Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 30078 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 30078 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato ad Aversa il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/10/2023 della Corte d’appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito per il ricorrente l’AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.
14.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 27 ottobre 2023 la Corte d’appello di Napoli ha rigettato l’impugnazione proposta da NOME COGNOME nei confronti della sentenza del 12 aprile 2021 con la quale il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere lo aveva condannato alla pena di due anni di reclusione e 10.000,00 euro di multa in relazione al reato di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen. e 30 e 31 I. n. 646 del 1982 (ascrittogli per avere, essendo stato condannato per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., di cui all’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., e del reato di cui all’art. 12-quinquies, primo comma, I. 356 del 1992, e sottoposto con provvedimento definitivo a misura di prevenzione, ed essendo conseguentemente obbligato per 10 anni a comunicare le variazioni patrimoniali, omesso di comunicare l’acquisto in data 28/11/2007 di un immobile in San Marcellino per euro 180.000,00; l’acquisto in data 16/11/2011 e la cessione il 28/11/2011 di una autovettura per il valore di euro 10.000,00; l’acquisto in data 8/2/2012 e la cessione il 24/9/2012 di una autovettura per il valore di euro 7.000,00; l’acquisto in data 2/2/2007 e la cessione in data 1/3/2007 di una autovettura per il valore di euro 31.000,00; la cessione in data 14/6/2012 di un terreno per euro 80.000,00; l’acquisto in data 28/12/2007 di una autovettura per euro 13.500,00).
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, mediante l’AVV_NOTAIO, che lo ha affidato a quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo ha denunciato la violazione e l’errata applicazione di disposizioni di legge penale e un vizio della motivazione, nella parte relativa alla affermazione della sussistenza degli elementi costitutivi del reato ascritto all’imputato.
Ha lamentato, in particolare, l’omessa considerazione da parte della Corte d’appello della provenienza familiare degli immobili oggetto della contestazione, provenienti dalla madre, NOME COGNOME, e dalla sorella, NOME COGNOME, ceduti solo per soddisfare esigenze di carattere ereditario ed economico. In particolare, il terreno formalmente cedutogli dalla madre, NOME COGNOME, era già sostanzialmente di proprietà del ricorrente, quale coerede, mentre l’immobile acquistato dalla sorella, NOME COGNOME, era solo formalmente nella disponibilità del ricorrente. Tale ultimo trasferimento era, infatti, volto a soddisfare impellenti esigenze di famiglia, cosicché doveva essere escluso dall’obbligo di comunicazione, ai sensi dell’art. 30 I. n. 646 del 1982, che esclude espressamente da tale obbligo i beni destinati al soddisfacimento dei bisogni quotidiani.
Gli acquisti delle automobili elencate nella informativa della polizia tributaria erano riconducibili alla attività lavorativa del ricorrente e rispetto a tali acquisi
.4 vendite l’imputato aveva percepito solamente una provvigione, inferiore nel suo ammontare ai limiti stabiliti dal citato art. 30 I. 646/82.
Ha pertanto affermato l’inoffensività della propria condotta, non essendo stato compromesso l’interesse protetto dalla disposizione incriminatrice, non essendovi stato alcun incremento del patrimonio del ricorrente, che non aveva neppure l’intenzione di omettere la comunicazione di incrementi o variazioni patrimoniali, che, in sostanza, non vi erano stati.
2.2. Con il secondo motivo ha denunciato l’errata applicazione dell’art. 5 cod. pen. e un ulteriore vizio della motivazione, con riferimento al mancato riconoscimento della inevitabilità della ignoranza della legge penale, in quanto l’acquisto degli immobili con atti notarili era dimostrativo della convinzione del ricorrente della liceità della sua condotta.
2.3. Con il terzo motivo ha lamentato l’applicazione della recidiva, fondata genericamente sul percorso delinquenziale del ricorrente, senza tener conto della scarsa gravità degli episodi, del tempo in cui le azioni erano state poste in essere, del grado di offensività della condotta, in assenza della quale le condotte contestate, l’ultima delle quali era stata commessa nel giugno 2012, avrebbero dovuto essere dichiarate estinte per prescrizione, con la conseguente inefficacia della disposta confisca.
