Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 27026 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 27026 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 20/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Pergine Valdarno l’ 11/11/1958 nei confronti delle parti civili:
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME
avverso la sentenza dell’11/01/2024 della Corte d’appello di Firenze. Lette le conclusioni depositate dal Procuratore generale, nella persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME nel senso del rigetto del ricorso; letta la memoria presentata dall’avvocato NOME COGNOME difensore dell’imputato, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso; lette le memorie depositate dai difensori delle parti civili: avvocato NOME COGNOMEper NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME) e avvocato NOME COGNOME (per NOME COGNOME e NOME COGNOME).
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Firenze, in riforma della pronuncia emessa dal Tribunale della stessa sede nei confronti di COGNOME NOME lo ha ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 589 bis, commi 1 e 7, cod. pen., condannandolo alla pena ritenuta equa, con riconoscimento di una provvisionale in favore delle costituite parti civili.
La Corte d’appello ha così ricostruito i fatti. La vicenda si riferisce ad un incidente stradale occorso in Arezzo, il 4 novembre 2017, sulla SR n. 69 nel centro abitato della frazione San Leo; verso le 18:10 COGNOME NOME conduceva un
autobus di linea urbana con direzione San Leo Pratantico, quando, all’altezza del INDIRIZZO, investiva con il montante destro anteriore la parte sinistra della testa del pedone COGNOME COGNOME che decedeva immediatamente. Si accertava che pochi momenti prima, COGNOME alla guida della sua autovettura Jeep Suzuki, provenendo dall’opposta direzione rispetto all’autobus, aveva visto un capriolo sventrato che giaceva sulla corsia opposta. Si era quindi arrestato, aveva lasciato l’auto con i fari accesi, era sceso, aveva attraversato la strada e aveva iniziato a trascinare l’animale verso il margine opposto della carreggiata, cioè sulla destra rispetto al senso di marcia dell’autobus. Mentre compiva questa operazione, camminando all’indietro con il busto piegato in avanti, veniva urtato sulla parte sinistra del volto dall’autobus e veniva sbalzato all’interno del canale di raccolta delle acque pluviali, sul margine destro inferiore della strada, sempre secondo la direzione di marcia dell’autobus. Il capriolo rimaneva sulla strada nel punto d’urto. L’investimento si verificava in ora notturna, in un tratto di strada rettilineo, posto fra INDIRIZZO e una stazione di servizio, privo di illuminazione pubblica e di abitazioni o esercizi commerciali con insegne luminose. Il limite di velocità era quello ordinario di 50 km/h, la carreggiata, con una corsia per senso di marcia, era larga complessivamente m. 6,13, con banchine laterali di fatto non presenti oltre la linea marginale bianca. L’autobus impegnava quasi completamente la corsia di pertinenza. L’auto di COGNOME impegnava parzialmente la corsia di pertinenza e aveva i fari accesi. Successivamente un testimone li aveva spenti prima dell’arrivo della polizia municipale; dalla strumentazione di bordo dell’autobus emergeva con certezza che il veicolo aveva percorso 302 metri dall’ultima fermata effettuata, procedendo a 38 km/h, e dai rilievi effettuati dalla polizia municipale risultava che l’impronta dello pneumatico dell’autobus si trovava a 19 cm dalla linea marginale bianca, quindi l’investimento era avvenuto nella zona compresa fra la linea marginale bianca, il ciglio erboso a destra e questo spazio sull’asfalto di centimetri 19 a sinistra, sempre rispetto al senso di marcia dell’autobus. La polizia municipale intervenuta sul posto notava che sulla sede stradale vi era una striscia di tracce ematiche appartenenti al capriolo per circa 32 m fino al punto d’urto, con resti di viscere rimasti a terra. Il tempo era nuvoloso e buio e non pioveva.
