Valutazione della recidiva: la Cassazione conferma il potere del giudice
La valutazione della recidiva rappresenta un momento cruciale nel processo penale, in quanto incide direttamente sulla determinazione della pena. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i principi che guidano il giudice in questa delicata analisi, confermando come un’attenta ponderazione della capacità a delinquere dell’imputato sia sufficiente a giustificare la mancata esclusione della recidiva. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.
I fatti del caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello. L’oggetto della contestazione era specifico: la decisione dei giudici di merito di non escludere la recidiva, un’aggravante che tiene conto delle precedenti condanne penali. Secondo la difesa, tale valutazione non era stata adeguatamente motivata. Il ricorso è quindi approdato dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione per una decisione finale.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha respinto le argomentazioni del ricorrente, dichiarando il ricorso inammissibile. Secondo gli Ermellini, la decisione del giudice di merito era tutt’altro che superficiale. Al contrario, si basava su una valutazione “pregnante” e approfondita degli aspetti legati alla personalità dell’imputato e alla sua inclinazione a commettere ulteriori reati. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Le motivazioni e la corretta valutazione della recidiva
Il punto centrale della decisione risiede nelle motivazioni con cui la Cassazione ha convalidato l’operato della Corte d’Appello. La Suprema Corte ha chiarito che il giudice di merito ha correttamente esercitato il proprio potere punitivo, applicando i criteri stabiliti dall’articolo 133 del codice penale. Quest’ultimo articolo fornisce al giudice gli strumenti per calibrare la pena in base alla gravità del reato e alla capacità a delinquere del colpevole.
Nel caso specifico, la valutazione della recidiva non è stata un automatismo, ma il risultato di un’analisi ponderata. I giudici hanno considerato le pregresse condanne non come un mero dato statistico, ma come un “fattore criminogeno”, ossia un elemento che ha influenzato la commissione del nuovo reato. La condotta criminale è stata interpretata come l’indicatore di una “perdurante inclinazione al delitto”, giustificando così pienamente il mantenimento dell’aggravante della recidiva. La Corte ha richiamato anche un precedente giurisprudenziale (Cass. n. 33299/2016) per rafforzare il principio secondo cui una motivazione incentrata sulla capacità a delinquere è sufficiente a soddisfare l’onere di motivazione richiesto dalla legge.
Conclusioni
Questa ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: la valutazione della recidiva non è un atto formale, ma un giudizio sostanziale sulla personalità dell’imputato. Quando il giudice di merito fornisce una motivazione solida, ancorata ai criteri dell’art. 133 c.p. e basata su elementi concreti come i precedenti penali, la sua decisione è difficilmente censurabile in sede di legittimità. Per gli operatori del diritto, ciò significa che un ricorso per Cassazione su questo punto ha scarse probabilità di successo se non è in grado di dimostrare un vizio logico o una palese violazione di legge nella motivazione della sentenza impugnata, piuttosto che un semplice dissenso sulla valutazione compiuta.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso sulla recidiva?
La Corte lo ha dichiarato inammissibile perché ha ritenuto che il giudice di merito avesse già svolto una valutazione approfondita e ben motivata della capacità a delinquere dell’imputato, basandosi sui criteri dell’art. 133 del codice penale e considerando le precedenti condanne come prova di una persistente inclinazione al crimine.
Quali criteri usa il giudice per la valutazione della recidiva?
Secondo la pronuncia, il giudice si basa sui criteri dell’art. 133 del codice penale, che regolano l’esercizio del potere punitivo. In particolare, analizza la capacità a delinquere dell’imputato, valutando le pregresse condanne e la condotta criminosa come indicatori di una sua inclinazione a commettere reati.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta il rigetto del ricorso senza un esame del suo merito. Come conseguenza, la decisione impugnata diventa definitiva e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, che in questo caso è stata fissata in tremila euro a favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3916 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 3916 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 20/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a TORINO il 31/12/1969
avverso la sentenza del 22/02/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
visti gli atti e la sentenza impugnata;
esaminato il motivo di ricorso, avente ad oggetto la mancata esclusione della recidiva.
Rilevato che il giudice del merito ha sviluppato una pregnante e affatto superficiale valutazione incentrata su aspetti inerenti alla capacità a delinquere dell’imputato, prevista dai criteri di cui all’art. 133 cod. pen. che regola l’esercizio del potere punitivo, calibrandolo sul grado di colpevolezza. E’, pertanto, adeguatamente soddisfatto l’onere di motivazione sul punto della influenza, quale fattore criminogeno, delle pregresse condanne, sulla commissione del fatto per cui si procede e valorizzando la condotta criminosa indicativa di una perdurante inclinazione al delitto (cfr. Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, COGNOME, Rv. 270419).
Osservato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 20/09/2024