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Videoriprese prove atipiche: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso contro un’ordinanza di custodia cautelare per estorsione aggravata e associazione mafiosa. La sentenza chiarisce che le videoriprese effettuate in luoghi esposti al pubblico costituiscono prove atipiche e non richiedono autorizzazione giudiziaria. Inoltre, l’identificazione fotografica operata dalla polizia giudiziaria è stata ritenuta valida, nonostante il mancato riconoscimento da parte della persona offesa, la cui imprecisione è stata considerata comprensibile data la concitazione dei fatti.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Videoriprese come Prove Atipiche: La Cassazione Chiarisce i Limiti

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha affrontato due temi cruciali nel processo penale: l’utilizzabilità delle videoriprese investigative e il valore probatorio del riconoscimento fotografico effettuato dalla polizia giudiziaria. La decisione scaturisce dal ricorso presentato da due indagati destinatari di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per gravi reati, tra cui estorsione aggravata dal metodo mafioso. Questo caso offre spunti fondamentali sull’uso delle videoriprese come prove atipiche e sulla loro distinzione rispetto alle intercettazioni.

I Fatti del Caso

Due soggetti venivano accusati di far parte di un’associazione di tipo mafioso e di aver commesso un’estorsione ai danni di due imprenditori. Le prove a loro carico si basavano principalmente sulle dichiarazioni delle persone offese e su immagini estrapolate da una videocamera installata dagli investigatori nei pressi dell’abitazione di uno degli indagati. La difesa ha impugnato l’ordinanza cautelare sollevando due eccezioni principali:

1. Inutilizzabilità delle videoriprese: Secondo i ricorrenti, le registrazioni del 2 febbraio 2022 erano state effettuate senza un valido decreto di proroga dell’autorizzazione iniziale, rendendole processualmente inutilizzabili.
2. Inattendibilità del riconoscimento: La difesa sosteneva che l’identificazione degli indagati, operata solo dalla polizia giudiziaria, fosse inaffidabile, poiché la vittima non solo non li aveva riconosciuti, ma aveva indicato un’altra persona.

La Questione delle Videoriprese e le Prove Atipiche

Il punto centrale della decisione della Cassazione riguarda la qualificazione giuridica delle videoriprese. La Corte ha ribadito il suo consolidato orientamento, distinguendo nettamente le riprese a seconda del luogo in cui vengono effettuate. Se le registrazioni avvengono all’interno di un domicilio privato (luogo protetto dall’art. 14 della Costituzione) e captano comportamenti comunicativi, si applica la rigida disciplina delle intercettazioni (art. 266 e ss. c.p.p.).

Tuttavia, nel caso di specie, le riprese erano state eseguite in una “pubblica via”. Un luogo del genere, anche se adiacente a un’abitazione privata, è considerato “esposto al pubblico”. Ciò significa che chiunque si trovi a passare può osservare ciò che accade. In questo contesto, le videoriprese sono considerate prove atipiche ai sensi dell’art. 189 c.p.p. e non richiedono un’autorizzazione del pubblico ministero, poiché non ledono la riservatezza del domicilio. L’operazione investigativa è equiparabile a un semplice appostamento.

L’Attendibilità del Riconoscimento Fotografico

La seconda censura riguardava l’efficacia probatoria dell’identificazione fatta dagli agenti di polizia, a fronte del mancato riconoscimento da parte della vittima. La Corte ha respinto anche questa doglianza, affermando che il riconoscimento fotografico, sebbene non sia una prova tipica come la ricognizione di persona, costituisce una piena fonte di prova. Il suo valore non deriva da formalità procedurali, ma dalla sua natura di dichiarazione, la cui attendibilità è soggetta al libero convincimento del giudice.

Il Tribunale aveva correttamente ritenuto “certa” l’identificazione della polizia e comprensibile l’imprecisione della vittima, data la “concitazione dei momenti” in cui era stata prelevata e condotta al cospetto dei suoi estorsori. Pertanto, il mancato riconoscimento da parte della persona offesa non era sufficiente a inficiare la solidità dell’intero quadro probatorio.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha basato il rigetto del ricorso su argomenti giuridici consolidati. In primo luogo, ha precisato che il concetto di domicilio tutela il rapporto tra una persona e un luogo chiuso dove si svolge la vita privata, al riparo da ingerenze esterne. La tutela viene meno quando il luogo, pur essendo privato, è caratterizzato da una “visibilità non protetta”. Le riprese effettuate su una pubblica via, quindi, non necessitavano ab origine di alcun provvedimento autorizzativo, rendendo irrilevante la questione della mancata proroga.

In secondo luogo, riguardo all’identificazione, la Corte ha sottolineato che il giudice può valutare liberamente tutti gli elementi probatori. L’identificazione effettuata dalla polizia giudiziaria rappresenta una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e ha la stessa valenza di una testimonianza. I ricorrenti, d’altra parte, non hanno fornito elementi oggettivi per dimostrare un errore da parte delle forze dell’ordine, limitandosi a evidenziare la discordanza con la dichiarazione della vittima. Tale discordanza, tuttavia, è stata logicamente spiegata dal Tribunale con lo stato di shock e paura della persona offesa, che non diminuiva l’attendibilità della sua ricostruzione complessiva dei fatti.

Le conclusioni

La sentenza conferma due principi fondamentali per la pratica investigativa e processuale. Primo, le videoriprese in luoghi pubblici o esposti al pubblico sono uno strumento investigativo agile, non soggetto ai rigidi vincoli procedurali delle intercettazioni. Secondo, l’accertamento dei fatti compiuto dalla polizia giudiziaria, come l’identificazione di un sospetto, mantiene un elevato valore probatorio che il giudice può ritenere prevalente anche rispetto a dichiarazioni discordanti, se adeguatamente motivato. La decisione, pertanto, rafforza gli strumenti a disposizione degli inquirenti nella lotta alla criminalità, bilanciando le esigenze investigative con la tutela dei diritti fondamentali.

È sempre necessaria un’autorizzazione del giudice per effettuare videoriprese a fini investigativi?
No. Secondo la Corte, le videoriprese eseguite in luoghi pubblici, aperti o esposti al pubblico, non richiedono un’autorizzazione giudiziaria. Esse rientrano nella categoria delle prove atipiche (art. 189 c.p.p.) e sono equiparabili a un’operazione di appostamento, poiché non ledono il diritto alla riservatezza del domicilio tutelato dall’art. 14 della Costituzione.

Un’identificazione fotografica fatta dalla polizia ha valore di prova se la vittima non riconosce l’indagato?
Sì, può avere pieno valore di prova. La Corte ha stabilito che l’identificazione effettuata dalla polizia giudiziaria è un accertamento di fatto utilizzabile nel giudizio. La sua attendibilità viene valutata dal giudice sulla base del principio del libero convincimento e può essere ritenuta più affidabile del mancato riconoscimento da parte della vittima, soprattutto se quest’ultimo è giustificabile con uno stato di forte stress emotivo vissuto durante il reato.

Cosa si intende per ‘luogo esposto al pubblico’ ai fini delle videoriprese?
Un luogo esposto al pubblico è uno spazio, anche di pertinenza privata, che è caratterizzato da una visibilità non protetta, ovvero è oggettivamente osservabile da soggetti esterni. Il criterio determinante è la potenziale percettibilità da parte di terzi, che fa venir meno le ragioni di tutela della riservatezza tipiche del domicilio privato e chiuso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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