2. La Corte distrettuale, ribaltando il giudizio di primo grado, ha rilevato che l’imputato aveva tenuto una velocità inferiore al limite, ma non prudenziale in relazione alle circostanze concrete già evidenziate da tutti gli appellanti. Anche la scarsa visibilità non era circostanza idonea a diminuire o eliminare la colpa ma anzi ad aggravarla, perché si trattava di condizioni tali per cui il conducente è tenuto ad una prudenza maggiore. Certamente l’attraversamento del pedone non era stato prudente, ma non poteva dirsi imprevedibile dato che c’era un’auto con i fari
accesi in sosta sul margine opposto della carreggiata, in maniera del tutto irregolare. Era quindi più che prevedibile che fosse successo qualcosa di anomalo; era irrilevante che l’auto fosse in sosta sulla corsia di marcia opposta a quella percorsa dal COGNOME, perché, considerando la larghezza complessiva della carreggiata, in entrambi i sensi di marcia, pari a poco più di 6 metri, la larghezza dell’autobus, quasi 290 cm, e l’ingombro di circa 80 centimetri sulla corsia opposta, costituito dall’auto del Sinatti, la sede stradale risultava quasi completamente occupata per tutta la sua larghezza e dunque le condizioni erano tali da imporre un rallentamento. Pertanto, la colpa attribuibile all’imputato era stata correttamente correlata alla violazione dell’articolo 141 del codice della strada, il quale prevede, al quarto comma, che il conducente deve ridurre la velocità e, occorrendo, anche fermarsi quando riesce malagevole l’incrocio con altri veicoli in prossimità degli attraversamenti pedonali ed in ogni caso quando i pedoni che si trovino sul percorso tardino a scansarsi o diano segni di incertezza e quando al suo avvicinarsi gli animali che si trovino sulla strada diano segni di spavento.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza a mezzo del difensore di fiducia, articolando i motivi sintetizzati come segue:
con il primo motivo, lamenta l’erronea applicazione dell’articolo 141 d.lgs. n. 285/1992 in relazione alla dinamica del sinistro. Secondo la Corte d’appello il sinistro sarebbe stato causato, quantomeno in parte, dal comportamento imprudente e negligente del COGNOME. Alla guida del veicolo, infatti, avrebbe potuto, con una repentina manovra frenante, evitare l’impatto con il pedone, considerato un ostacolo. Ad avviso del ricorrente, la tesi sarebbe stata smentita dalle risultanze della consulenza tecnica svolta dall’ingegner COGNOME che avrebbe dimostrato l’assenza di qualsivoglia responsabilità in capo al COGNOME nella causazione del fatale incidente. Il consulente aveva ricostruito che il sinistro era stato determinato da una catena di eventi: prima che il sinistro si verificasse, si era accertata la presenza, sulla corsia di marcia in direzione San Leo Pratantico, della carcassa di un capriolo precedentemente investito da una autovettura ignota; il COGNOME, provenendo dall’opposta direzione di marcia, aveva arrestato la propria vettura a bordo strada e con ciò invadeva, col veicolo fermo, la propria corsia di marcia per circa 80 cm, nonostante la presenza di una linea continua di margine. Ciò senza inserire la segnalazione luminosa di pericolo. La condotta del COGNOME non poteva non influire sul giudizio di prudenza e prevedibilità riferito al COGNOME.