2.4. Infine, con il quarto motivo, ha chiesto il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, previa esclusione della recidiva, e la loro applicazione nella massima estensione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
Va, anzitutto, osservato che tutti i motivi di ricorso sono integralmente riproduttivi, senza alcun elemento di novità né confronto, tantomeno critico, con la motivazione della sentenza impugnata, dei motivi d’appello, tutti adeguatamente considerati e motivatamente disattesi dalla Corte d’appello, con motivazione idonea, corretta in diritto e immune da vizi logici, cosicché essi risultano inammissibili, sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merit adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, solo apparentemente, denunciano un errore logico o giuridico determinato (in termini v. Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME e altri, Rv. 260608; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME e altro, Rv. 243838; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, COGNOME, Rv. 231708).
Nel merito il primo motivo di ricorso, mediante il quale sono state denunciate la violazione e l’errata applicazione di disposizioni di legge penale e un vizio della motivazione, nella parte relativa alla affermazione della sussistenza degli elementi costitutivi del reato ascritto all’imputato, è manifestamente infondato.
Il bene giuridico protetto dall’art. 31, comma 1, della legge n. 646 del 1982 e dall’art. 76, comma 7, del d.lgs. n. 159 del 2011 è rappresentato dall’ordine pubblico, perché l’obbligo di comunicazione imposto tende, da un lato, «a garantire che il nucleo di polizia tributaria venga effettivamente e sollecitamente a conoscenza della variazione intervenuta nel patrimonio di soggetti di accertata pericolosità sociale (e non semplicemente che la possa conoscere, effettuando indagini di propria iniziativa); dall’altro, a rendere obbligatoria p l’amministrazione una verifica altrimenti solo eventuale» (Corte cost., sentenza n. 81 del 2014).
Il caso in cui la variazione patrimoniale non comunicata alla polizia tributaria derivi da un’operazione soggetta a forme di pubblicità legale presenta, anche per il rigoroso trattamento sanzionatorio, «un indubbio profilo di criticità» (Corte cost., sentenza n. 81 del 2014).
Nel sistema stabilito dal legislatore con gli artt. 30 e 31 della legge n. 646 del 1982, come riconosciuto dalla Corte costituzionale (Corte cost., sentenza n. 99 del 2017), la mancanza della comunicazione della variazione patrimoniale al nucleo di polizia tributaria che ne è destinatario risulta tutt’altro che priva di offensività.
La giurisprudenza di questa Corte ha infatti più volte negato rilevanza, ai fini del perfezionamento del reato, alla veste pubblica o meno che abbia assunto l’atto dispositivo del soggetto obbligato alla comunicazione, in quanto scopo della norma incriminatrice è quello di permettere l’esercizio di un controllo patrimoniale penetrante e analitico della polizia tributaria «nei confronti di persone ritenute particolarmente pericolose onde accertare per tempo se le variazioni patrimoniali dipendano o meno dall’eventuale svolgimento di attività illecite» (Sez. 5, n. 13077 del 03/12/2015, dep. 2016, Artale, Rv. 266381 – 01; Sez. 1, n. 44586 del 19/10/2021, Bruzzise, Rv. 282227 – 01).
Per raggiungere questo scopo, ha ricordato la Corte costituzionale, occorre un monitoraggio costante sui beni delle persone pericolose gravate dal legislatore dell’obbligo in questione; monitoraggio che non può essere assicurato dalla registrazione e dalla trascrizione degli atti che determinano le variazioni patrimoniali.
Queste forme di pubblicità non implicano una diretta e immediata informazione del nucleo di polizia tributaria del luogo di dimora abituale della persona obbligata alla comunicazione, e quindi non mettono la polizia tributaria competente in condizione di conoscere tempestivamente le variazioni sospette.
Né può porsi a carico di questa un onere di consultazione permanente di tutti i pubblici registri, per acquisire direttamente quelle notizie che avrebbero dovuto esserle comunicate (Sez. 5, n. 13077 del 03/12/2015, dep. 2016, Artale, Rv. 266381 – 01, cit.; Sez. 6, n. 24874 del 30/10/2014, dep. 2015, COGNOME Bello, Rv. 264163 – 01).
