Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 6783 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 6783 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CAGLIARI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/09/2022 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’ inammissibilita’ del ricorso.
udito avvocato NOME del foro di FIRENZE in difesa di COGNOME NOME, che chiede l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello di Firenze, con la sentenza indicata in epigrafe, ha parzialmente riformato, riducendo la durata della misura della sospensione della patente di guida, la pronuncia del Tribunale della stessa sede che, riconosciute le attenuanti generiche e quella della non esclusiva riconducibilità dell’evento alla condotta dell’imputato, aveva ritenuto NOME COGNOME responsabile del reato di omicidio stradale, per aver cagionato, per colpa specifica consistente nella violazione dell’art. 141, comma primo, d.lgs. n. 285/1992, la morte di NOME COGNOME, che era stata investita dal veicolo Fiat Doblò (tg.to TARGA_VEICOLO) di proprietà dell’imputato, che lo conduceva. In Barberino del Mugello, il 20 dicembre 2016.
In particolare, il COGNOME, in presenza di due veicoli parcheggiati fuori dagli stalli di sosta e che gli impedivano la visuale, non regolava la propria velocità in modo da evitare ogni pericolo per la sicurezza delle persone ed ogni altra causa di disordine per la circolazione ed investiva la vittima, che stava attraversando la strada.
Gli eventi sono stati ricostruiti dai giudici del merito nei seguenti termini. Il giorno 20 dicembre 2016, NOME COGNOME è deceduta per le lesioni patite a seguito dell’investimento di cui era rimasta vittima il giorno precedente. In particolare, la donna era stata investita dall’auto condotta da NOME COGNOME, mentre percorreva la INDIRIZZO e si immetteva in INDIRIZZO, nel territorio del Comune di Barberino del Mugello. L’urto era stato di minima intensità ed aveva coinvolto la parte anteriore destra del veicolo condotto dall’imputato ed il corpo della donna, che era intenta ad attraversare la piazza.
Il primo Giudice aveva ritenuto provata la responsabilità dell’imputato in quanto, nella circostanza, aveva condotto il veicolo a velocità non adeguata, violando l’art. 141 d.lgs. n. 285 del 1992 (cod. strada), attraversando la piazza del paese, che ben conosceva per averla attraversata quotidianamente e che sapeva essere priva di strisce pedonali e spesso attraversata da pedoni. Per uscire dalla piazza, il conducente aveva dovuto affrontare una curva a destra, che limitava la visibilità sul resto della piazza. In quella circostanza erano presenti due auto parcheggiate al di fuori degli stalli di sosta, in prossimità della intersezion tra la piazza e la INDIRIZZO, che riducevano la visibilità ulteriormente, inoltre il manto stradale si presentava dissestato con conseguente inefficacia dell’azione frenante.
La Corte di appello ha confermato la decisione sul punto della responsabilità penale sulla base delle dichiarazioni dell’imputato e sui rilievi della polizi
giudiziaria intervenuta. La Corte territoriale ha dato atto che alcuni degli elementi della ricostruzione della dinamica del sinistro erano stati dedotti in via logica e, precisamente, i movimenti della vittima e la velocità tenuta dal veicolo al momento dell’urto, non ritenendo attendibile il dato fornito dall’imputato in assenza di tracce di frenata sull’asfalto.
Tuttavia, la responsabilità penale risultava idoneamente provata, in relazione alla scarsa visibilità presente al momento in cui il conducente aveva affrontato la curva a destra, determinata dalla presenza delle auto in sosta fuori dagli stalli, situazione che rendeva prevedibile la presenza di pedoni ed il loro attraversamento della piazza e necessario adeguare la velocità, fino a ridurla a passo d’uomo. Di contro, la novantaduenne donna investita non era certo arrivata in modo veloce ed improvviso e l’assenza di tracce di frenata, lungi dal dimostrare l’imprevedibilità dell’evento, aveva messo in evidenza la mancanza di controllo dell’auto da parte dell’imputato.
Con ricorso per cassazione affidato a tre motivi, l’imputato, a mezzo del proprio difensore, ha impugnato tale sentenza.