L’obbligo di procedere con particolare cautela, riducendo la velocità in modo da poter arrestare un veicolo agevolmente, deve riferirsi ad un ostacolo che determini la necessità di un arresto immediato. Invece, nel caso di specie,
COGNOME aveva dovuto allargarsi per l’incrocio con altro mezzo, che si era palesato improvvisamente e repentinamente, mentre nessun ostacolo si era manifestato sulla propria carreggiata. Dunque, la Corte d’appello aveva errato nell’attribuirgli la responsabilità dell’evento, in quanto l’imputato aveva tenuto una velocità particolarmente ridotta e le circostanze poste a suo carico, cioè il tratto privo di illuminazione, la presenza di tracce ematiche (coperte però dalla pioggia) e la presenza di un’auto ferma sulla carreggiata opposta, non erano elementi tali da motivare un arresto del mezzo. Peraltro, era rimasto accertato che un’auto, che sopraggiungeva nella corsia opposta, superando l’autovettura di COGNOME aveva costretto il COGNOME a spostarsi completamente sulla propria destra. Il consulente della difesa, individuando proprio nel comportamento di tale ignoto automobilista l’ultimo segmento della catena causale che aveva cagionato l’evento, era giunto alla conclusione che all’imputato non si sarebbe potuta richiedere alcuna manovra utile ad evitare l’urto con il capo della vittima. Dall’esame dei filmati estrapolati dalle telecamere interne dell’autobus, si era appreso che era trascorso solo 1,10 secondi dal momento in cui il COGNOME aveva avuto modo di vedere le gambe del COGNOME.
Con il secondo motivo, il ricorrente deduce vizio di motivazione in quanto la sentenza di appello, su impugnazione del pubblico ministero ed in riforma della sentenza assolutoria di primo grado, aveva operato una diversa valutazione delle prove dichiarative – ritenute decisive tanto in primo grado quanto dal Pubblico Ministero – senza provvedere all’esame delle persone che avevano reso tali dichiarazioni, così violando il disposto dell’art. 603, comma 3 bis , cod.proc.pen., nonché il consolidato orientamento in materia della Corte di Cassazione. Nel caso di specie, nel giudizio di primo grado era stata data rilevanza alle consulenze tecniche (prevalentemente a quella della difesa, ritenuta più congrua rispetto a quella della Procura) versate in atti a seguito dell’esame in dibattimento dei consulenti. La Corte d’appello, tuttavia, ha ritenuto di dover rinnovare ex art. 603, comma tre bis , cod. proc. pen. il solo esame del comandante della P.M. COGNOME alla luce della non espressa considerazione, secondo cui l’appello del pubblico ministero fondasse le doglianze soltanto su questa e che, comunque, tale dichiarazione fosse da sola sufficiente a rivalutare il caso trattato. In realtà, la richiesta della Procura appellante aveva richiesto una rivalutazione integrale della dinamica del sinistro, fondata sulle considerazioni del consulente tecnico. Dunque, in conformità con la giurisprudenza di legittimità, la Corte d’appello avrebbe dovuto valutare la decisività delle prove dichiarative poste a fondamento della sentenza assolutoria di primo grado. La Corte territoriale aveva omesso di rinnovare l’esame dei consulenti tecnici o almeno dell’ingegner COGNOME consulente tecnico dell’imputato,
che invece era stato valorizzato dal Tribunale ed era quindi prova decisiva meritevole di rinnovazione in sede di appello.
La Procura generale ha depositato memoria, chiedendo il rigetto del ricorso. Le parti civili, mediante i rispettivi difensori, hanno depositato memorie, insistendo nella conferma della sentenza impugnata. Il difensore dell’imputato ha depositato memoria, insistendo per l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Il secondo motivo va trattato in via prioritaria, trattandosi della denuncia di un vizio potenzialmente idoneo a incidere sulla legittimità del ragionamento che ha condotto all’affermazione di responsabilità penale, previo ribaltamento della decisione di primo grado.
Tale motivo allude a un vizio di motivazione derivante dalla mancata rinnovazione dell’esame del consulente tecnico dell’imputato.
In presenza di sentenza di ribaltamento del giudizio assolutorio di primo grado, è noto che la giurisprudenza delle Sezioni Unite ha ritenuto che debba darsi luogo alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello, con l’esame del perito, a cui può accostarsi la presente fattispecie, con riferimento ai consulenti tecnici delle parti, laddove non sia stata disposta perizia, quando questi sia già stato esaminato e la sua dichiarazione sia risultata decisiva per la pronuncia di assoluzione (o del consulente tecnico) se questi sia stato già esaminato nel dibattimento di primo grado e la sua dichiarazione sia ritenuta decisiva (S.U., n. 14426 del 28/1/2019, COGNOME, Rv. 275112-03).