Perciò, per il Giudice delle Leggi, non è priva di rilevanza l’«Autorità» che riceve la notizia, in quanto solo la comunicazione al nucleo di polizia tributaria indicato nell’art. 30 della legge n. 646 del 1982 e nell’art. 80, comma 1, del d.lgs. n. 159 del 2011 assicura la conoscenza tempestiva e reale dei mutamenti dello stato patrimoniale di tali persone, consentendo immediatamente gli opportuni accertamenti. Obiettivo questo che non potrebbe essere raggiunto se dovesse essere la polizia tributaria ad assumere di propria iniziativa le informazioni attraverso la consultazione dei pubblici registri.
Se, quindi, non può esservi dubbio in ordine alla configurabilità astratta del reato in esame anche nel caso in cui le variazioni nell’entità e nella composizione del patrimonio concernenti elementi di valore non inferiore ad euro 10.329,14 siano conseguenti alla stipula di un atto pubblico, è tuttavia altrettanto indubbio che, ai fini della attribuzione di reità, come la stessa Corte costituzionale richiede, una volta riconosciuta l’offensività “in astratto” dell’omissione, sempre che non si possa escludere il dolo (Corte cost., ordinanze n. 362 e n. 143 del 2002, n. 442 del 2001), spetta poi al giudice il compito di allineare il fatto oggetto del giudiz al canone dell’offensività “in concreto”, in quanto compete a questo giudice verificare se la singola condotta, rappresentata nel caso in esame dalla omessa comunicazione, risulta assolutamente inidonea, avuto riguardo alla ratio della norma incriminatrice, a porre in pericolo il bene giuridico protetto e dunque, in concreto, inoffensiva, escludendone in tal caso la punibilità (Corte cost., sentenze n. 109 del 2016, n. 139 del 2014 e n. 225 del 2008).
Su tale punto – diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente – i giudici del merito non si sono sottratti all’obbligo di verificare gli indici storici della sussiste del dolo e la offensività della condotta dell’imputato: è infatti ravvisabile nell motivazione dell’impugnata sentenza (in particolare alle pagg. 6 e 7) uno specifico passaggio argomentativo finalizzato a tale verifica, dedicato al giudizio sulla idoneità della condotta a porre in pericolo il bene protetto, nonché agli indici del dolo, ravvisati nella pluralità e consistenza economica delle variazioni non comunicate (non riconducibili, per la loro natura e consistenza economica, alla necessità di soddisfare bisogni della vita quotidiana), anche in rapporto alla biografia penale del ricorrente.
Sono, in particolare, state sottolineate la pluralità delle operazioni, la lor rilevanza economica, l’irrilevanza (per le ragioni anzidette) della stipula degli att di compravendita immobiliare per atto pubblico, l’assoluta mancanza di elementi
in ordine alla prospettata simulazione di tali negozi (assoluta o relativa), con la conseguente idoneità della motivazione a giustificare la conferma della affermazione della sussistenza dell’elemento oggettivo e di quello soggettivo, essendo correttamente stata sottolineata la sufficienza del dolo generico, che esige la semplice consapevolezza dei presupposti di fatto da cui sorge l’obbligo di comunicazione (qualità di condannato o di sottoposto a misura di prevenzione e superamento della soglia di rilevanza dell’operazione), essendo, invece, irrilevante lo specifico intento di occultare alla polizia tributaria le variazioni patrimoniali.
Si tratta, come anticipato, di motivazione pienamente idonea, a fronte della quale il ricorrente ha reiterato le medesime censure, senza apportarvi elementi di novità, con la conseguenza che le stesse risultano, per le ragioni anzidette, manifestamente infondate.
Il secondo motivo, mediante il quale sono stati denunciati l’errata applicazione dell’art. 5 cod. pen. e un ulteriore vizio della motivazione, con riferimento al mancato riconoscimento della inevitabilità della ignoranza della legge penale è manifestamente infondato.
