Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 4921 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 4921 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME NOMECOGNOME nato a Caltanissetta il 03/02/1981
avverso la ordinanza del 06/06/2024 del Tribunale di Caltanissetta;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito il difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’avv.
NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale del riesame di Caltanissetta ha confermato la custodia cautelare in carcere di NOME COGNOME in relazione al delitto di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990, per avere, in concorso con NOME COGNOME, acquistato da NOME COGNOME un imprecisato quantitativo di hashish e marijuana, per rivenderlo a terzi.
Il ricorso, proposto dall’indagato attraverso il proprio difensore, consta di tre motivi.
2.1. Il primo consiste nell’illiceità, e dunque nell’inutilizzabilità, del videoriprese effettuata dalla polizia giudiziaria di quanto avveniva nel giardino antistante l’abitazione di Scaletta.
Richiamati i princìpi fissati da Sez. U, n. 26795 del 28/03/2006, Prisco, Rv. 234270, la difesa evidenzia come si trattasse di spazio privato, sopraelevato rispetto alla strada pubblica, protetto da un muro alto oltre due metri, da un cancello elettrico, da una recinzione con rete oscurante nonché da vegetazione, e quindi di luogo in relazione al quale l’interessato poteva vantare una legittima aspettativa d’intimità e riservatezza; rileva, dunque, come tali ostacoli siano stati superati dagli investigatori soltanto attraverso accorgimenti tecnici particolarmente intrusivi, consistiti nel posizionamento di telecamere in posizione sopraelevata ed a notevole distanza, mentre le sole videoriprese consentite sarebbero quelle realizzabili mediante strumenti che, per caratteristiche tecniche e logistiche, rendano possibile un servizio di osservazione eguale a quello effettuabile dall’operatore fisico.
Deduce, inoltre, la difesa che, a differenza di quanto ritenuto dal Tribunale, essa non si è limitata a depositare fotogrammi ritraenti lo stato dei luoghi (e giudicati parziali ed insufficienti da quei giudici), ma ha prodotto al Pubblico ministero anche una ripresa filmata di quell’area. Pertanto, se il Tribunale non l’ha visionata, si sarebbe in presenza di una lacuna motivazionale decisiva; se, poi, addirittura tale filmato non fosse stato trasmesso dal Pubblico ministero al giudice del riesame, vi sarebbe una violazione dell’art. 309, comma 5, cod. proc. pen..
2.2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione dei criteri di valutazione della prova indiziaria di cui all’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., che debbono trovare applicazione anche in sede cautelare.
2.2.1. Con riferimento al borsone che, secondo l’accusa, sarebbe stato utilizzato per la consegna dello stupefacente nei vari passaggi di mano tra i diversi soggetti intervenuti nella complessiva vicenda, non vi sarebbe alcuna prova diretta del fatto che esso sia stato sempre lo stesso, né che, pur ove così fosse, sia stato utilizzato per il trasporto di sostanza stupefacente e che, comunque, fosse vuoto od ancora pieno quando, in ultimo, è stato riconsegnato da Palermo a Scaletta; del resto – si sottolinea – l’ordinanza si esprime sempre e soltanto in termini di autoevidenza, verosimiglianza, plausibilità, mai di certezza.
2.2.2. Egualmente dicasi per qual che attiene all’esclusione dell’ipotesi di cui al comma 5 del predetto art. 73, giustificata dal Tribunale per le modalità articolate della presunta cessione e per l’utilizzo di un borsone, senza tuttavia alcun elemento di fatto da cui dedurre qualità e quantità dell’ipotetica sostanza.
2.3. L’ultima doglianza riguarda la violazione di legge processuale ed i vizi della motivazione in punto di esigenze cautelari.
L’ordinanza – si rappresenta – ravvisa un pericolo di reiterazione criminosa, parlando di contatti del ricorrente con «criminali di spicco», tuttavia non individuati, e di «quantitativo significativo» di droga, comunque non accertato; nessun rilievo potrebbe, poi attribuirsi all’astuzia criminale ed ai precedenti penali di costui, invece tenuti in considerazione dal Tribunale. Lacunosa, infine, sarebbe la motivazione in punto di attualità di quel pericolo, poiché i giudici del riesame non hanno considerato il lungo tempo trascorso dai fatti (che risalgono a novembre del 2022) e l’assenza di qualsiasi successiva condotta analoga del Palermo, nonostante anche presso la sua abitazione gli inquirenti avessero installato un dispositivo di videoripresa.