Con il primo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. e con riferimento agli artt. 533, comma 1, 530, comma 2, cod. proc. pen. e 111 Cost., la illegittimità della sentenza impugnata in relazione alla affermata responsabilità penale, in assenza di elementi decisivi per la stessa ricostruzione del fatto criminoso; ci si duole del fatto che la sentenza impugnata ha confermato il giudizio del primo giudice in ordine alla dinamica del sinistro, in assenza di testimoni e di consulenze tecniche svolte dalla pubblica accusa, sulla base della sola ricostruzione della polizia giudiziaria, che aveva riferito l’assenza di tracce e segni presenti sulla carreggiata, per cui non era stato possibile individuare il punto d’urto; inoltre, data la vetustà del veicolo, era stato impossibile stabili se i danni presenti fossero riconducibili al sinistro o preesistenti, anche a causa dell’assenza di tracce ematiche. In assenza di attraversamenti pedonali e considerate le condizioni della strada, nessuna violazione del codice della strada era stata rilevata sia a carico del pedone che del conducente. Ad avviso del ricorrente, in definitiva, non era stato dimostrato alcuno dei presupposti fondanti la responsabilità colposa, non essendo stata accertata la velocità tenuta, la condotta della vittima, il punto d’urto e neanche l’effettiva presenza di due veicoli parcheggiati fuori dagli stalli di sosta.
Con il secondo motivo, in via subordinata, si deduce l’inesatta applicazione della legge penale sostanziale con riferimento all’art. 43 cod. pen. e 589 bis cod. pen. Si sostiene che, non essendo stato possibile accertare la velocità tenuta, non è possibile neanche dedurre la violazione di alcuna regola cautelare e quindi
l’essenza del reato colposo, vertendosi invece in una inaccettabile applicazione della regola del post hoc, propter hoc, negata dalla giurisprudenza di legittimità (cita Sez. 4, n.40050 del 2018).
Con il terzo motivo, si deduce ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. (in relazione alle pagine 6 e 7 della sentenza impugnata) la manifesta illogicità della motivazione sotto plurimi profili. In primo luogo, aver considerata inadeguata la velocità senza averne ricostruito l’entità, considerando sovrapponibili i profili della mancanza di visuale e della velocità. Solo in caso di velocità elevata, la mancanza di visualità avrebbe potuto incidere, ma non in caso di velocità moderata, e l’illogicità della sentenza consisterebbe proprio nell’aver ritenuto evitabile, e non invece destinato a verificarsi ugualmente, attraverso una ulteriore riduzione della velocità, l’evento di un lieve urto con la vittima con esit letale soprattutto in ragione dell’età della stessa. Altrettanto illogica, per ricorrente, sarebbe la ricostruzione di un obbligo di maggiore attenzione per il conducente in assenza di strisce pedonali, posto che tale è lo scopo della segnaletica, come anche il rilievo accordato alle condizioni del manto stradale che avrebbero limitato l’efficacia di una eventuale frenata.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi, da trattare congiuntamente in quanto strettamente connessi dalla critica radicale al ragionamento probatorio seguito dalla sentenza impugnata in ordine al profilo dell’imputazione colposa dell’evento, sebbene prospettati in via di subordinazione logica, sono fondati.
La Corte di appello, confermando integralmente quanto accertato dal Tribunale e disattendendo le doglianze fatte valere dall’appellante, ha fornito una ricostruzione della dinamica del sinistro basata sulla acquisizione di alcuni dati, definiti come certi, dai quali si è fatta discendere la conseguenza della inevitabile affermazione di responsabilità penale.
E’ stato ritenuto certamente provato, mediante le dichiarazioni dell’imputato, che lo stesso procedeva, a bordo del suo furgone Fiat Doblò nella INDIRIZZO, in direzione INDIRIZZO, ed avrebbe dovuto girare a destra, in INDIRIZZO, dopo aver imboccato una curva. Non vi erano strisce pedonali all’interno della piazza, mancava sul percorso una adeguata segnaletica verticale e la strada era in cattivo stato di manutenzione. L’imputato conosceva bene i
luoghi, in quanto residente a Galliano, ed era transitato nella piazza più volte a bordo del proprio mezzo. Al momento dell’investimento, erano presenti due auto parcheggiate al di fuori degli stalli di sosta, in prossimità dell’intersezione tra piazza e la INDIRIZZO. Erano state ricostruite le direzioni di marcia della vettura e della vittima, era statq individuattp posizione del corpo dopo il contatto, ed erano state accertate le cause del decesso della donna attraverso la consulenza medico legale disposta dal Pubblico Ministero.
