Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 24641 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 24641 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 23/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a NAPOLI il 23/02/1988
avverso la sentenza del 10/10/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte di Appello di Napoli con sentenza del 10 ottobre 2023 confermava la condanna di NOME NOME alla pena di anni quattro, mesi cinque e giorni dieci di reclusione per il reato di cui agli artt.2, 4 e 7 L. 895/1967 pronunciata dal Gip del Tribunale di Noia con sentenza del 20 gennaio 2023.
L’imputato, tramite i propri difensori, avv. ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, proponeva due ricorsi articolati entrambi su due motivi.
2.1 Quanto al ricorso dell’avv. NOME COGNOME con il primo motivo il ricorrente lamentava l’inosservanza della legge penale ex art. 606 co.1 lett. b) cod. proc.pen. con riferimento al principio di frazionabilità delle dichiarazioni della persona offesa, ovvero all’omessa puntuale valutazione delle dichiarazioni rese dalla medesima.
In particolare, afferma il ricorrente che la Corte di merito avrebbe errato nel non sottoporre ad un penetrante vaglio critico le dichiarazioni rese dalla persona offesa COGNOME COGNOME nonostante l’astio ed il rancore nutrito da quest’ultimo nei confronti dell’imputato.
Inoltre, nonostante il giudizio di non credibilità espresso da entrambi i giudici di merito circa le dichiarazioni del COGNOME in punto al calibro dell’arma impugnata da COGNOME e alla inclinazione della stessa, gli stessi pervenivano, attraverso una valutazione frazionata delle dichiarazioni del predetto COGNOME, ad un giudizio di complessiva attendibilità del medesimo.
Secondo il ricorrente, stante la identità di episodio e di circostanza su cui il teste aveva reso dichiarazioni, non sarebbe stata possibile una valutazione frazionata delle medesime, per la inferenza reciproca logica e fattuale delle parti del narrato.
La Corte di Appello sarebbe incorsa in un ulteriore errore allorquando ha giustificato la genericità delle dichiarazioni della persona offesa in ragione della situazione di stress e terrore in cui versavano il medesimo e la moglie.
Elenca poi il ricorrente una serie di doglianze che attengono specificamente alla valutazione degli elementi di fatto operata dalla Corte di Appello.
2.2 Con il secondo motivo rilevava la violazione dell’obbligo di motivazione del provvedimento impugnato, ex art. 606 co.1 lett. e) cod. proc.pen., avendo la Corte di Appello fatto richiamo, con termini ripetitivi e stereotipati, all motivazione della sentenza appellata.
Il ricorso dell’avv. NOME COGNOME si articola parimenti in due motivi.
3.1 Con il primo motivo il difensore lamenta la violazione di legge ex art. 606 co 1 lett b) e lett. e) cod. proc. pen. e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta responsabilità per il delitto di detenzione e porto in pubblico dell’arma.
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Nonostante il ricorrente abbia così rubricato il primo motivo di ricorso, la lettura del medesimo rende evidente che le doglianze attengono solo ed esclusivamente alla valutazione fatta dal giudice di appello delle risultanze istruttorie, in particolare della natura del rapporto intercorrente tra l’imputato e la persona offesa, della circostanza del mancato ritrovamento del bossolo, e delle contraddittorietà nel narrato dei coniugi COGNOME – COGNOME.
3.2 Con il secondo motivo di ricorso l’avv. COGNOME lamenta la violazione di legge ex art. 606 co 1 lett b) ed c) cod. proc.pen. deducendo un vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche.
Il primo motivo del ricorso dell’avv. COGNOME e il primo motivo del ricorso dell’avv. COGNOME sono manifestamente infondati per le medesime ragioni.
Le doglianze circa la errata valutazione delle dichiarazioni della persona offesa attengono al merito e dunque sono insindacabili da parte di questo Corte che non può che rilevare come la Corte di Appello abbia ampiamente, senza alcuna contraddizione o aporia logica, affrontato il relativo motivo di gravame, risolvendolo senza peraltro fare cenno alcuno ad una valutazione frazionata del narrato della persona offesa.