Nella concreta applicazione, la giurisprudenza di legittimità si è conformata alla pronuncia delle Sezioni Unite, chiarendo la portata del principio e ritenendo che a fronte della doverosità della rinnovazione istruttoria nel caso contemplato dall’art. 603, comma 3 bis , la necessità della rinnovazione istruttoria in appello non vale indiscriminatamente per tutte le prove dichiarative assunte in primo grado, ma riguarda esclusivamente le prove orali ritenute decisive ai fini della decisione.
La rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello è indispensabile solo nel caso in cui il P.M. lamenti la valutazione della prova compiuta dal primo giudice e, dunque, l’erroneo apprezzamento ovvero la scorretta interpretazione
del dato cognitivo, ma non laddove denunci solo il travisamento della prova, ossia la difformità sul significante (il documento) e non sul significato (il documentato) per omissione, invenzione o falsificazione, caso – quest’ultimo – in cui il giudice di appello può celebrare il giudizio e pervenire ad un giudizio di colpevolezza senza necessità di rinnovare le prove dichiarative ( Sez. 6, n. 10260 del 14/2/2019).
I motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa sono, oltre quelli concernenti la questione dell’attendibilità dei dichiaranti, anche tutti quelli che implicano una diversa interpretazione delle sole risultanze delle prove dichiarative. La consistenza oggettiva del fatto da accertare non è sempre conoscibile in modo univoco e oggettivo, ma è talvolta percepito attraverso l’interpretazione che ne dà il dichiarante, con la conseguenza che la risultanza probatoria risente della mediazione che incide sull’approccio valutativo del giudice, anch’esso pertanto mediato (Sez. 3, n. 16444 del 4/2/2020).
6. Nel caso di specie, la Corte d’appello, intendendo rivalutare il complesso delle condizioni di tempo e di luogo al momento dell’evento, ai fini della individuazione della regola elastica contenuta nell’art. 141 cod. strada., e cioè le circostanze relative alle condizioni della strada, alla presenza delle tracce ematiche lasciate dall’uccisione del capriolo, alla presenza dei fari accesi dell’auto del Sinatti, alla collocazione della vittima al momento dell’urto, nonché le condizioni ambientali del momento del sinistro, ha disposto la rinnovazione del solo esame del teste COGNOME Comandante della Polizia Municipale di Arezzo, ritenendo che solo quelle dichiarazioni fossero decisive al fine di ribaltare il giudizio assolutorio. Dal contenuto di tali dichiarazioni ha tratto il presupposto in fatto a cui agganciare il conseguente giudizio di responsabilità.
In tale contesto, non può ritenersi indispensabile la considerazione delle dichiarazioni rese dal consulente della difesa nel corso del primo grado, per nulla adoperate dalla sentenza della Corte d’appello per la formulazione del giudizio di condanna.
Deve pure essere rilevato che dallo stesso tenore delle considerazioni critiche prospettate dal ricorrente si evince che il consulente di parte non ha introdotto nel giudizio proprie valutazioni tecnico scientifiche decisive per la formulazione del giudizio di responsabilità, posto che la dinamica dell’evento non è mai stata sostanzialmente contestata. Piuttosto, attraverso le considerazioni del consulente, si è inteso spostare interamente sulla anomala condotta della vittima, oltre che sull’apporto di un terzo conducente rimasto ignoto, il processo causale che è culminato con la morte di NOME COGNOME Si tratta, all’evidenza, di aspetti in fatto
sui quali la Corte d’appello non ha operato alcuna diversa valutazione, rispetto alla ricostruzione dei fatti adottata dal Tribunale.
