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Vincolo associativo e prova per la custodia cautelare

La Corte di Cassazione, con la sentenza 47632/2024, ha rigettato il ricorso di due indagati contro l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. La Corte ha stabilito che la prova del vincolo associativo può essere desunta da elementi fattuali come la pluralità dei reati, la ripartizione dei ruoli e la solidarietà tra i membri, confermando che il tempo trascorso dai fatti non esclude di per sé l’attualità del pericolo di reiterazione del reato.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Vincolo Associativo: la Cassazione sui Criteri per la Custodia Cautelare

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto penale: la prova del vincolo associativo ai fini dell’applicazione della custodia cautelare in carcere. In un caso di presunta associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, i giudici hanno chiarito quali elementi sono sufficienti per ritenere esistente un sodalizio criminale stabile e organizzato, anche quando la difesa contesta la solidità delle prove. Questa decisione offre spunti fondamentali per comprendere la differenza tra una serie di reati commessi in concorso e una vera e propria struttura associativa.

I Fatti del Caso

Il Tribunale del riesame di Roma, accogliendo l’appello del Pubblico Ministero, aveva applicato la misura della custodia cautelare in carcere a due soggetti, ritenuti membri di un’associazione dedita al traffico di cocaina, hashish e marijuana in diverse aree della provincia. La decisione del Tribunale ribaltava quella del Giudice per le indagini preliminari (G.I.P.), che aveva invece rigettato la richiesta di misura cautelare per assenza di elementi sufficienti a dimostrare l’esistenza di una vera e propria associazione e per la mancanza di esigenze cautelari attuali, dato il tempo trascorso dai fatti contestati (risalenti al 2019).

Gli indagati, attraverso il loro difensore, hanno presentato ricorso in Cassazione, lamentando principalmente due vizi:
1. Mancanza di motivazione sulla sussistenza del vincolo associativo: secondo la difesa, il Tribunale si era limitato a valorizzare la reiterazione di episodi di spaccio, senza però dimostrare la presenza di una struttura organizzata, stabile e con una chiara ripartizione dei ruoli, elementi necessari per configurare il reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309/1990.
2. Violazione dei criteri di valutazione delle esigenze cautelari: la difesa sosteneva che il notevole lasso di tempo intercorso dai fatti avrebbe dovuto indebolire la presunzione di pericolosità sociale, rendendo la custodia in carcere una misura sproporzionata.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato i ricorsi infondati, confermando in toto l’ordinanza del Tribunale del riesame. I giudici di legittimità hanno ritenuto la motivazione del provvedimento impugnato logica, coerente e giuridicamente corretta, sia per quanto riguarda la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per il reato associativo, sia per la valutazione sull’attualità delle esigenze cautelari.

Le Motivazioni: come si Prova il Vincolo Associativo?

La parte più interessante della sentenza risiede nell’analisi degli elementi che possono provare l’esistenza di un vincolo associativo stabile, distinguendolo dalla semplice commissione di reati in concorso.

La Stabilità del Sodalizio e i Ruoli

La Corte ha specificato che la prova del patto criminale non richiede necessariamente prove dirette, ma può essere desunta da fatti concludenti (facta concludentia). Nel caso di specie, il Tribunale aveva correttamente valorizzato:
* La pluralità dei reati-fine: le numerose cessioni di droga non erano episodi isolati, ma parte di un’attività commerciale strutturata.
* La ripartizione dei ruoli: era emersa una chiara gerarchia, con un soggetto che agiva da capo, organizzando e finanziando gli approvvigionamenti, e un altro con il compito di custodire lo stupefacente e reperire luoghi sicuri per l’occultamento.
* La solidarietà tra i membri: il gruppo mostrava coesione, ad esempio attraverso il sostegno economico e legale fornito ai membri arrestati e le azioni punitive coordinate per il recupero crediti nei confronti degli acquirenti insolventi, anche tramite minacce di morte.
* L’organizzazione logistica: l’uso di immobili per la custodia della merce e la pianificazione di viaggi per l’approvvigionamento sono stati considerati indici di un’organizzazione che andava oltre la singola operazione di spaccio.

Questi elementi, nel loro insieme, disegnano un quadro di un sodalizio stabile e operativo, non di una collaborazione estemporanea.

Esigenze Cautelari e il Vincolo Associativo Persistente

La Cassazione ha affrontato anche il delicato tema dell’attualità delle esigenze cautelari in relazione al tempo trascorso. Pur riconoscendo che un lungo periodo di ‘silenzio’ può affievolire la presunzione di pericolosità, ha chiarito che nel caso di un reato permanente come l’associazione a delinquere, il vincolo si presume attivo fino a prova contraria (recesso o scioglimento del gruppo).

Nel caso specifico, la pericolosità degli indagati era stata ritenuta attuale sulla base di:
* La loro spiccata determinazione criminale: il gruppo aveva continuato a operare nonostante arresti e sequestri, semplicemente aumentando le precauzioni.
* La personalità violenta: le minacce a debitori e a chi collaborava con la giustizia dimostravano un’elevata pericolosità sociale.
* L’assenza di resipiscenza: gli indagati non avevano intrapreso alcun percorso di vita alternativo all’attività criminale.

Infine, la Corte ha ritenuto adeguata la custodia in carcere, sottolineando come misure meno afflittive (come gli arresti domiciliari) sarebbero state inefficaci, data la capacità degli indagati di continuare a delinquere anche attraverso terze persone.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale: per configurare un’associazione a delinquere, non è necessaria una struttura complessa e formalizzata, ma è sufficiente un’organizzazione anche rudimentale, purché stabile e funzionale alla commissione di una serie indeterminata di reati. Ai fini delle misure cautelari, la prova del vincolo associativo può legittimamente basarsi su un’attenta analisi di elementi indiziari quali la divisione dei compiti, la continuità dei rapporti, la gestione comune dei profitti e dei rischi, e la solidarietà interna al gruppo. La sentenza serve da monito: la giustizia valuta non solo i singoli atti criminali, ma anche e soprattutto la struttura organizzativa che li rende possibili e persistenti nel tempo.

Come si dimostra l’esistenza di un vincolo associativo per il traffico di droga ai fini della custodia cautelare?
L’esistenza del vincolo associativo si può dimostrare attraverso l’analisi di elementi fattuali e indiziari, come la pluralità e le modalità esecutive dei reati, la natura stabile dei rapporti tra gli autori, la ripartizione di compiti e ruoli, l’organizzazione logistica (basi, mezzi), la solidarietà reciproca (es. assistenza legale in caso di arresto) e le azioni coordinate per il perseguimento degli scopi comuni, come il recupero dei crediti.

Il tempo trascorso dai fatti esclude automaticamente la necessità di una misura cautelare per un reato associativo?
No. Per un reato permanente come l’associazione a delinquere, il semplice decorso del tempo non è di per sé sufficiente a far ritenere superata la presunzione di attualità delle esigenze cautelari. Il giudice deve valutare se, nonostante il tempo, persistano elementi che indicano una pericolosità sociale attuale, come la personalità dell’indagato, la gravità dei fatti e l’assenza di elementi che dimostrino un allontanamento dal contesto criminale.

La semplice reiterazione di cessioni di droga è sufficiente a provare un’associazione a delinquere?
No, la sola reiterazione delle cessioni non è sufficiente. Secondo la sentenza, è necessario che emergano elementi ulteriori che dimostrino la sussistenza di un patto stabile e di una, pur minima, struttura organizzativa con ripartizione di ruoli, finalizzata a commettere una serie indeterminata di delitti. La ripetitività dei reati è solo uno degli indizi, che deve essere letto insieme ad altri per provare il vincolo associativo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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