Con nota trasmessa in cancelleria lo scorso 9 ottobre, il difensore del ricorrente ha comunicato che la misura cautelare in atto è stata nel frattempo revocata il 24 agosto precedente, tuttavia rappresentando il perdurante interesse all’impugnazione del proprio assistito, per la valutazione del quadro di gravità indiziaria ed in prospettiva di un’eventuale domanda di riparazione per ingiusta detenzione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Semmai ammissibile – visto che nelle more la misura cautelare è stata revocata ed il ricorrente ha rappresentato soltanto genericamente ed attraverso il proprio difensore, e non personalmente, un perdurante interesse al ricorso in prospettiva di un’eventuale riparazione pecuniaria per ingiusta detenzione (vds. Sez. U, n. 7931 del 16/12/2010, dep. 2011, COGNOME, Rv. 249002; nonché, tra molte, Sez. 4, n. 25082 del 12/05/2021, NOME COGNOME Rv. 281490; Sez. 4, n. 10187 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278439 – il ricorso del Palermo è comunque infondato.
Tale è, in particolare, il primo motivo, con cui si deduce l’inutilizzabilità delle videoriprese effettuate dagli investigatori.
2.1. La regula iuris di riferimento è indiscussa: le videoriprese di comportamenti “non comunicativi”, quelle, cioè, che rilevano la mera presenza di cose o persone ed i loro movimenti, costituiscono prove atipiche, se eseguite, anche d’iniziativa della polizia giudiziaria, in luoghi pubblici, aperti al pubblico od esposti al pubblico, e comunque in ambienti privati diversi dal “domicilio”, nel quale, invece, dev’essere sempre garantita l’intimità e la riservatezza; soltanto in quest’ultimo caso, è necessario un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria che le autorizzi, risultando altrimenti illecite e, dunque, inutilizzabili, ex
art. 189, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 26795/2006, Prisco, cit., e, tra altre, Sez. 1, n. 49798 del 28/09/2023, COGNOME, Rv. 285500; Sez. 3, n. 15206 del 21/11/2019, dep. 2020, P., Rv. 279067).
2.2. Ciò di cui si controverte è, invece, se il giardino antistante l’abitazione del coindagato Scaletta possa o meno considerarsi luogo “esposto” al pubblico.
Per tale deve intendersi quello suscettibile di percezione visiva da parte di un individuo che vi si trovi all’esterno, senza l’ausilio di dispositivi tecnologici muniti di capacità intrusiva, in grado, cioè, di superare od eludere gli ostacoli fisici ordinariamente utilizzati a protezione dei luoghi di privata dimora e che garantiscono al titolare ragionevoli aspettative di riservatezza (muri, tende, vegetazione, recinzioni od altro).
Correttamente, dunque, il Tribunale ha ritenuto che tale potesse considerarsi lo spazio di cui si discorre, che gli inquirenti hanno potuto osservare semplicemente appostandosi in un’area sopraelevata rispetto ad esso, senza impiegare dispositivi tecnologici sofisticati ma strumenti di uso comune, non operanti a distanza (come, ad esempio, i droni) ma semplicemente estensivi delle naturali capacità visive umane (come sarebbe potuto essere un binocolo; la videoripresa, infatti, è stata funzionale alla compiuta documentazione di quanto accaduto, piuttosto che alla percezione).
Di qui, l’irrilevanza della visione o meno, da parte del Tribunale, della videoripresa integrale, come pure della trasmissione o meno di essa a quei giudici: la difesa ricorrente, infatti, non indica con precisione brani di filmato non considerati dal Tribunale e, invece, dimostrativi dell’utilizzo di dispositivi tecnologici invasivi da parte della polizia giudiziaria, ed anzi, non deduce nemmeno tale impiego.
Il secondo motivo, con cui si contesta l’esistenza di un quadro di gravità indiziaria, è invece inammissibile.
Per un verso, infatti, esso si risolve nella proposizione di una ricostruzione alternativa e puramente ipotetica, basata su una rilettura delle risultanze investigative, che, però, al giudice di legittimità è preclusa.
Per l’altro, la doglianza è viziata da aspecificità c.d. “estrinseca”, in quanto non si misura criticamente, adeguatamente confutandole, con le risultanze investigative dettagliatamente indicate dall’ordinanza impugnata e nitidamente consentanee all’ipotesi accusatoria (pagg. 4-6).
Il motivo in tema di esigenze cautelari, infine, è inammissibile per mancanza d’interesse, a seguito dell’intervenuta revoca della misura medio tempore.
Al rigetto del ricorso segue obbligatoriamente la condanna del proponente a farsi carico delle relative spese (art. 616, cod. proc. pen.).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2024.