Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 9473 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 9473 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
NOME NOME, nato a Lecce il DATA_NASCITA
NOME NOME, nato a Lecce il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/4/2023 della Corte di appello di Lecce; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procurat generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiarare inammissibili i ricorsi;
lette le conclusioni del difensore di COGNOME NOME, AVV_NOTAIO che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 17/4/2023, la Corte di appello di Lecce, in riforma de pronuncia emessa il 27/2/2018 del locale Tribunale, assolveva NOME COGNOME e NOME COGNOME dalla contravvenzione di cui all’art. 44, lett. c), d.P.R. 6 g 2001, n. 380, anche in relazione al reato di cui agli artt. 30, 181, d. Igs. 22 2004, perché il fatto non costituisce reato.
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Propongono congiunto ricorso per cassazione i due imputati, deducendo i seguenti motivi:
premessa un’ampia ricostruzione della vicenda, dei titoli amministrativi rilasciati ai ricorrenti, del contenuto della sentenza assolutoria – perché il fatto no sussiste – pronunciata dal Tribunale, degli esiti della perizia disposta in grado di appello (con diffuso richiamo alla documentazione esaminata dal tecnico), nonché, infine, della pronuncia di secondo grado, la cui motivazione è integralmente riportata, si contesta – con il primo motivo – l’esercizio, da parte della Corte d appello, di una potestà riservata dalla legge agli organi amministrativi, nonché l’erronea applicazione degli artt. 10, 95, 112 e 113 delle Norme Tecniche di Attuazione (NTA) del Piano regolatore generale del Comune di Lecce. In particolare, dopo aver ribadito che la localizzazione è finalizzata ad individuare beni determinati sui quali realizzare opere di interesse pubblico, a tal fine destinate all’espropriazione, si evidenzia che l’area oggetto dell’intervento in esame ha destinazione urbanistica F35 (Attrezzature sportive di carattere urbano); ebbene, dalla lettera dei citati articoli delle NTA, particolarmente chiari nel contenuto risulterebbe certo che tutti gli impianti sportivi dovrebbero essere realizzati sempre dall’amministrazione comunale, previa espropriazione dell’area. Nel caso di zone tipizzate come F35 dal vigente Piano regolatore generale del Comune di Lecce, dunque, tale carattere costituirebbe un vincolo pre-espropriativo (a differenza, ad esempio, della zona F36), che dovrebbe essere fatto valere nel termine di 5 anni dall’approvazione dello stesso Piano, pena la sua decadenza e la trasformazione dell’area interessata in cosiddetta “zona bianca”, priva di disciplina urbanistica; proprio questo effetto, dunque, si sarebbe verificato nel caso di specie, con conseguente piena legittimità dei titoli edilizi rilasciati dal Comune. La Corte di appello, pertanto, avrebbe interpretato erroneamente le norme di riferimento, e di fatto avrebbe annullato tutti gli atti amministrativi a fondamento della struttura a “corte”, così esercitando una potestà riservata dalla legge ai soli organi amministrativi (che, si ribadisce, avevano sempre riconosciuto la piena legittimità dell’intervento); in tal modo, il Giudice avrebbe ecceduto un proprio limite, quale quello che gli vieta di sostituirsi all’amministrazione negl accertamenti e nelle valutazioni di merito, di esclusiva competenza di questa. La riforma della sentenza di primo grado, con assoluzione perché il fatto non costituisce reato, anziché perché il fatto non sussiste, dovrebbe, pertanto, essere annullata; Corte di Cassazione – copia non ufficiale
la motivazione della sentenza è poi contestata anche con riguardo alla perizia, disposta dalla Corte di appello ma non condivisa, senza argomento ed evidentemente alla luce delle sue conclusioni, del pari non accolte dal Collegio. La sentenza, in particolare, non avrebbe considerato che il perito – dopo aver
esaminato ampia documentazione – avrebbe riconosciuto la piena regolarità dell’intervento e la legittimità dei titoli rilasciati, così da escludere ogni profi rilevanza penale; la mancata considerazione di questi argomenti, pertanto, imporrebbe ulteriormente l’annullamento della sentenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi risultano manifestamente infondati; le due censure, peraltro, possono essere trattate in modo congiunto, in quanto espressione di una medesima questione, richiamata alla luce, nella prima, della normativa vigente, e, nella seconda, della perizia disposta dalla Corte di appello.
Il Collegio rileva, in primo luogo, che la vicenda è del tutto pacifica nei suoi termini fattuali, con riguardo alla natura e alla consistenza delle opere, così come ai numerosi provvedimenti amministrativi rilasciati ai ricorrenti tra il 2007 e i 2015; proprio in ragione di ciò, oltre che di ulteriori elementi che ben avrebbero potuto influire sulla buona fede dei ricorrenti (come un parere pro ventate rilasciato da un professionista), questi sono stati assolti in appello esclusivamente per mancanza dell’elemento soggettivo, riscontrandosi, per contro, il carattere illecito delle condotte.
4.1. Tanto premesso, la motivazione della sentenza impugnata deve essere condivisa, non riscontrandosi la violazione di legge o il vizio motivazionale che sostengono il comune ricorso.
Come correttamente affermato dalla Corte di appello, le opere insistono con riguardo alla classificazione delle zone omogenee di cui al d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 – in zona F (“parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale”); con riguardo, nello specifico, alle Norme tecniche di attuazione del Piano regolatore generale del Comune di Lecce, la proprietà in questione è inserita in zona F35 (“strutture sportive a carattere urbano”). Ebbene, l’art. 95 delle stesse NTA (“Zone F. Attrezzature e servizi di interesse generale”) stabilisce che “la realizzazione delle attrezzature pubbliche in tali zone F avviene di norma mediante acquisizione o espropriazione dell’area da parte dell’Amministrazione comunale o da parte degli Enti preposti istituzionalmente alla realizzazione e gestione delle specifiche attrezzature e servizi”; al successivo art. 112, relativo proprio alle zone F35, sono poi indicati taluni dati tecnici che gl impianti debbono possedere, anche in relazione ai parcheggi, ma – come ben rilevato dalla sentenza impugnata – non è previsto che gli stessi interventi possano essere realizzati soltanto dall’amministrazione comunale, previo esproprio dell’area. Questo complesso normativo, che certamente trova il proprio presupposto nel citato d.m. n. 1444, è stato dunque correttamente interpretato
dalla Corte di appello, che vi ha ravvisato un vincolo conformativo, teso a garantire che l’area medesima veda soddisfatta quella specifica esigenza alla quale lo strumento urbanistico l’ha destinata, indipendentemente dal soggetto – pubblico o privato – che si renda artefice dell’intervento urbanistico. Non può essere condivisa, pertanto, la tesi a fondamento del ricorso, più volte richiamata, in forza della quale il vincolo esistente sulle zone F35 sarebbe di natura pre-espropriativa, cosicché, decorsi 5 anni dall’approvazione del Piano senza che il Comune abbia esercitato questo suo potere, l’area – rimasta di proprietà privata – rientrerebbe nelle cosiddette zone bianche, prive di una specifica disciplina urbanistica.
6. In senso contrario, peraltro, non rilevano neppure gli artt. 9 e 10 delle NTA, che lo stesso ricorso evidenzia al fine di sottolineare l’esclusiva titolarità intervento in capo all’amministrazione comunale. Il primo (“Attuazione degli standards urbanistici”) si limita ad affermare che “l’Amministrazione comunale provvede alla realizzazione delle opere di urbanizzazione secondaria ed alla acquisizione delle relative aree nella misura innanzi indicata direttamente o attraverso la contribuzione degli oneri di urbanizzazione di cui all’articolo precedente”: si tratta, evidentemente, di una disposizione di carattere generale, che cede di fronte alla specifica previsione di cui al citato art. 95 delle stesse Norme tecniche, in forza del quale – si ribadisce – la realizzazione delle attrezzature pubbliche in tali zone F avviene di norma (corsivo dell’estensore, n.d.e.) mediante acquisizione od esproprio dell’area da parte dell’amministrazione comunale o da parte degli enti preposti”, dunque senza alcuna esclusione di un eventuale intervento privato. Quanto, poi, all’art. 10 delle Norme tecniche di attuazione in esame (“Attrezzature a livello urbano territoriale-Attrezzature e servizi di interesse generale”), si tratta ancora di una disposizione di ampia portata, relativa a numerose aree, destinate alle più diverse finalità (dall’istruzione alle attrezzature culturali e sociali, dagli ospedali alle attrezzature turistiche e agli impianti sport pubblici, solo per citarne alcune); ne consegue che la previsione per cui “la realizzazione delle opere per le attrezzature urbane e territoriali e l’acquisizione delle relative aree è attuata dalle Amministrazioni ComunaliRAGIONE_SOCIALE Provinciali, Regionali secondo le rispettive competenze”, dall’evidente carattere generale, è destinata ancora a cedere di fronte al combinato disposto degli articoli 95-112, nei termini adeguatamente richiamati dalla sentenza impugnata. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
6. Deve essere confermata, pertanto, la conclusione raggiunta dalla Corte di appello, in forza della quale l’individuazione dell’area interessata come compresa nella zona omogenea F vi ha impresso uno specifico vincolo di destinazione, di natura conformativa e volto a dare esecuzione ad una specifica indicazione urbanistica ritenuta rilevante nel complesso della pianificazione generale, a carattere duraturo e che prescinde dalla qualifica del soggetto che concretamente
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vi provvederà; senza che, pertanto, possa essere riconosciuto un vincolo meramente pre-espropriativo, come invece affermato nel ricorso congiunto.
D’altronde, anche la Corte costituzionale (sent. n. 179 del 1999) ha sostenuto – con argomento pienamente condiviso in questa sede – che devono “essere considerati come normali e connaturali alla proprietà, quale risulta dal sistema vigente, i limiti non ablatori posti normalmente nei regolamenti edilizi o nella pianificazione e programmazione urbanistica e relative norme tecniche, quali i limiti di altezza, di cubatura o di superficie coperta, le distanze tra edifici, le z di rispetto in relazione a talune opere pubbliche, i diversi indici generali d fabbricabilità ovvero i limiti e rapporti previsti per zone territoriali omogenee simili. Inoltre è da precisare esplicitamente che sono al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo con le connesse garanzie costituzionali (e quindi non necessariamente con l’alternativa di indennizzo o di durata predefinita) i vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che non comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità di previa ablazione del bene. Ciò può essere il risultato di una scelta di politica programmatoria tutte le volte che gli obiettivi di interesse generale, di dotare il territorio di attrezzature e servizi, siano ritenuti realizzabili (e come t specificatamente compresi nelle previsioni pianificatorie) anche attraverso l’iniziativa economica privata – pur se accompagnati da strumenti di convenzionamento. Si fa riferimento, ad esempio, ai parcheggi, impianti sportivi, mercati e complessi per la distribuzione commerciale, edifici per iniziative di cura e sanitarie o per altre utilizzazioni quali zone artigianali o industriali o residenzia in breve, a tutte quelle iniziative suscettibili di operare in libero regime di economia di mercato”. Esattamente quel che è stato riscontrato nella vicenda in oggetto. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La conclusione alla quale ‘è giunta la Corte di appello, peraltro, non comporta alcun esercizio – da parte dello stesso Giudice – di una potestà riservata dalla legge agli organi amministrativi; la pronuncia impugnata, infatti, non ha sindacato nel merito la correttezza dell’operato del Comune di Lecce che aveva rilasciato i vari permessi di costruire, ma – diversamente – ha affermato la natura e la permanenza del vincolo che il Piano regolatore generale ha assegnato all’area in questione, ribadendone il carattere vincolante per soggetti pubblici e privati, tanto da riscontrare – alla luce di un intervento palesemente dissonante rispetto alle stesse previsioni – il carattere oggettivo della lottizzazione abusiva.
Con riguardo, infine, alle considerazioni di cui al secondo motivo, non può essere condiviso l’assunto secondo cui la Corte di merito – “evidentemente non soddisfatta” – avrebbe disatteso immotivatamente le conclusioni del perito,
sostenendo “con scarna e non condivisibile motivazione” quanto riferito dal consulente del Pubblico Ministero; l’assoluzione di entrambi gli imputati per difetto del profilo soggettivo della condotta, infatti, è stata adeguatamente giustificata con ampio e solido corredo motivazionale, nell’ambito del quale la lettura delle norme di riferimento, già sopra richiamate, conteneva evidente l’implicita, mancata condivisione di quanto affermato dal tecnico nominato dallo stesso Collegio.
10. I ricorsi, pertanto, debbono essere dichiarati inammissibili. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativannente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2024
ggliere estensore