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Videoriprese private: quando sono prove lecite?

La Corte di Cassazione ha stabilito la legittimità delle videoriprese private effettuate in un giardino, anche se recintato, se questo è visibile dall’esterno senza l’uso di tecniche sofisticate. In un caso di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, la Corte ha respinto il ricorso di un indagato, confermando che tali riprese costituiscono prove atipiche ammissibili. Il giardino è stato qualificato come ‘luogo esposto al pubblico’, non godendo della stessa tutela del domicilio. La sentenza ha inoltre confermato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Videoriprese private in giardino: quando sono prove valide?

Le indagini penali spesso si trovano a dover bilanciare l’esigenza di accertare la verità con il diritto fondamentale alla privacy. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale: la legittimità delle videoriprese private effettuate in un giardino recintato. La Corte ha chiarito quando un’area privata possa essere considerata ‘luogo esposto al pubblico’ e, di conseguenza, quando le riprese effettuate senza autorizzazione del giudice siano ammissibili come prova.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da un’indagine su una vasta organizzazione criminale dedita alla coltivazione, produzione e spaccio di sostanze stupefacenti, in particolare marijuana e hashish. A seguito delle indagini, diversi soggetti sono stati destinatari di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Uno degli indagati ha proposto ricorso avverso tale misura, lamentando diversi vizi, tra cui uno di natura procedurale di grande rilevanza.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa dell’indagato ha contestato l’utilizzabilità dell’elemento di prova principale: le videoriprese che documentavano le attività illecite svolte nel giardino dell’abitazione di un coindagato. Secondo il ricorrente, tale giardino, essendo protetto da un alto muro di cinta, accessibile solo tramite cancello motorizzato e con una fitta vegetazione, doveva essere equiparato a un domicilio. Di conseguenza, le riprese di comportamenti non comunicativi al suo interno, effettuate senza un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria, sarebbero state prove illecite e inutilizzabili, in quanto lesive dell’articolo 14 della Costituzione.

Le Videoriprese Private e la Nozione di Domicilio

Il cuore della questione giuridica risiede nella distinzione tra ‘domicilio’ e ‘luogo esposto al pubblico’. Il domicilio, inteso come luogo di privata dimora, gode della massima tutela costituzionale, e le interferenze investigative al suo interno sono soggette a rigide garanzie. Tuttavia, la giurisprudenza ha da tempo chiarito che non ogni spazio privato è automaticamente un domicilio.

Un luogo, pur essendo di proprietà privata, si considera ‘esposto al pubblico’ quando, per le sue caratteristiche, è liberamente visibile dall’esterno. In tali aree, l’aspettativa di riservatezza è attenuata, poiché chi vi si trova accetta implicitamente di poter essere osservato.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso, ha fornito una motivazione chiara e in linea con i precedenti giurisprudenziali. I giudici hanno affermato che le videoriprese private di comportamenti non comunicativi, come i semplici movimenti di persone e cose, costituiscono ‘prove atipiche’ ammissibili ai sensi dell’art. 189 del codice di procedura penale. La loro legittimità dipende dal luogo in cui vengono eseguite.

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che il giardino, sebbene recintato, fosse un ‘luogo esposto al pubblico’. Le riprese erano state effettuate dall’alto e a lunga distanza, senza l’uso di tecniche particolarmente invasive o sofisticate che superassero le normali barriere. Poiché il giardino era privo di coperture e accessibile allo sguardo esterno, non vi era un’aspettativa di riservatezza tale da equipararlo a un domicilio. Pertanto, le videoriprese sono state considerate prove lecite.

Oltre a questo punto, la Corte ha respinto anche le altre censure. Ha ritenuto che l’ordinanza del Tribunale del Riesame fosse adeguatamente motivata sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza sia per il reato associativo che per i reati fine, descrivendo una struttura organizzata con ruoli definiti e non semplici episodi di concorso. Infine, ha confermato la sussistenza delle esigenze cautelari, sottolineando che la gravità dei fatti, la professionalità dimostrata e la presunzione di pericolosità prevista dalla legge non potevano essere superate dal mero decorso del tempo.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale in materia di prove penali: la tutela della privacy non è assoluta e deve essere bilanciata con le esigenze investigative. Un’area privata, come un giardino, non gode della stessa protezione del domicilio se le attività che vi si svolgono sono visibili dall’esterno senza particolari accorgimenti tecnici. Questa decisione consolida l’orientamento secondo cui le videoriprese private in luoghi esposti al pubblico sono uno strumento investigativo legittimo, anche se eseguite di iniziativa della polizia giudiziaria, e i loro risultati sono pienamente utilizzabili nel processo penale.

La polizia può filmare all’interno di un giardino privato recintato senza un mandato del giudice?
Sì, secondo la sentenza è possibile se il giardino è considerato un ‘luogo esposto al pubblico’. Questo avviene quando ciò che accade al suo interno è visibile dall’esterno senza l’uso di particolari accorgimenti tecnici o modalità intrusive, come nel caso di riprese effettuate dall’alto e a distanza.

Qual è la differenza tra ‘domicilio’ e ‘luogo esposto al pubblico’ ai fini delle riprese video?
Il ‘domicilio’ è un luogo di privata dimora dove esiste la massima aspettativa di riservatezza e le riprese sono soggette a rigide garanzie costituzionali. Un ‘luogo esposto al pubblico’, pur essendo privato, è un’area visibile dall’esterno (come un giardino senza coperture), dove l’aspettativa di riservatezza è attenuata e le videoriprese di comportamenti non comunicativi sono considerate prove atipiche ammissibili.

Il tempo trascorso tra la commissione di un reato e l’arresto può far decadere le esigenze cautelari?
No, non automaticamente. La sentenza chiarisce che il mero decorso del tempo, in assenza di altri elementi, non è sufficiente a far venir meno la presunzione di pericolosità dell’indagato, specialmente in relazione a reati gravi come l’associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga, per i quali la legge prevede una presunzione di persistenza delle esigenze cautelari.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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