Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 27826 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 27826 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/05/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
COGNOME NOMECOGNOME nato a Napoli il 28/12/1996
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
NOME COGNOME il quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza in data 9.1.2025, il Tribunale di Napoli ha provveduto su un’istanza di riesame proposta nell’interesse di NOME COGNOME avverso un’ordinanza con cui il g.i.p. del Tribunale di Napoli gli ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere per i reati di detenzione e porto illeciti di arma, aggravati dal c.d. metodo mafioso e dalla finalità di agevolare il gruppo camorristico denominato clan COGNOME.
1.1 In primo luogo, il tribunale ha ritenuto infondata l’eccezione difensiva relativa all’omessa trasmissione del decreto che autorizzava l’attività di videosorveglianza svolta. Le investigazioni a mezzo di videosorveglianza sono avvenute in una strada comunale e, quindi, in un luogo pubblico, circostanza questa che consente l’esplicazione dell’attività anche di iniziativa della polizia giudiziaria, senza che necessiti l’autorizzazione del g.i.p., in quanto le video-riprese rientrano nella categoria delle prove atipiche, soggette alla disciplina dettata dall’art. 189 cod. proc. pen. Questo vuol dire, che in ogni caso la mancata trasmissione dell’eventuale decreto di autorizzazione del g.i.p. non incide sulla utilizzabilità delle risultanze dell’attività – come riportate nelle informative di polizia giudiziaria – ai fini della valutazione della gravità indiziaria.
1.2 Quanto alla gravità indiziaria, il Tribunale ha provveduto ad un inquadramento del contesto entro cui si inseriscono i due fatti contestati a Sorrentino, che trovano origine in una rissa verificatasi a Napoli in ambito criminale tra il 4 e il 5.11.2023 tra un gruppo dei Quartieri Spagnoli e un gruppo del INDIRIZZO, a seguito della quale si innescano una serie di ritorsioni e vendette.
Dalle intercettazioni Ł emerso che il gruppo di cui fa parte il ricorrente si colloca
– Relatore –
Sent. n. sez. 1545/2025
CC – 02/05/2025
R.G.N. 8362/2025
nell’ambito della criminalità organizzata come articolazione del clan COGNOME e che la base logistica del gruppo Ł in un ‘basso’ di INDIRIZZO presso cui sono state installate le telecamere.
Proprio le immagini registrate dalle telecamere – secondo il Tribunale – danno chiaramente conto di un grave quadro indiziario a carico di COGNOME.
Quanto al reato di cui al capo 16 (detenzione e porto di armi in data 31.12.2023), dalle immagini si vede che l’indagato dall’interno del ‘basso’ passa attraverso la finestra una pistola a COGNOME NOME, il quale comincia a ricaricare l’arma e nel corso dell’operazione perde una munizione; COGNOME, quindi, salta dalla finestra e aiuta COGNOME a cercarla; infine, COGNOME punta la pistola verso l’alto ed esplode un colpo.
Quanto al reato di cui al capo 28 (detenzione e porto di arma in data 13.1.2024), collegato al ferimento di tale NOME COGNOME nei pressi di un locale notturno, dalle immagini dei sistemi di videosorveglianza cittadini Ł emersa la presenza sul luogo dell’evento di due vetture, una delle quali – una Audi – in uso a Sorrentino (come confermato in occasione del suo successivo arresto), che peraltro veniva riconosciuto come conducente dell’altra vettura – una Panda – : entrambe le auto avevano poi raggiunto il basso di INDIRIZZO dove le telecamere riprendevano uno scambio di armi tra gli occupanti delle vetture, che poi si allontanavano verso INDIRIZZO (in direzione del locale ove era quindi avvenuto il ferimento) e ritornavano dopo circa un quarto d’ora.
BenchŁ nei confronti di COGNOME non sussista la gravità indiziaria per il ferimento di COGNOME, non v’Ł dubbio invece – secondo l’ordinanza – che egli abbia concorso nei delitti di detenzione e porto di arma, in quanto le telecamere lo hanno ripreso in INDIRIZZO durante il ‘rifornimento’ di armi.
