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Valutazione recidiva: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato contro una sentenza della Corte d’Appello. Il motivo del ricorso, incentrato sulla valutazione recidiva, è stato ritenuto una mera riproposizione di censure già correttamente esaminate e respinte in secondo grado. La Corte ha confermato la validità della motivazione del giudice di merito, che aveva considerato i precedenti penali come indice di una perdurante inclinazione al delitto, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di un’ammenda.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Valutazione Recidiva: Quando l’Appello Diventa Inammissibile

L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 1622/2024 offre un’importante lezione sulla proposizione dei ricorsi e, in particolare, sulla valutazione recidiva nel processo penale. Con una decisione netta, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile un ricorso che si limitava a riproporre questioni già adeguatamente risolte dal giudice di merito, ribadendo principi consolidati in materia di motivazione della pena e di limiti del sindacato di legittimità.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Roma. Il ricorrente lamentava, tra i motivi di doglianza, un’errata valutazione della sua recidiva da parte dei giudici di secondo grado. Sostanzialmente, la difesa riteneva che i precedenti penali non fossero stati considerati nel modo corretto ai fini della determinazione della sanzione penale.

La Valutazione Recidiva e la Decisione della Cassazione

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La Corte ha osservato che le censure mosse dall’imputato non erano nuove, ma costituivano una semplice riproduzione di argomentazioni già presentate e disattese dalla Corte d’Appello. Quest’ultima, secondo gli Ermellini, aveva fornito una motivazione corretta e giuridicamente ineccepibile.

Il cuore della decisione risiede nel fatto che il giudice di merito non si era limitato a prendere atto dell’esistenza di precedenti condanne. Al contrario, aveva condotto una valutazione approfondita e non superficiale, incentrata sulla ‘capacità a delinquere’ dell’imputato, così come previsto dall’articolo 133 del codice penale, che disciplina i criteri per l’esercizio del potere punitivo del giudice.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte Suprema ha chiarito che la Corte d’Appello aveva adempiuto pienamente al suo onere di motivazione. I giudici di merito avevano considerato le pregresse condanne non come un mero dato anagrafico, ma come un ‘fattore criminogeno’ rilevante. In altre parole, la storia criminale dell’imputato è stata interpretata come un chiaro indicatore di una ‘perdurante inclinazione al delitto’.

Questa analisi, basata su elementi concreti, ha permesso al giudice di calibrare la pena in modo proporzionato al grado di colpevolezza e alla pericolosità sociale del soggetto. La Cassazione, citando un proprio precedente (sentenza n. 33299/2016), ha ribadito che una simile valorizzazione della condotta criminosa è un corretto esercizio del potere discrezionale del giudice di merito. Di conseguenza, un ricorso che non contesta un vizio di legge, ma cerca di ottenere una nuova e diversa valutazione dei medesimi fatti, non può trovare accoglimento in sede di legittimità.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

L’ordinanza in esame consolida un principio fondamentale del nostro ordinamento processuale: il ricorso in Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono ridiscutere i fatti. È uno strumento per verificare la corretta applicazione della legge. Quando un giudice di merito fornisce una motivazione logica, coerente e giuridicamente fondata sulla valutazione recidiva e sulla commisurazione della pena, è inutile riproporre le stesse identiche argomentazioni davanti alla Suprema Corte.

Per la difesa, ciò significa che un eventuale ricorso deve concentrarsi sull’individuazione di specifici errori di diritto o vizi logici manifesti nella motivazione della sentenza impugnata, e non sulla speranza di ottenere una riconsiderazione del merito della vicenda. La decisione ha comportato per il ricorrente non solo la conferma della condanna, ma anche l’obbligo di pagare le spese processuali e una sanzione pecuniaria di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché si limitava a riproporre le stesse censure sulla valutazione della recidiva che erano già state adeguatamente esaminate e respinte con corretti argomenti giuridici dalla Corte d’Appello.

Come ha motivato il giudice di merito la sua decisione sulla pena?
Il giudice di merito ha motivato la sua decisione sviluppando una valutazione approfondita della capacità a delinquere dell’imputato, basandosi sui criteri dell’art. 133 del codice penale. Ha considerato le precedenti condanne come un fattore criminogeno indicativo di una perdurante inclinazione al delitto.

Quali sono state le conseguenze economiche per il ricorrente?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità del ricorso, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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