La Corte territoriale ha richiamato la motivazione del Tribunale, che aveva accertato: a) la causa del decesso della vittima (morte cerebrale conseguente al trauma cranico riportato in seguito al sinistro stradale occorso il giorno precedente al ricovero); b) il percorso seguito dal COGNOME con il proprio mezzo, lo stato dell’asfalto, l’assenza di strisce pedonali all’interno della piazza centrale della cittadina, la presenza di segnaletica orizzontale, la mancanza di adeguata segnaletica verticale (descritti e documentati dai rilievi fotografici allegati verbale della p.m. prodotto all’udienza del 25 marzo 2019; c) la conoscenza dei luoghi da parte del COGNOME che li frequentava quotidianamente; d) la presenza delle due auto parcheggiate fuori dagli stalli di sosta (circostanza confermata nell’immediato ed in sede dibattimentale dall’imputato e dai testimoni presenti sul luogo dei fatti); e) la direzione di marcia del veicolo e quella della vittima risultante dal verbale di accertamento urgente; f) il punto di contatto tra il veicolo (che pure presentava altre ammaccature) e la parte del corpo della vittima attinta dall’urto, individuabili rispettivamente nella parte anteriore destra del veicolo e nel lato sinistro del pedone ( relazione c.t. AVV_NOTAIO pag. 8 e consulenza medico legale).
In via di deduzione logica, la Corte d’appello, a conferma del ragionamento del Tribunale, ha ricostruito le circostanze relative al punto esatto in cui avvenne l’impatto, alla velocità del veicolo, al grado di reciproca visibilità del conducente e del pedone ed alla condotta tenuta dal conducente immediatamente prima e dopo l’investimento. Quanto al motivo di gravame relativo alla assenza di accertamento del fatto costitutivo del reato previsto dall’art. 141 cod. strada, non essendo stata accertata la velocità tenuta in concreto, ha ritenuto inattendibile il dato fornit dalla difesa (circa 25/30 Km orari). La Corte territoriale, proprio per l’assenza di tracce di frenata, ha ribadito il ragionamento sostenuto dal Tribunale, in ordine alla sufficienza, ai fini della affermazione di responsabilità, dei dati acquisiti co certezza, dai quali era possibile pervenire alla conclusione che il disposto dell’art. 141 cod. strada era stato violato, in quanto, per evitare l’evento, l’imputato avrebbe dovuto procedere, in quelle concrete circostanze, a passo d’uomo. In questo senso, dunque, sarebbe irrilevante la determinazione della velocità tenuta dall’imputato.
Deve essere puntualizzato che oggetto della contestazione è una fattispecie di reato commissivo colposo; come tale ) il fatto tipico di reato deve necessariamente contenere l’indicazione della violazione della regola a contenuto preventivo a cui si ricollega l’evento. Altrimenti, si finirebbe per attribuire l responsabilità penale sulla base della sola causazione dell’evento e si rimanderebbe ad un parametro soggettivo e variabile l’individuazione della misura della diligenza richiesta dall’ordinamento.
Da ciò discende la necessità che la regola cautelare che integra la fattispecie contestata sia individuata in via preliminare, ex ante e non a posteriori.
Questa Corte di legittimità (Sez. 4, n. 40050 del 20/12/2018, Lenarduzzi Rv. 273871-01) ha avuto modo di affermare che l’individuazione della regola di condotta è agevole quando la disposizione cautelare è ‘codificata’ ed ha contenuto sufficientemente determinato (si parla allora di regola cautelare rigida); altre volte si incontra notevole difficoltà, sia perché quella prescrizione va tratta dal patrimonio di conoscenze formatesi nel corpo sociale attraverso l’uso dei criteri euristici della prevedibilità e dell’evitabilità dell’evento pregiudizievole, sia perché non di rado – quasi sempre – la regola codificata non esaurisce il quadro disciplinare, concorrendo con regole non codificate.
Tra le fattispecie che rinviano a regole cautelari codificate di natura ‘elastica’, si rinviene proprio l’art. 141 cod. strada che impone di tenere una velocità prudenziale ma non definisce quale essa sia attraverso parametri ‘rigidi’, valevoli in ogni caso; la norma vuole che essa sia definita in relazione alle condizioni concrete nelle quali si pone l’atto della guida.
