appello di Bologna. Il ricorrente chiedeva il riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati per cui si procedeva e altri fatti già giudicati in via definitiva. L’argomento principale a sostegno della sua richiesta era la propria condizione di dipendenza da alcol, presentata come l’elemento unificante e la causa scatenante della serie di illeciti commessi. La Corte di Appello aveva però respinto tale richiesta, ritenendo che la dipendenza non fosse, da sola, prova di un’unica programmazione criminale.
La Decisione della Corte di Cassazione e il vincolo della continuazione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, considerandolo “manifestamente infondato”. La decisione si basa su argomentazioni logico-giuridiche precise, confermando in toto la valutazione del giudice di secondo grado.
L’Insufficienza della Dipendenza da Alcol
Il punto centrale della motivazione risiede nella distinzione tra una condizione personale patologica e il concetto giuridico di “disegno criminoso”. I giudici hanno sottolineato che, sebbene una dipendenza possa influenzare il comportamento di un individuo, non comporta automaticamente che tutti i reati da lui commessi siano frutto di un’unica, preordinata deliberazione. Il disegno criminoso richiede una programmazione iniziale dei reati da compiere, un’ideazione unitaria che lega le diverse condotte illecite. La dipendenza, invece, può al massimo rappresentare un movente o una spinta generica, ma non un piano strutturato.
La Manifesta Infondatezza del Ricorso
La Cassazione ha qualificato il ricorso come “manifestamente infondato” perché non ha scalfito la correttezza del ragionamento della Corte di Appello. Quest’ultima aveva già spiegato in modo logico e coerente perché l’unicità del disegno criminoso dovesse essere esclusa nel caso di specie. Il ricorso si è limitato a riproporre una tesi già vagliata e respinta, senza addurre nuovi e validi argomenti giuridici in grado di mettere in discussione la sentenza impugnata.
Le Motivazioni
Le motivazioni della Suprema Corte sono lineari e rigorose. Il rigetto si fonda sulla constatazione che la Corte di merito ha applicato correttamente i principi di diritto. Riconoscere il vincolo della continuazione sulla sola base di una dipendenza significherebbe snaturare l’istituto, trasformandolo da strumento per valutare una specifica modalità di programmazione criminale a una generica attenuante legata a condizioni personali. La Corte ha implicitamente ribadito che l’onere della prova del disegno criminoso spetta a chi lo invoca. Il ricorrente non ha fornito elementi concreti per dimostrare che i vari reati fossero tappe di un unico piano deliberato in anticipo, limitandosi a indicare la sua condizione di alcolista come fattore comune.
Le Conclusioni
In conclusione, l’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro: il vincolo della continuazione non può essere confuso con la generica spinta a delinquere derivante da stati di bisogno o dipendenza. Per la sua applicazione è indispensabile dimostrare l’esistenza di un programma criminoso unitario, concepito prima della commissione del primo reato. Questa decisione rappresenta un monito per la difesa: per ottenere benefici di legge, non basta invocare condizioni personali difficili, ma è necessario fornire prove concrete che soddisfino i requisiti specifici previsti dalla norma.
La dipendenza da alcol è sufficiente per ottenere il riconoscimento del vincolo della continuazione tra più reati?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la sussistenza di una dipendenza da alcol non comporta l’automatico riconoscimento del vincolo della continuazione, poiché non dimostra di per sé l’esistenza di un medesimo disegno criminoso.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché ritenuto manifestamente infondato. La Corte ha stabilito che la Corte d’Appello aveva già respinto la richiesta con argomenti logico-giuridici corretti, che non sono stati validamente contestati dal ricorrente.
Quali sono state le conseguenze per il ricorrente dopo la decisione della Cassazione?
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 46071 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 46071 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOMECODICE_FISCALE nato il 21/09/1983
avverso la sentenza del 04/04/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOMECOGNOME
ritenuto che l’unico motivo di ricorso, con cui si deduce la violazione di legge in ordine al mancato riconoscimento del vincolo della continuazione tra i fatti per cui si procede e altri definitivamente giudicati con la sentenza espressamente richiamata, è manifestamente infondato in quanto la Corte di merito ha respinto la richiesta di riconoscimento della continuazione con corretti argomenti logico giuridici (si veda, in particolare, pag. 2 sulle ragioni a sostegno dell’esclusione dell’unicità del disegno criminoso, fermo restando che la sussistenza di una dipendenza da alcol non comporta l’automatico riconoscimento del predetto vincolo);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in data 5 novembre 2024
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Il Consigliere estensore
Il Presidente