Il Tribunale ritiene che i fatti siano aggravati dall’uso del metodo mafioso, in quanto le ricostruzioni investigative dimostrano che gli indagati, attraverso l’uso delle armi e atti di forza e intimidazione, si erano imposti sul territorio affermando il proprio potere criminale, commettendo i reati di detenzione e porto nell’assoluta noncuranza della presenza delle persone nel quartiere, sulla cui omertà potevano contare. Le armi, peraltro, sono state utilizzate anche per prendere parte a ‘stese’ allo scopo di rimarcare la supremazia criminale del gruppo.
1.3 Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale ritiene condivisibili le valutazioni svolte dal g.i.p., il quale ha dato conto delle gravissime modalità delle azioni commesse, che denotano una personalità particolarmente proclive a delinquere e palesano il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie. Inoltre, la circostanza che il gruppo di cui fa parte COGNOME abbia la disponibilità di un covo con le armi che servono per commettere atti di violenza Ł ulteriore prova dell’estrema pericolosità degli indagati, che in modo tracotante non esitano a sparare in luogo pubblico anche alla presenza di minori e di famiglie.
Di conseguenza, non Ł superabile la presunzione di esigenze cautelari sussistenti per i reati aggravati ai sensi dell’articolo 416bis .1 cod. pen.; nŁ emergono elementi per ritenere adeguata una misura meno afflittiva in quanto Ł necessario isolare Sorrentino dal contesto criminale di riferimento e non potendosi ritenere adeguata una misura auto-custodiale che richieda al ricorrente lo spontaneo rispetto delle prescrizioni.
2.Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso il difensore di NOME COGNOME articolando tre motivi.
2.1 Con il primo motivo, deduce inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 309 cod. proc. pen.
La difesa aveva eccepito la mancata trasmissione al tribunale del riesame del decreto
relativo all’attività di video-sorveglianza sui cui esiti si fondava la decisione del g.i.p.
Il tribunale ha rigettato l’eccezione, ritenendo, in modo censurabile, che l’attività investigativa svolta a mezzo di video sorveglianza in luogo pubblico non necessita dell’autorizzazione del gip, in quanto le video-riprese rientrano nella categoria delle prove atipiche, soggette alla disciplina di cui all’art. 189 cod. proc. pen.
2.2 Con il secondo motivo, deduce inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 273 cod. proc. pen.
Quanto alla gravità indiziaria, relativa a reati in materia di armi non cadute in sequestro, la difesa evidenzia per il capo 16) la mancanza di qualsivoglia elemento dimostrativo del fatto che COGNOME abbia portato l’arma, in quanto dalle immagini emergerebbe che egli si trovava all’interno del locale terraneo e che non si sia allontanato da tale luogo. Quanto al capo 28), poi, non emerge che COGNOME abbia avuto il possesso di un’arma e che l’abbia portata.
Anche per quanto riguarda l’aggravante mafiosa, la motivazione appare censurabile, perchØ nel capo 16) si fa rinvio alle cosiddette ‘stese’, ma come ‘frutto di un mero parallelismo’; inoltre, nel capo 28) si fa riferimento a un episodio avvenuto in piena notte, cosicchØ non si rileva la spregiudicatezza che caratterizzerebbe il metodo mafioso.
2.3 Con il terzo motivo, deduce inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 274 cod. proc. pen.
Quanto alle esigenze cautelari, il ricorso lamenta che il tribunale abbia erroneamente attribuito un significato coincidente ai concetti di attualità e concretezza.
Appare suggestivo il richiamo dell’ordinanza impugnata al fatto che il ricorrente ha commesso numerosi reati con armi in un ristretto arco temporale. Di contro, il ricorso evidenzia la circostanza che a Sorrentino siano contestate due condotte commesse a quindici giorni di distanza di tempo l’uno dall’altro e che questo elemento potrebbe assumere un significato opposto rispetto a quello individuato dal tribunale del riesame.
Con requisitoria scritta trasmessa il 10.4.2025, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, osservando: a) quanto al primo motivo, che correttamente l’ordinanza ha evidenziato che, in tema di prove atipiche, sono legittime e, pertanto, utilizzabili, senza che necessiti l’autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, le videoriprese che non comportino alcuna indebita intrusione nell’altrui domicilio; b) quanto al secondo motivo, che esso propone doglianze eminentemente di fatto, con cui si sollecita, in realtà, una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità, sulla base di una “rilettura” degli elementi istruttori posti a fondamento della decisione; c) quanto al terzo motivo, che la motivazione del Tribunale Ł logica ed immune da vizi e che, in tema di esigenze cautelari, la Corte di cassazione non ha alcun potere di revisione dell’apprezzamento del giudice che ha applicato la misura e del tribunale del riesame.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł complessivamente infondato.
Quanto al primo motivo, l’ordinanza impugnata, a fronte della censura di omessa trasmissione del decreto autorizzativo dell’attività di videosorveglianza svolta dalla polizia giudiziaria, ha fatto corretta applicazione del principio, piø volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di prove atipiche, sono legittime e, pertanto, utilizzabili, senza che necessiti l’autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, le videoriprese eseguite dalla polizia giudiziaria mediante telecamera esterna all’edificio inquadrato, non configurandosi, in tal caso, alcuna indebita intrusione nell’altrui
domicilio (Sez. 3, n. 43609 dell’8/10/2021, Piccolo, Rv. 282164 – 01; cfr. anche Sez. U, n. 26795 del 28/3/2006, Prisco, Rv. 234267 – 01).
Nel caso di specie, Ł emerso che le telecamere inquadravano la finestra di un locale terraneo e i movimenti di persone e cose che avvenivano nello spazio ad essa antistante. Di conseguenza, si trattava di luoghi esposti al pubblico, visibili da piø persone, in relazione ai quali non sussiste alcuna intrusione nella privata dimora o nel domicilio e non sussistono, pertanto, le ragioni di tutela, sub specie di diritto alla riservatezza o alla ‘privacy’, ad essi connesse, potendosi, in tal caso, sostanzialmente equipararsi l’uso della videocamera ad una operazione di appostamento, eseguita nei limiti dell’autonomia investigativa, senza alcuna necessità di autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria (Sez. 4, n. 10697 del 24/1/2012, COGNOME, Rv. 252673 – 01).
A fronte di tali elementi richiamati dall’ordinanza impugnata, il ricorso censura la contraddittorietà della motivazione nel passaggio in cui il Tribunale del riesame considera, come effetto dei principi sopra menzionati, che, quand’anche l’attività in questione fosse stata autorizzata con decreto del g.i.p., la mancata trasmissione del provvedimento non avrebbe comunque inciso sull’utilizzabilità dei suoi risultati.
Ma, in realtà, la osservazione in questione, prospettata dal tribunale ad abundantiam , non rende affatto contraddittoria la motivazione, in quanto conduce alla medesima soluzione prospettata in prima battuta e non Ł affatto alternativa ad essa.
Il ricorso, del resto, rimane privo di specificità su questo punto, perchØ non indica come il presunto vizio della motivazione lasci residuare eventuali incertezze sul convincimento del tribunale e sulla soluzione accolta.
I giudici, invece, non hanno affatto prospettato due alternative autonome, rimaste irrisolte, ma una unica soluzione conclusiva, che non Ł suscettibile di mutare, quale che sia stato in concreto il modo del pubblico ministero di procedere alla esecuzione dell’attività di video sorveglianza (con provvedimento proprio ovvero richiesto al g.i.p.).
Il motivo, pertanto, deve essere disatteso.
Il secondo motivo di ricorso, relativo alla gravità indiziaria, Ł per larga parte essenzialmente rivalutativo.
A tal proposito, mette conto ricordare che, in tema di misure cautelari personali, il controllo del giudice di legittimità, in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, consente, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non anche il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, Sentenza n. 27866 del 17/6/2019, COGNOME, Rv. 276976 – 01; Sez. 2, n. 31553 del 17/5/2017, COGNOME, Rv. 270628 – 01).
L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza Ł rilevabile in cassazione se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge ovvero nella mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato (Sez. F, n. 47748 del 11/8/2014, COGNOME, Rv. 261400 – 01).Alla Corte spetta solo il compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della relativa motivazione rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. U, n. 11 del 22/3/2000, COGNOME, Rv. 215828 – 01; Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013, P.M. in proc. COGNOME, Rv. 255460 – 01).
Nel caso di specie, si critica genericamente l’ordinanza nella parte in cui apprezza le fonti probatorie e, in particolare, la concludenza dei dati probatori ricavabili dalla attività di videosorveglianza.
Ma il sindacato della Corte di cassazione non involge la ricostruzione dei fatti, nØ l’apprezzamento del giudice circa la rilevanza degli elementi indiziari, ove tale apprezzamento sia stato espresso con motivazione adeguata.
L’unico elemento del ricorso che, oltre che alla ricostruzione del fatto, attiene anche all’applicazione della legge penale, Ł quello che riguarda il capo 16) dell’imputazione nella parte in cui il ricorrente contesta la sussistenza anche del reato di porto d’armi, e ciò per la ragione che dalle immagini risulterebbe che COGNOME non si sia mai allontanato dal locale terraneo e che, dunque, non abbia mai portato l’arma in luogo pubblico.
Tuttavia, l’argomento trascura di considerare che, per quanto riportato nell’ordinanza impugnata, COGNOME, al di là della sua precisa posizione fisica, ha concorso nel fatto tipico del delitto di porto posto in essere dal coimputato, per il tramite di una consapevole condotta che ha senza dubbio apportato un decisivo contributo materiale alla realizzazione del reato. Egli, infatti, ha fatto conseguire al terzo la immediata disponibilità di armi da lui custodite con l’incarico di metterle a diposizione del gruppo legato al clan COGNOME, avendo consapevolezza del fatto che la persona a cui le cedeva le avrebbe senza soluzione di continuità portate con sØ al fine di utilizzarle.
Questa Corte, del resto, ha già condivisibilmente affermato che chi detenga armi nell’interesse di terze persone, le quali, di volta in volta, le prelevino per adoperarle, risponde di concorso nel reato di porto delle armi stesse (Sez. 1, n. 4824 dell’1/3/1994, Alesse, Rv. 198610 – 01).
Quanto, poi, alla doglianza, pure contenuta nella parte finale del secondo motivo di ricorso, attinente alla circostanza aggravante del c.d. metodo mafioso, va rilevato che nel caso di specie Ł stata contestata e ritenuta sussistente, oltre all’aggravante del metodo mafioso, anche l’aggravante dell’avere agevolato l’attività di una associazione di tipo mafioso.
Di conseguenza, deve trovare applicazione il principio secondo cui, in tema di impugnazioni avverso misure cautelari personali, ove sia contestata l’aggravante di cui all’art. 7 D.L. n. 152 del 1991, nella duplice accezione del metodo e dell’agevolazione mafiosa, non sussiste l’interesse dell’indagato a ricorrere in cassazione ove contesti una sola delle declinazioni della circostanza, non derivando dall’eventuale accoglimento del ricorso alcuna concreta utilità (Sez. 6, n. 550 del 31/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274936 – 01).
Anche il secondo motivo, pertanto, deve essere disatteso.
Il terzo motivo, infine, Ł inammissibile.
Il tribunale fornisce una motivazione congrua circa la sussistenza delle esigenze cautelari, collegate alle gravissime modalità dei fatti contestati ed alla circostanza che i componenti del gruppo di cui fa parte COGNOME hanno la disponibilità di un covo dove custodiscono armi di cui hanno pronta ed immediata disponibilità in qualunque momento e per qualunque ragione, agendo peraltro in un contesto di riferimento delinquenziale da cui Ł necessario isolare l’indagato.
Di qui, la nient’affatto illogica conclusione secondo cui ricorre un attuale e concreto pericolo di reiterazione di reati con l’uso di armi, in presenza del quale la presunzione relativa di adeguatezza della custodia in carcere prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., non può essere superata.
Il ricorso contesta tale motivazione in modo del tutto generico, affidando la doglianza ad
un richiamo decontestualizzato di qualche precedente giurisprudenziale sulla attualità e concretezza del pericolo di reiterazione del reto, senza tuttavia tradurlo in una critica che confuti specificamente le argomentazioni della ordinanza impugnata.
Il motivo, pertanto, Ł manifestamente infondato.
Alla luce di quanto fin qui osservato, dunque, il ricorso Ł da considerarsi complessivamente infondato, e, pertanto, da rigettare, con la conseguente condanna del ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
GiacchØ dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, si deve disporre ex art. 94, comma 1ter , disp. att. cod. proc. pen., che copia del provvedimento sia trasmessa, a cura della Cancelleria, al Direttore dell’Istituto penitenziario ove Ł attualmente ristretto NOME COGNOME.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così Ł deciso, 02/05/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME