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Vigilanza non autorizzata: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imprenditore condannato per il reato di vigilanza non autorizzata. Secondo la Corte, qualsiasi attività di sorveglianza e custodia di beni di terzi, svolta in forma imprenditoriale e professionale, richiede la licenza di polizia, a prescindere che sia ‘attiva’ o ‘passiva’. In particolare, la sorveglianza notturna o in orari di chiusura al pubblico deve sempre essere affidata a guardie giurate autorizzate. La richiesta di chiarimenti alle autorità non esclude il reato se i fatti sono stati commessi in precedenza.

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Pubblicato il 24 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Vigilanza non autorizzata: Quando il portierato diventa reato?

La distinzione tra semplice servizio di portierato e attività di vigilanza privata è un tema delicato, con importanti conseguenze penali. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito i confini tra queste due attività, chiarendo quando si configura il reato di vigilanza non autorizzata. Questo caso offre spunti fondamentali per comprendere i requisiti di legge e i rischi per chi opera nel settore della sicurezza senza le dovute licenze.

I Fatti del Caso

Un imprenditore, titolare di una ditta di servizi, veniva accusato di aver svolto attività di vigilanza e sicurezza su beni mobili e immobili senza la prescritta autorizzazione di polizia, in violazione del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (T.U.L.P.S.). L’attività contestata si era svolta tra il 2017 e il 2019 presso diverse strutture, tra cui un campeggio, un albergo e un evento privato.

In primo grado, il Tribunale aveva assolto l’imputato. Tuttavia, la Corte di Appello, su ricorso del Pubblico Ministero, aveva riformato la sentenza, dichiarando l’imprenditore colpevole e condannandolo a una pena detentiva e pecuniaria (con pena sospesa) per i fatti non ancora caduti in prescrizione.

L’Appello in Cassazione e i Motivi del Ricorso

L’imprenditore ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due argomenti principali:

1. Violazione di legge sull’elemento oggettivo del reato: La difesa sosteneva che l’attività svolta fosse mero portierato/custodia, un’attività liberalizzata dalla legge n. 340/2000. La differenza, secondo il ricorrente, risiederebbe nella natura ‘passiva’ della sorveglianza, che non implicava obblighi di difesa attiva e si limitava a segnalare eventuali anomalie alle autorità. Inoltre, i servizi notturni sarebbero soggetti ad autorizzazione solo per ‘obiettivi sensibili’, categoria a cui non appartenevano le strutture sorvegliate.
2. Violazione di legge sull’elemento soggettivo (dolo): La difesa affermava che l’imprenditore non avesse l’intenzione di commettere un reato. A prova di ciò, citava una richiesta di chiarimenti inviata nel 2018 alla Questura competente sul regime autorizzativo, dalla quale non erano emerse obiezioni. Questo, secondo la difesa, lo avrebbe convinto della legittimità del suo operato.

La Decisione della Corte: i confini della vigilanza non autorizzata

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando di fatto la condanna. La sentenza si basa su un’interpretazione consolidata che traccia una linea netta tra il portierato e l’attività di vigilanza imprenditoriale.

Le motivazioni

Per quanto riguarda il primo motivo, la Corte ha smontato la tesi difensiva, ribadendo i seguenti principi:
* Irrilevanza della distinzione tra vigilanza ‘attiva’ e ‘passiva’: Il criterio distintivo non è la modalità di svolgimento del servizio, ma la sua natura. Qualsiasi attività imprenditoriale di vigilanza e custodia di beni per conto terzi richiede l’autorizzazione di polizia. Il portierato, invece, è caratterizzato da un rapporto diretto e stabile con l’amministrazione di un singolo immobile (come un dipendente di un condominio).
* Obbligatorietà della licenza per servizi notturni: La giurisprudenza è costante nell’affermare che la vigilanza svolta in orario notturno o quando i beni non sono accessibili al pubblico deve essere affidata esclusivamente a guardie giurate particolari autorizzate. Questo principio vale per tutti i casi di vigilanza privata professionale, non solo per gli ‘obiettivi sensibili’.

Sul secondo motivo, relativo alla mancanza di dolo, la Cassazione lo ha ritenuto inammissibile per genericità. La Corte d’Appello aveva già evidenziato che la richiesta di chiarimenti alla Questura era del 19 ottobre 2018, quindi successiva a una parte dei fatti contestati. Logicamente, un evento successivo non può escludere l’intenzione criminale per condotte precedenti. Il ricorso, secondo i giudici, si limitava a riproporre la stessa tesi senza confrontarsi con la motivazione della sentenza d’appello.

Le conclusioni

La decisione della Cassazione consolida un principio fondamentale: chiunque offra servizi di sorveglianza a terzi in forma professionale e imprenditoriale deve munirsi della licenza prevista dal T.U.L.P.S. La distinzione tra sorveglianza attiva e passiva è irrilevante ai fini della configurazione del reato. Particolare attenzione va posta ai servizi notturni, che la legge riserva tassativamente agli istituti di vigilanza con guardie giurate. Infine, invocare l’errore sulla liceità del fatto è estremamente difficile, specialmente quando non si è in grado di dimostrare di aver agito in buona fede prima della commissione del reato.

Quando un servizio di sorveglianza necessita di autorizzazione di polizia?
Un servizio di sorveglianza necessita sempre di autorizzazione di polizia quando viene svolto in forma imprenditoriale e professionale per la custodia di beni di terzi. Non rileva se la vigilanza sia definita ‘attiva’ o ‘passiva’.

La sorveglianza notturna di un luogo non ‘sensibile’, come un campeggio, richiede una licenza?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, l’attività di vigilanza e custodia di beni immobili durante l’orario notturno o di chiusura al pubblico deve essere obbligatoriamente svolta da guardie giurate particolari munite di licenza, indipendentemente dal fatto che il luogo sia classificato come ‘obiettivo sensibile’.

Aver chiesto chiarimenti alla Questura può escludere il reato di vigilanza non autorizzata?
No, non necessariamente. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto irrilevante la richiesta di chiarimenti perché era stata presentata dopo che una parte dei fatti illeciti era già stata commessa. Pertanto, non poteva logicamente escludere il dolo (cioè l’intenzione di commettere il reato) per le azioni precedenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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