Analogamente, le ulteriori criticità individuate nella genericità del narrato, ovvero nella errata valutazione di elementi di prova, sollecitano di fatto una rivalutazione da parte del giudice di legittimità del compendio probatorio già vagliato, senza cedimenti logici, nei precedenti gradi di giudizio di merito: esse si appalesano, dunque manifestamente infondate, poiché in contrasto con il tenore della impugnata sentenza.
Come già ampiamente statuito, esula dai poteri di questa Corte una “rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali” (Sez. Un. n. 41476 del 25/10/2005, COGNOME; Sez.Un. n. 6402 del 2.7.1997, Dessimone, rv. 207944; Sez. Un. n. 930 del 29.1.1996, Clarke, rv. 203428).
È, dunque, inammissibile il motivo di ricorso che sottopone al giudice di legittimità atti processuali per verificare l’adeguatezza dell’apprezzamento probatorio ad essi relativo compiuto dal giudice di merito ed ottenerne una diversa valutazione, perché lo stesso costituisce censura non riconducibile alle tipologie di vizi della motivazione tassativamente indicate dalla legge (Sez. 7, Ordinanza n. 12406 del 19/02/2015)
4.1 Anche il secondo motivo del ricorso dell’avv. COGNOME è manifestamente infondato.
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La Corte di Appello ha premesso di riportarsi alle motivazioni della sentenza impugnata, condividendo il percorso motivazionale del Gip del Tribunale di Noia, facendo ampio richiamo alla giurisprudenza di questa Corte circa la legittimità di una motivazione concisa e riguardante solo gli aspetti nuovi, ovvero contraddittori o mal valutati dal giudice di primo grado.
Tale scelta redazionale è del tutto corretta ed in linea con la costante giurisprudenza di questa Corte che ritiene la motivazione “per relationem” di un provvedimento giudiziale legittima quando: 1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l’atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione (Sez. 6, n. 53420 del 04/11/2014 – dep. 22/12/2014, Mairajane, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
Per contro, il ricorso per cassazione avrebbe dovuto specificare su quali aspetti dell’atto di appello la sentenza impugnata non aveva compiuto adeguata analisi. Infatti, «È legittima la motivazione “per relationem” della sentenza di secondo grado, che recepisce in modo critico e valutativo quella impugnata, limitandosi a ripercorrere e ad approfondire alcuni aspetti del complesso probatorio oggetto di contestazione da parte della difesa, ed omettendo di esaminare quelle doglianze dell’atto di appello, che avevano già trovato risposta esaustiva nella sentenza del primo giudice» (Sez. 2, n. 19619 del 13/02/2014 – dep. 13/05/2014, COGNOME e altri, Rv. 25992901)
Non può quindi ravvisarsi nella sentenza impugnata ne’ una errata applicazione delle norme invocate, ne’ una mancanza di motivazione ai sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc.pen.
Il secondo motivo del ricorso dell’avv. COGNOME è manifestamente infondato.
Ancora una volta, infatti, pur denunciando un vizio di motivazione, ciò che il ricorrente lamenta è il contenuto della motivazione che entrambi i giudici di merito hanno posto alla base del rigetto della concessione delle attenuanti generiche, sollecitando da parte di questa Corte una diversa valutazione degli elementi di fatto presenti in atti.
In nessun vizio di motivazione è incorsa la Corte territoriale che, nel motivare il diniego del beneficio richiesto, ha fatto congruo riferimento agli elementi ritenuti
decisivi o rilevanti, quali la condotta processuale dell’imputato che si è sottratto all’interrogatorio e non ha offerto alcuna collaborazione al fine di ricostruire la
dinamica del fatto.
Secondo un consolidato orientamento di questa Corte «In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è
insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen.,
considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione.» (Sez. 5, n.
43952 del 13/04/2017, Rv. 271269).
6. All’inammissibilità dei ricorsi consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, alla luce
della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità», della somma di euro tremila
a favore della cassa delle ammende.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 23/05/2024