Correttamente sul punto la Corte d’appello ha escluso la possibilità di ravvisare una situazione di incolpevole inconoscibilità del precetto, trattandosi di una norma dal contenuto precettivo sufficientemente chiaro, che non presenta insidiosità ermeneutiche e che non si discosta dai valori correnti nella società in misura tale da non trovare nessuna corrispondenza nella cosiddetta “sfera parallela laica”, alla quale è noto che, nei confronti dei soggetti che, come il ricorrente (condannato per i reati di cui agli artt. 416-bis, 648 e 648-bis cod. pen.), siano stati condannati per reati di criminalità organizzata, la legge prevede una serie speciale di controlli e cautele.
D’altra COGNOME parte COGNOME l’incertezza COGNOME derivante COGNOME da COGNOME contrastanti COGNOME orientamenti giurisprudenziali nell’interpretazione e nell’applicazione di una norma, o la specialità della disciplina applicabile, non abilitano da sole a invocare la condizione soggettiva d’ignoranza inevitabile della legge penale; al contrario, il dubbio sulla liceità o meno deve indurre il soggetto ad un atteggiamento più attento e diligente, fino cioè, secondo quanto emerge dalla sentenza 364 del 1988 della Corte Costituzionale, all’astensione dall’azione se, nonostante tutte le informazioni assunte, permanga l’incertezza sulla liceità o meno dell’azione stessa, dato che il dubbio, non essendo equiparabile allo stato d’inevitabile ed invincibile ignoranza, è inidoneo ad escludere la consapevolezza dell’illiceità (Sez. U, n. 16153 del 18/01/2024, COGNOME, Rv. 286241 – 02; Sez. 5, n. 2506 del 24/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269074 – 01; Sez. 6, n. 6991 del 25/01/2011, COGNOME, Rv. 249451 – 01).
Nella specie, oltre a escludersi difficoltà conoscitive o contrasti interpretativi, stata anche esclusa qualsiasi forma di attivazione del ricorrente per informarsi degli obblighi informativi gravanti su di lui quale condannato per specifici reati e ottemperarvi, con la conseguente evidente insussistenza dei presupposti per poter ravvisare una incolpevole ignoranza della legge penale.
Il terzo e il quarto motivo, esaminabili congiuntamente in ragione della loro intima connessione, posto che il quarto motivo, sulla applicazione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, si fonda sulla esclusione della recidiva, oggetto del terzo motivo, sono manifestamente infondati, sia, anch’essi, a causa della loro genericità, essendo privi di analisi della personalità dell’imputato e dei suoi precedenti, consistendo nella generica doglianza circa l’insussistenza dei presupposti per poter applicare la recidiva; sia alla luce della idoneità della motivazione sul punto, avendo la Corte territoriale sottolineato che il ricorrente è gravato da tre precedenti specifici e che in una pronuncia è stata già applicata la recidiva specifica (si tratta della iscrizione n. 2) e affermato, con considerazioni non manifestamente illogiche e non specificamente censurate dal ricorrente, che la commissione del nuovo reato non sia un evento accidentale bensì espressione di una condizione di speciale pericolosità del condannato, derivante da un risalente e protratto percorso delinquenziale: si tratta di motivazione idonea, fondata su considerazioni corrette in diritto e non manifestamente illogiche, mediante le quali è stato illustrato adeguatamente il giudizio di accresciuta pericolosità dell’imputato conseguente alla commissione del nuovo reato (tra l’altro strutturato in una pluralità di condotte), non considerate in modo critico dal ricorrente, con la conseguente inammissibilità anche del terzo e del quarto motivo di ricorso. 5. Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, a cagione della genericità e della manifesta infondatezza di tutti i motivi ai quali è stato affidato. Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
L’inammissibilità originaria del ricorso esclude il rilievo della eventuale prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado, giacché detta inammissibilità impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione innanzi al giudice di legittimità, e preclude l’apprezzamento di una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, COGNOME, Rv. 217266; conformi, Sez. un., 2/3/2005, n. 23428, COGNOME, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, COGNOME, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, COGNOME Scalora, Rv. 261616; nonché Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 14/02/2017, Aiello, Rv. 268966).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma
in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 26/6/2024