Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 15133 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 15133 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a LUCERA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/01/2023 della Corte d’appello di Ancona visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, nell’interesse della parte civile, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, ovvero disporsi il suo rigetto, depositando nota spese;
letta la memoria depositata dall’AVV_NOTAIO nell’interesse del ricorrente, con cui ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Ancona, con la sentenza impugnata in questa sede, ha confermato la condanna alle pene di giustizia pronunciata dal Tribunale di Fermo in data 4 marzo 2020 nei confronti di NOME, per il reato di rapina aggravata in concorso.
Ha proposto ricorso per cassazione la difesa dell’imputato deducendo, con il primo motivo, violazione di legge, in relazione agli artt. 192 e 546, lett. e), cod proc. pen. , con specifico riguardo alla valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, nonché vizio di motivazione per l’omessa indicazione del giudizio di irrilevanza delle prove a favore dell’imputato; si denuncia, altresì, il travisamento probatorio; non era stata apprezzata l’inattendibilità e la contraddittorietà delle dichiarazioni della vittima del reato, dimostrate dall’ammessa difformità delle diverse versioni rese nella descrizione dell’autore della rapina quanto alle caratteristiche fisiche, somatiche, linguistiche e comportamentali del rapinatore; era illogico ed erroneo ritenere che rispetto a tali contraddizioni e discrasie fosse prevalente il dato del riconoscimento, sia in fotografia che in dibattimento. Conseguentemente, era stato ignorato il travisamento della prova costituita dal riconoscimento, attesa l’inattendibilità delle descrizioni fornite dalla persona offesa. Le incongruenze nel narrato della vittima influivano con evidenza sull’attendibilità GLYPH del GLYPH riconoscimento; GLYPH inoltre, GLYPH la GLYPH ripetuta GLYPH sottoposizione dell’immagine dell’imputato alla vittima aveva di certo indotto effetti di autosuggestione.
Tali carenze costituivano la base del vizio motivazionale denunciato. Infine, andava rilevato l’errato richiamo temporale all’episodio della vicenda, avente ad oggetto la tentata rapina di una prostituta, che aveva visto coinvolti il ricorrente e tale COGNOME, risalente a oltre due anni prima rispetto alla rapina, e non alcune settimane dopo come indicato in modo errato dalla sentenza.
Quanto al profilo della carente valutazione degli elementi contrari addotti dalla difesa, essa era resa evidente dal giudizio espresso sull’esistenza di un piercing sul volto del rapinatore, piercing che i testi a discarico avevano escluso in riferimento al periodo temporale in cui era avvenuta la rapina e che invece la sentenza aveva confermato ipotizzando, senza alcun dato probatorio di sostegno, la mera ipotesi dell’uso di altro accessorio simile al piercing; analoga svalutazione quella relativa all’uso di una vettura bianca da parte del rapinatore, vettura non corrispondente nelle caratteristiche descritte a quella nella disponibilità dell’imputato.
1.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge in relazione agli artt. 213 e 214 cod. proc. pen., oltre che omessa rilevazione della nullità della ricognizione operata, con conseguente inutilizzabilità dei risultati conseguiti. Le modalità di conduzione della fase preliminare alle operazioni di ricognizione erano palesemente difformi dal dato normativo.
1.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio, attesa l’eccessività della pena e il mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle aggravanti contestate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1.1. Il primo motivo di ricorso è formulato per ragioni non consentite.
La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che è inammissibile il motivo del ricorso per cassazione «con cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), stesso codice, per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglian connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità» (Sez. Unite, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027 – 04; Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, COGNOME, Rv. 277518 – 01; Sez. 6, n. 4119 del 30/04/2019, dep. 2020, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 278196 – 01); in particolare, non possono costituire consentiti motivi di ricorso quelli con cui si censuri, invocando l’errata applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen., il giudizio circa l’attendibilità dei testimoni dell’accu (Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, dep. 2017, Pecorelli, Rv. 271294 – 01; Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567 – 01).
Altrettanto inammissibile il motivo, nella parte in cui deduce un asserito travisamento probatorio; la censura svolta, infatti, non individua l’introduzione nella motivazione di un’informazione rilevante che non esiste nel processo o l’omissione della valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (Sez. 2, n. 27929 del 12/06/2019, Borriello, Rv. 276567 – 01), ma si fonda su una differente valutazione della portata probatoria del riconoscimento operato dalla persona offesa, a più riprese, prima in fotografia e poi in sede di ricognizione, alla luce delle differenti versioni dichiarative riguardanti la descrizione del rapinatore; valutazione che la sentenza ha condotto compiutamente, apprezzando le censure
sollevate in appello (e che vengono reiterate in questa sede) e superandole con argomentazioni non manifestamente illogiche, sia in ordine alla mutata capacità memonica ed espressiva della testimone, sia distinguendo le discrasie relative a dati attinenti alla nazionalità del rapinatore e alla lingua parlata, rispetto al descrizione delle caratteristiche fisiognomiche.
Così esattamente definito il contenuto della censura, non è dato rilevare alcun vizio nella trasposizione, nel ragionamento del giudice di merito, del dato probatorio tale da evidenziarne l’eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, restando operante, in questa prospettiva, il persistente divieto di rilettura e di reinterpretazione nel merito dell’elemento di prova (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370 – 01); né può darsi ingresso a censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà, su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, risultando inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento. (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747 – 01).
1.2. Il secondo motivo di ricorso è generico, oltre che manifestamente infondato.
La censura formulata è generica, poiché non indica puntualmente i dati processuali che attesterebbero la lamentata omissione degli adempimenti descritti dall’art. 213, comma 1, cod. proc. pen. (esclusa testualmente dalla decisione impugnata: v. pag. 14); né il ricorrente ha documentato le modalità attraverso le quali avrebbe formulato la relativa eccezione, subito dopo compiute le formalità della disposta ricognizione (poiché l’inosservanza delle disposizioni previste per gli atti preliminari dall’art. 213, comma 1, cod. proc. pen., dà luogo ad una nullità relativa che deve essere immediatamente eccepita, a pena di decadenza, dinanzi al giudice procedente: Sez. 5, n. 32941 del 19/05/2014, COGNOME, Rv. 260074 01); il che impedisce, comunque, di apprezzare la fondatezza dell’eccezione di nullità.
Per altro verso, la critica rivolta alla decisione per non aver rilevato la causa di nullità derivante dalla scarsa somiglianza dei soggetti utilizzati per eseguire la ricognizione è manifestamente infondata: è pacifico il principio di diritto a mente del quale, l’inosservanza delle formalità previste dagli artt. 213 e 214 cod. proc. pen., relative alla partecipazione di persone il più possibile somiglianti a quella sottoposta a ricognizione, al fine di garantire la genuinità e l’attendibilità dell
prova, non costituisce causa di nullità o inutilizzabilità dell’atto (Sez. 2, n. 3542 del 13/07/2022, COGNOME, Rv. 283537 – 01; Sez. 2, n. 40081 del 04/07/2013, COGNOME, Rv. 257069 – 01; Sez. 6, n. 44595 del 08/10/2008, Piazza, Rv. 241655 – 01); analogamente, le censure rivolte alle modalità di richiamo della descrizione della persona da riconoscere non assumono rilievo quali motivi di nullità, poiché «la circostanza che, a seguito dell’invito a descrivere la persona da riconoscere, il soggetto chiamato al riconoscimento si sia riportato alle descrizioni già contenute in una precedente denuncia, non è causa di nullità della prova, in quanto tale sanzione è prevista solo nel caso in cui il giudice ometta il predetto invito» (Sez. 2, n. 30276 del 24/06/2016, COGNOME, Rv. 267429 – 01).
Quanto alla differente prospettiva coltivata nelle conclusioni scritte trasmesse il 30 gennaio 2024, ove si evidenzia il fraintendimento delle censure sollevate da parte della Corte territoriale (in quanto oggetto della critica era l’errato giudizi sull’attendibilità del risultato probatorio, derivante dalle irregolarità denunciate) tratta di argomento nuovo che viene introdotto per la prima volta, non risultando dall’esposizione del motivo di ricorso tale profilo di censura.
1.3. Il terzo motivo è generico e manifestamente infondato.
Il giudizio di bilanciamento (riservato al giudice di merito) in termini di equivalenza delle circostanze attenuanti riconosciute all’imputato e delle aggravanti contestate, argomentato dalla sentenza impugnata con riferimento alle caratteristiche dell’azione e all’esposizione a pericolo della vittima, non può definirsi arbitrario o manifestamente illogico (uniche condizioni che ne legittimano la denuncia in sede di legittimità: Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017, Pennelli, Rv. 270450 – 01), risultando espresso con corretto richiamo dei parametri previsti dall’art. 133 cod. pen., e come tale risulta insindacabile in sede di legittimità (Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Martinenghi, Rv. 279838 – 02).
2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro tremila a favore della Cassa delle ammende. Va, inoltre, disposta la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, la cui liquidazione va affidata alla Corte d’appello di Ancona ai sensi dell’art. 110, comma 3, d.p.r. 115/2002 (Sez. Unite, n. 5464 del 26/09/2019, dep. 2020, De Falco, Rv. 277760 – 01).
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte d’appello di Ancona con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.p.r. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
Così deciso il 7/2/2024