E’ regola cautelare cosiddetta “elastica” quella che necessita, per la sua applicazione, di un legame più o meno esteso con le condizioni specifiche in cui l’agente deve operare; mentre quelle cosiddette “rigide” fissano con assoluta precisione lo schema di comportamento (Sez. 4, n. 29206 del 20/06/2007, COGNOME Caterina, Rv. 236905), attinente proprio all’art. 141 cod. strada.
A tal proposito, le Sezioni Unite hanno segnalato “il pericolo che il giudice prima definisca le prescrizioni o l’area di rischio consentito e poi ne riscontri la possibile violazione, con una innaturale sovrapposizione di ruoli che non è sufficientemente controbilanciata dalla terzietà”. Il giudice non produce leggi scientifiche e di prescrizioni cautelari, ma rinviene “la fonte precostituita alla stregua della quale gli sia poi possibile articolare il giudizio senza surrettizie valutazioni a posteriori” nella scienza e nella tecnologia (S.U. 18 settembre 2014, n. 38343, RAGIONE_SOCIALE; si veda anche Sez. 4, n. 36400 del 23/05/2013, COGNOME, Rv.
257112; Sez. 4, n. 9390 del 13/12/2016 – dep. 2017, COGNOME e:ttreD, Rv. 269254).
La sentenza impugnata, come si è in precedenza precisato, ha disatteso i rilievi proposti dall’appellante, riproposti sostanzialmente nei motivi di ricorso in esame, identificando la condotta contraria a regole di diligenza, prudenza o imperizia nella violazione della prescrizione cautelare di adeguare la velocità alle condizioni del caso concreto.
Ha ritenuto, alla pag. 6 della sentenza, che se anche si ritenesse condivisibile il calcolo compiuto dal c.t. della difesa, si dovrebbe pervenire ugualmente ad un giudizio di inadeguatezza della velocità tenuta dalla vettura del COGNOME, pur inferiore al limite previsto, considerate le condizioni in cui procedeva, in quanto l’art. 141 cod. strada impone di procedere ad una velocità adeguata alle condizioni del veicolo e della strada percorsa, oltre che del traffico.
Risulta sufficientemente evidente che la Corte territoriale ha identificato la velocità adeguata con la velocità che avrebbe evitato l’evento; lo manifesta chiaramente l’affermazione, riferita alla condotta di guida del COGNOME, “che lo stesso ha dimostrato di non avere il pieno controllo del veicolo, nonostante fosse del tutto prevedibile il transito di pedoni in quel punto della carreggiata percorsa”.
Non elimina l’errore nella ricostruzione del criterio di imputazione del reato la elencazione delle varie condizioni del contesto, ritenute rilevanti ai fini della definizione della velocità in concreto adeguata. La velocità, che la norma non indica in termini rigidi, deve essere precisamente individuata dal giudice, il quale, non può utilizzare proprie valutazioni di inadeguatezza della medesima velocità, ma deve concretizzare la regola cautelare violata mediante il ricorso alla elaborazione di definiti parametri tecnici.
La Corte di Appello ha, in definitiva, omesso di identificare il preciso contenuto della regola cautelare, finendo per far coincidere la velocità, rimasta indefinita, che ex ante il COGNOME avrebbe dovuto tenere con quella che ex post avrebbe evitato l’evento e ciò determina il vizio motivazionale che ne impone l’annullamento con rinvio.
In relazione al giudizio di rinvio, va infine riaffermato il principio più volt espresso da questa Corte di legittimità, secondo il quale l’individualizzazione della responsabilità penale impone di verificare non soltanto se la condotta del ricorrente abbia concorso a determinare l’evento e se la condotta sia stata caratterizzata dalla violazione di una regola cautelare, generica o specifica, rinvenuta dal giudice con valutazione ex ante, ma anche se l’imputato poteva
prevedere, sempre con un giudizio ex ante, quello specifico sviluppo causale -che avrebbe portato all’evento morte- attivandosi per impedirne la concretizzazione (v. Sez. 4, n. 5404 dell’08/01/2015, COGNOME, Rv. 262033; Sez. 4, n. 1819 del 03/10/2014, COGNOME, Rv. 261768; Sez. 4, n. 43966 del 06/11/2009, COGNOME, Rv. 245526). In tali termini va quindi rinnovato il giudizio.
La sentenza impugnata va dunque annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Firenze per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, ad altra Sezione della Corte di Appello di Firenze.
Così deciso in Roma, li 11 gennaio 2024.