Valutazione Recidiva: Quando non Basta il ‘Curriculum’ Criminale
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi sui criteri per una corretta valutazione recidiva, un istituto fondamentale del diritto penale che può incidere significativamente sull’entità della pena. Questa decisione sottolinea come la semplice successione di reati non sia sufficiente a giustificare l’applicazione di questo aggravante, essendo invece necessaria un’analisi qualitativa da parte del giudice. Il caso in esame riguardava un ricorso contro una sentenza della Corte d’Appello di Genova per un delitto di furto, dove il punto cruciale era proprio la contestata applicazione della recidiva reiterata.
I Fatti del Processo
Un individuo, già condannato in passato, veniva ritenuto responsabile del delitto di furto anche in primo e secondo grado. La Corte d’Appello, pur rideterminando il trattamento sanzionatorio, confermava la sussistenza della recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale. Contro questa decisione, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, affidandosi a un unico motivo: la violazione di legge e la carenza di motivazione riguardo alla mancata esclusione della recidiva.
Il Ricorso e la questione sulla valutazione recidiva
Il ricorrente lamentava che i giudici di merito non avessero escluso l’aggravante della recidiva, nonostante le sue richieste. Tuttavia, secondo la Suprema Corte, il ricorso presentato era viziato da due difetti insanabili che ne hanno determinato l’inammissibilità.
In primo luogo, il ricorso è stato giudicato generico. Non indicava in modo specifico gli elementi che, a fronte di una motivazione logicamente corretta della sentenza impugnata, avrebbero dovuto portare a una conclusione diversa. In pratica, mancava di quella specificità richiesta dall’art. 581 del codice di procedura penale, non permettendo alla Corte di comprendere appieno le ragioni della censura.
In secondo luogo, il ricorso è stato ritenuto manifestamente infondato. Questo perché la decisione dei giudici di merito era in linea con i principi consolidati della giurisprudenza di legittimità in materia.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha colto l’occasione per ribadire i principi cardine per una corretta valutazione recidiva. I giudici hanno chiarito che tale valutazione non può essere un automatismo basato esclusivamente su due dati quantitativi: la gravità dei reati commessi e l’arco temporale in cui si collocano.
Il giudice di merito ha invece il dovere di compiere un’analisi più approfondita e concreta. Deve esaminare, sulla base dei criteri guida forniti dall’art. 133 del codice penale (gravità del danno, intensità del dolo, etc.), il rapporto specifico tra il reato sub iudice (quello per cui si sta procedendo) e le condanne precedenti. L’obiettivo è verificare se e in che misura la precedente condotta criminale sia sintomatica di una ‘perdurante inclinazione al delitto’. In altre parole, il giudice deve accertare se il passato criminale dell’imputato abbia agito come un ‘fattore criminogeno’ che ha influenzato la commissione del nuovo reato.
Poiché nel caso di specie la Corte d’Appello aveva applicato correttamente questi principi, il motivo di ricorso è stato giudicato privo di fondamento. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile.
Le Conclusioni
La decisione in commento conferma un orientamento fondamentale: la recidiva non è una ‘patente’ di pericolosità sociale che si applica in automatico. La valutazione recidiva richiede un giudizio motivato e personalizzato, che vada oltre la mera consultazione del certificato penale. Per gli operatori del diritto, ciò significa che le contestazioni su questo punto devono essere argomentate in modo specifico e concreto, dimostrando perché, nel caso specifico, i reati passati non rivelino una maggiore riprovevolezza e pericolosità del soggetto in relazione al nuovo fatto commesso. L’esito del ricorso, con la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro, serve da monito sulla necessità di presentare ricorsi solidi e non meramente esplorativi.
Quando un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso può essere dichiarato inammissibile quando è generico, ovvero non indica in modo specifico gli elementi a sostegno della censura come richiesto dall’art. 581, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., oppure quando è manifestamente infondato, cioè quando le sue argomentazioni sono palesemente prive di pregio giuridico.
Quali sono i criteri per una corretta valutazione della recidiva?
La valutazione della recidiva non può fondarsi solo sulla gravità dei fatti o sull’arco temporale. Il giudice deve esaminare concretamente, secondo i criteri dell’art. 133 cod. pen., il rapporto tra il reato in giudizio e le condanne precedenti, per verificare se la pregressa condotta indichi una perdurante inclinazione al delitto che ha influito sulla commissione del nuovo reato.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in denaro in favore della Cassa delle ammende, come avvenuto nel caso specifico con una sanzione di tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31027 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31027 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/12/2023 della CORTE APPELLO di GENOVA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Genova che, rideterminando il trattamento sanzionatorio, ha parzialmente riformato la pronunzia di primo grado con la quale il ricorrente era stato ritenuto responsabile del delitto di furto;
considerato che il primo ed unico motivo di ricorso, con il quale il ricorrente denunzia la violazione della legge e l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione in ordine alla mancata esclusione della recidiva reiterata specifica ed infraquinquennale, oltre ad essere generico per indeterminatezza perché privo dei requisiti prescritti dall’art. 581, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. in quanto, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata logicamente corretta, non indica gli elementi che sono alla base della censura formulata, non consentendo al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato, è altresì non consentito in sede di legittimità ed manifestamente infondato poiché il giudice di merito ha fatto corretta applicazione (si veda, in particolare, pagg. 1 e 2) dei principi della giurisprudenza di legittimità secondo cui la valutazione sulla sussistenza della recidiva non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo il giudice tenuto ad esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per procede e le precedenti condanne, verificando se ed in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato “sub iudice”; rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende; Corte di Cassazione – copia non ufficiale
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Roma, 8 luglio 2024