Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 7781 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 7781 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME COGNOME nato a Bitonto il 17/02/1978
avverso l’ordinanza emessa il 19/09/2024 dalla Corte di appello di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Con ordinanza del 19 settembre 2024 la Corte di appello di Bari, quale Giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza avanzata da NOME COGNOME finalizzata a ottenere il riconoscimento della continuazione, ai sensi degli artt. 81, secondo comma, cod. pen., e 671 cod. proc. pen., in relazione ai reati giudicati dalle sentenze di cui ai punti 2 e 3 del provvedimento impugnato, ritenendo ostativa all’applicazione della disciplina invocata l’eterogeneità esecutiva che connotava le condotte illecite oggetto di vaglio.
Né assumeva rilievo unificante, rispetto a tali connotazioni esecutive, la condanna per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., irrogata dalla Corte di appello di Bari il 17 giugno 2022, divenuta irrevocabile il 29 gennaio 2023, giudicato dalla sentenza di cui al punto 4 del provvedimento censurato.
Avverso questa ordinanza NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME ricorreva per cassazione, deducendo la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento agli artt. 81, secondo comma, cod. pen., e 671 cod. proc. pen., conseguenti all’omesso riconoscimento della continuazione in sede esecutiva, che, relativamente ai reati di cui ai punti 2 e 3 della pronuncia censurata, si imponeva tenuto conto della correlazione esistente tra i delitti giudicati dalle decision irrevocabili richiamate dal condannato.
Questa correlazione era stata svalutata dalla Corte di appello di Bari, che, attraverso un percorso argomentativo incongruo, aveva disatteso l’incontrovertibile collegamento esecutivo esistente tra i comportamenti criminosi di Cassano, nel valutare i qual occorreva tenere conto del fatto che, nel procedimento di cui al punto 4 del provvedimento impugnato, la permanenza del reato associativo si interrompeva alla data del 29 gennaio 2020, in cui era stata emessa la sentenza di primo grado, pronunciata dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bari il 29 gennaio 2020; il che imponeva di ricomprendere in tale arco temporale anche i reati giudicati dalle sentenze di cui ai punti 2 e 3 dell’ordinanza censurata.
Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è fondato nei termini di seguito indicati.
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In via preliminare, deve rilevarsi che la giurisprudenza di legittimità consolidata, con specifico riferimento al vincolo della continuazione invocato da NOME COGNOME in riferimento ai titoli esecutivi presupposti, ha individuato gli elementi da cui desumere l’ideazione unitaria da parte del singolo agente di una pluralità di condotte illecite, stabilendo che le violazioni dedotte ai fini dell’applicazione della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen. devono costituire parte integrante di un unico programma criminoso che deve essere deliberato per conseguire un determinato fine, per il quale si richiede l’originaria progettazione di una serie ben individuata di reati, già concepiti almeno nelle loro caratteristiche essenziali (tra le altre, Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012, Daniele, Rv. 255156 – 01; Sez. 1, n. 44862 del 05/11/2008, COGNOME, Rv. 242098 – 01).
La verifica di tali condotte delittuose, inoltre, non può essere compiuta sulla base di indici meramente presuntivi o di mere congetture, essendo necessario acquisire la prova che i reati che si ritengono avvinti dal vincolo invocato siano stati concepiti nell’ambito di un programma unitario. Tale programma, a sua volta, non deve essere confuso con la sussistenza di una concezione di vita improntata al crimine, perché in tal caso «la reiterazione della condotta criminosa è espressione di un programma di vita improntata al crimine e che dal crimine intende trarre sostentamento e, pertanto, penalizzata da istituti quali la recidiva, l’abitualità, la professionalità nel reato e la tendenza a delinquere, secondo un diverso ed opposto parametro rispetto a quello sotteso all’istituto della continuazione, preordinato al “favor rei”» (Sez. 5, n. 10917 del 12/01/2012, COGNOME, Rv. 252950 – 01).
Infine, nel caso in cui l’applicazione del vincolo della continuazione venga invocato in sede esecutiva con riferimento a una pluralità di reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, mutuando i parametri ermeneutici affermati da questa Corte per le ipotesi di appartenenza a consorterie operanti in tempi diversi, occorre tenere conto del fatto che non è sufficiente «il riferimento alla tipologia del reato ed all’omogeneità delle condotte, ma occorre una specifica indagine sulla natura dei vari sodalizi, sulla loro concreta operatività e sulla loro continuità nel tempo, al fine di accertare l’unicità del momento deliberativo e la sua successiva attuazione attraverso la progressiva appartenenza del soggetto ad una pluralità di organizzazioni ovvero ad una medesima organizzazione» (Sez. 6, n. 51906 del 15/09/2017, COGNOME, Rv. 271569 – 01).
Alla luce dei parametri ermeneutici enunciati nel paragrafo precedente, osserva il Collegio che l’ordinanza impugnata non ha esplicitato correttamente il percorso argomentativo sulla base del quale la richiesta di applicazione del vincolo della continuazione invocato da NOME COGNOME – relativo ai reati giudicati dalle sentenze di cui ai punti 2 e 3 del provvedimento impugnato, dei quali si controverte – andava rigettata.
Secondo il Giudice dell’esecuzione, non assumeva rilievo unificante rispetto alle fattispecie di cui ai punti 2 e 3 la condanna per il reato di cui all’art. 416-b cod. pen., irrogata dalla Corte di appello di Bari il 17 giugno 2022 e divenuta irrevocabile il 29 gennaio 2023, giudicato dalla pronuncia menzionata a punto 4 del provvedimento censurato. Tale pronuncia avrebbe sancito l’interruzione della permanenza del vincolo associativo relativo alla condotta illecita giudicata dalla sentenza di cui al punto 4, in epoca antecedente all’entrata in vigore della legge 27 maggio 2015, n. 9, utilizzata come termine di riferimento normativo ai fini dell’individuazione del trattamento sanzionatorio previsto per la fattispecie di cui all’art. 416-bis cod. pen.
Tuttavia, l’interruzione della permanenza del vincolo associativo alla data sopra indicata era stata affermata in relazione alla posizione di un coimputato del ricorrente, NOME COGNOME
Viceversa, per l’imputato NOME COGNOME non era stata fornita alcuna indicazione sull’interruzione del vincolo associativo, che, salvo allegazioni contrarie, avrebbe dovuto essere individuata nella data della pronuncia di primo grado del procedimento presupposto, emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bari il 29 gennaio 2020, nel quale la contestazione era stata elevata all’odierno al ricorrente in forma aperta, senza indicazione della data di cessazione della condotta illecita; il che lascia residuare il dubbio che il Giudice dell’esecuzione, nel caso di specie, abbia accomunato due posizioni processuali distinte e non assimilabili.
Non può, in proposito, non richiamarsi il principio di diritto affermato da Sez. 2, n. 37104 del 13/06/2023, COGNOME, Rv. 285414 – 01, relativo alle ipotesi in cui il reato associativo sia contestato all’imputato in forma aperta, secondo cui: «Nei reati permanenti in cui la contestazione sia effettuata nella forma cd. “aperta” o a “consumazione in atto”, senza indicazione della data di cessazione della condotta illecita, la regola processuale secondo cui permanenza si considera cessata con la pronuncia della sentenza di primo grado non equivale a presunzione di colpevolezza fino a quella data, spettando all’accusa l’onere di fornire la prova a carico dell’imputato in ordine al protrarsi della condotta criminosa fino all’indicato ultimo limite processuale e all’imputato l’onere di, allegazione di eventuali fatti interruttivi della partecipazione al sodalizio».
Questo orientamento ermeneutico, del resto, si inserisce nel solco di un filone giurisprudenziale consolidato e risalente nel tempo, che è possibile esplicitare richiamando il principio di diritto, tuttora insuperato, affermato d Sez. 3, n. 10640 del 03/09/1999, COGNOME, Rv. 214039 – 01, secondo cui: «Deve assegnarsi valore esclusivamente processuale e non di inversione dell’onere della prova alla regola secondo cui, qualora la contestazione di un reato permanente sia formulata con il semplice richiamo alla data di accertamento dell’illecito non occorre che vengano specificati gli ulteriori momenti di verifica della violazione. Mentre, quindi, in base a detta regola, qualora dagli atti emerga la prova che la condotta illecita è proseguita anche dopo la data dell’accertamento, il giudice può tenerne conto, anche in assenza di ulteriore contestazione, lo stesso giudice non può, invece, mancando la suddetta prova, assegnare all’imputato il compito di dimostrare che egli non ha perseverato nell’illecito ma deve piuttosto ritenere, per il principio “in dubio pro reo”, che vi sia stat desistenza, assumendo quindi, come data di consumazione del reato, anche ai fini della prescrizione, quella dell’accertamento».
Le considerazioni che si sono esposte impongono l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con il conseguente rinvio degli atti alla Corte di appello di Bari per un nuovo giudizio, che dovrà essere eseguito nel rispetto dei principi che si sono enunciati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Bari.
Così deciso 1’8 gennaio 2025.