Dal confronto tra le decisioni di primo e secondo grado, infatti, si coglie la piena coincidenza dell’accertamento della dinamica del sinistro. Il punto di contrasto attiene esclusivamente all’individuazione dei presupposti applicativi relativi alla contestazione della violazione della regola cautelare elastica contenuta nell’art. 141 cod. strada, di cui al primo motivo del ricorso.
Con riferimento a tale motivo, va ricordato che la disposizione contenuta nell’ art.141 cod. strada impone al conducente di regolare la velocità del veicolo in modo che, avuto riguardo alle caratteristiche, allo stato ed al carico del veicolo stesso, alle caratteristiche e alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, sia evitato ogni pericolo per la sicurezza delle persone e delle cose ed ogni altra causa di disordine per la circolazione. Gli fa anche obbligo di tenere una condotta di guida che gli assicuri di conservare sempre il controllo del proprio veicolo e di essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente l’arresto tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile. La disposizione prevede esplicitamente l’obbligo di regolare la velocità nei tratti di strada a visibilità limitata, nelle curve, in prossimità delle intersezioni e delle scuole o di altri luoghi frequentati da fanciulli indicati dagli appositi segnali, nelle forti discese, nei passaggi stretti o ingombrati, nelle ore notturne, nei casi di insufficiente visibilità per condizioni atmosferiche o per altre cause, nell’attraversamento degli abitati.
Questa Corte di cassazione (Sez. 4 n. 40050 del 29/03/ 2018, COGNOME Rv. 273871 – 01) ha avuto modo di chiarire che dalla disposizione emerge che la velocità prudenziale è quella che permette di mantenere il controllo del proprio veicolo e di compiere manovre di emergenza senza creare ulteriori pericoli; ed è quella che permette l’arresto del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità nonché quella che permette l’arresto dinanzi ad ostacoli prevedibili.
La articolazione prescrittiva, si è detto, corrisponde alla varietà delle situazioni delle quali si ha esperienza e sono le peculiarità dell’accadimento a indirizzare verso l’una o l’altra ipotesi. L’accertamento giudiziario deve essere rigoroso e la velocità che la norma prescrive in termini elastici deve essere precisamente individuata dal giudice; non sono sufficienti giudizi avulsi dall’elaborazione di definiti parametri tecnici.
Nel caso di specie, accertato che il pedone, mentre si trovava all’interno della corsia percorsa dall’autobus – nella zona compresa tra la linea marginale bianca, il ciglio erboso a destra e lo spazio sull’asfalto di cm 19 a sinistra rispetto al senso di marcia dell’autobus (pag. 4 sentenza impugnata, che richiama la sentenza del Tribunale) era stato attinto dal montante destro dell’autobus, ad una altezza di cm. 130, alla parte sinistra del volto, si è rimproverato al ricorrente di aver tenuto una velocità non prudenziale, seppure non superiore al limite di 50 Km/h, in relazione alla maggiore prudenza richiesta dalla scarsa visibilità, alla prevedibilità della presenza di un pedone, il quale seppure imprudente, aveva lasciato la propria auto ferma con i fari accesi sul margine opposto della carreggiata in maniera del tutto irregolare; si è dato rilievo alla circostanza che sulla strada vi era una lunga striscia di traccia ematica e addirittura di intestini di animale, illuminata dai fari dell’auto ferma; nonché al dato del contemporaneo passaggio di un’auto, sulla corsia di marcia opposta a quella percorsa dall’autobus, che superava l’auto della vittima ferma a bordo strada. La Corte ha segnalato, inoltre, la circostanza ritenuta incontestata e decisiva, che, sommando la larghezza della intera carreggiata (poco più di sei metri, considerando entrambe le corsie di marcia), la larghezza dell’autobus (quasi 290 cm) e l’ingombro, sulla corsia sulla quale l’auto del COGNOME sostava, pari a circa 80 centimetri, la sede stradale risultava quasi completamente occupata per tutta la sua larghezza e quindi le condizioni erano tali da imporre un rallentamento o anche la fermata del veicolo.
La motivazione addotta dalla sentenza impugnata, al fine di individuare ex ante la regola cautelare genericamente posta dall’art. 141 cod. strada, risulta conforme a diritto, posto che – con ragionamento formulato ex ante – effettivamente tutte le circostanze sopra indicate rientravano nel campo di visibilità dell’imputato e il pedone si trovava all’interno della corsia di marcia percorsa dal ricorrente. Il rallentamento del mezzo, o se del caso il suo arresto, ragionevolmente sarebbero stati in grado di evitare l’investimento.
Il ricorrente, censura la sentenza sul punto della ritenuta violazione della individuazione della concreta regola cautelare imposta dall’art. 141 Cod. strada, ma, nella sostanza, imposta il giudizio esplicativo dando per accertati fatti non emersi e neanche esaminati dai giudici del merito, quale quello dell’incrocio dell’autobus, al momento dell’urto contro il COGNOME, con altra autovettura impegnata in un sorpasso e rimasta non identificata.
Si è introdotto il tema della inesigibilità della condotta salvifica, in relazione alla necessità di apprestare una manovra improvvisa verso destra, causata dall’incrocio con veicolo rimasto ignoto. L’affermazione, oltre che rinviare a
questioni di merito nuove e qui non deducibili, non inficia il dato appurato dalla sentenza impugnata e necessario per la tenuta logica e la conformità a diritto della motivazione, ovvero che la velocità risultava ex ante inadeguata nel caso specifico, tenuto conto di tutte le circostanze caratterizzanti del caso concreto, colte dal punto di vista causale.
L’esponente censura anche il giudizio in merito alla valenza causale della condotta dell’imputato, che ne sarebbe priva perché il comportamento colposo del pedone e la oggettiva impossibilità di avvistarlo renderebbero l’evento di natura eccezionale ed imprevedibile.
L’argomentazione fa perno su taluni arresti di questa Corte, secondo i quali il conducente del veicolo va esente da responsabilità per l’investimento di un pedone quando la condotta della vittima configuri, per i suoi caratteri, una vera e propria causa eccezionale, atipica, non prevista né prevedibile, da sola sufficiente a produrre l’evento, circostanza questa configurabile ove il conducente medesimo, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, si sia trovato nell’oggettiva impossibilità di notare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso ed imprevedibile (Sez. 4, n. 33207 del 02/07/2013, Corigliano, Rv. 255995). Solo in tal caso, si è precisato, l’incidente potrebbe ricondursi eziologicamente esclusivamente alla condotta del pedone, avulsa totalmente dalla condotta del conducente ed operante in assoluta autonomia rispetto a quest’ultima.
Nel caso di specie, tale evenienza è stata esclusa, come si è affermato in precedenza, in ordine all’avvenuta violazione della concreta regola cautelare imposta dall’art. 141 cod. strada. Ne consegue, considerando che la condotta della vittima è stata ritenuta gravemente imprudente dalla Corte d’appello, ma non idonea a fungere da causa esclusiva dell’evento, l’infondatezza anche di tale aspetto del motivo.
Segue al rigetto del ricorso, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Non si provvede alla liquidazione delle spese in favore delle parti civili, tenuto conto che le stesse si sono limitate a chiedere il rigetto del ricorso, in adesione al principio secondo il quale nel giudizio di legittimità, in caso di ricorso dell’imputato rigettato o dichiarato, per qualsiasi causa, inammissibile, la parte civile ha diritto di ottenere la liquidazione delle spese processuali purché abbia effettivamente esplicato, anche solo attraverso memorie scritte, un’attività diretta a contrastare l’avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria, fornendo un utile contributo alla decisione (Sez. 2, n.12784 del
23/01/2020, COGNOME, Rv. 278834 – 01; Sez. 5, n. 31983 del 14/03/2019, COGNOME, Rv. 277155 – 01).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Nulla per le spese alle parti civili.
Così è deciso, il 20 giugno 2025.
Il Consigliere estensore Il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME