Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 31244 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 31244 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME ARTURO nato a CHIVASSO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 31/10/2023 della CORTE APPELLO di TORINO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso; udito nell’interesse del ricorrente l’avvocato NOME COGNOME, quale sostituto processuale dell’avvocato NOME COGNOME, che ha illustrato i motivi di ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Torino, con la sentenza emessa il 31 ottobre 2023, confermava quella del Tribunale torinese in composizione monocratica, che aveva accertato la responsabilità penale di NOME COGNOME, in relazione al delitto di furto in abitazione aggravato dal mezzo fraudolento e dall’aver approfittato dell’età della persona offesa, di anni 93.
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME COGNOME consta di un unico motivo, enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il motivo deduce mancanza e vizio di motivazione.
Denuncia il ricorrente che non emergerebbe l’iter logico seguito dalla Corte di appello – fondato su una valutazione del video che riprendeva l’autore del furto – in ordine alla individuazione dell’imputato, identificazione che era stata giudicata dalla stessa polizia giudiziaria solo ragionevolmente certa, tenuto conto che l’autore del delitto non risultava mai ripreso in viso, ma solo da lontano e di profilo, né risultava certa la sovrapponibilità degli indumenti trovati presso COGNOME con quelli indossati dall’autore del reato.
A fronte di ciò difetterebbero altri riscontri.
Il processo veniva trattato in data 12 marzo 2024 allorchè il Collegio riteneva legittimo l’impedimento per ragioni di salute relativamente al difensore, che giustificava il rinvio a nuovo ruolo con sospensione dei termini di prescrizione.
Alla successiva udienza del 18 aprile 2024 il ricorso è stato trattato con intervento delle parti, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell’art. 7, comma 1, d.l. n. 105 del 2021, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall’art. 94 del d.lgs. 10 ottobre 2022, come modificato dall’art. 5 -duodecies d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla I. 30 dicembre 2022, n. 199, nonché entro il 30 giugno 2024 ai sensi dell’art. 11, comma 7, del d.l. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito in legge 23 febbraio 2024, n. 18.
Il Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO, ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
Il difensore dell’imputato, avvocato NOME COGNOME, ha illustrato le ragioni del ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
2. Va premesso che l’indagine di legittimità sulla motivazione non è quella di sindacare l’intrinseca attendibilità dei risultati dell’interpretazione delle prove e di attingere il merito dell’analisi ricostruttiva dei fatti, bensì quella, del tutto divers di accertare se gli elementi probatori posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate, che rendano giustificate, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte, verificando la congruenza dei passaggi logici, con l’ulteriore conseguenza, costantemente affermata da questa Corte, che ad una logica valutazione dei fatti operata dal giudice di merito, non può quello di legittimità opporne un’altra, ancorché altrettanto logica (Cass. 5.12.02 Schiavone; Cass. 6.05.03 COGNOME).
Nel caso in esame palese è la natura di merito delle argomentazioni difensive, giacché volte le medesime, a fronte di esaustiva motivazione del giudice territoriale, a differentemente valutare gli elementi di prova puntualmente da esso richiamati e valorizzati, onde poi accreditare uno svolgimento della vicenda del tutto alternativo a quello logicamente accreditato con la sentenza impugnata (Sez. 1, n. 5182 del 15/01/2013 – dep. 01/02/2013, AVV_NOTAIO, in motivazione).
Infatti, la Corte di appello, a fronte delle censure proposte dalla difesa, evidenziava come il risultato probatorio che identificava l’attuale imputato nell’autore del furto, entrato nell’abitazione della persona offesa, scaturiva dalla circostanza che il Collegio – e prima anche il Giudice di primo grado, come risulta dalla relativa sentenza – aveva visionato le immagini del video in camera di consiglio, rilevandone la buona fattura, migliore di quella dei fotogrammi allegati al fascicolo. In sostanza la valutazione che ha condotto la Corte di appello alla identificazione di COGNOME risulta congruamente argomentata, oltre che conforme a quella del Giudice di primo grado.
La Corte territoriale, infatti, specificava esattamente quali erano i caratteri identificativi che conducevano a ritenere che NOME fosse l’autore del reato effigiato nel video: la forma del naso, la foggia della parte inferiore dell’orecchio sinistro, la piega della guancia, il taglio dei capelli. Si tratta di una valutazione accurata e non manifestamente illogica.
Né rileva la valutazione – per altro uniforme a quella dell’autorità giudiziaria – di ragionevole certezza offerta dalla polizia giudiziaria, sia per NOME che per la coimputata, risultando poi assolta la seconda in primo grado.
All’accertamento di polizia giudiziaria si sostituisce quello dei Giudicanti di primo e secondo grado, che conduce proprio alla distinzione evidenziata fra le due posizioni e supera la valutazione propria delle indagini.
Ne consegue che trattasi di valutazione di merito, come tale insindacabile nel giudizio di legittimità, salva l’ipotesi in cui essa risulti manifestamente illogica – il che non è nel caso in esame – e che sono inammissibili, pertanto, tutte le
doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr. Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747 – 01; Sez. 6, n. 13809 del 17 marzo 2015, 0., Rv. 262965).
Viene poi anche censurata la circostanza della valorizzazione della condotta dell’imputato, che non compariva in udienza né forniva un alibi: a riguardo deve rilevarsi come per un verso già l’individuazione operata con esito positivo renda superfluo tale elemento aggiuntivo, la cui valutazione, comunque, non risulta manifestamente illogica né in violazione di legge: difatti, in tema di valutazione della prova, è consentito al giudice, nella formazione del suo libero convincimento, trarre dal comportamento dell’imputato argomenti utili per la valutazione di circostanze “aliunde” acquisite, senza che ciò possa determinare alcun sovvertimento del riparto dell’onere probatorio (Sez. 4, n. 22105 del 02/05/2023, COGNOME, Rv. 284642 – 01; fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittima la decisione del giudice di appello di valutare come argomento di prova la scelta dell’imputato di non fornire al perito un saggio fonico di comparazione, in mancanza di adeguata e specifica motivazione; nello stesso senso, Sez. 3, n. 43254 del 19/09/2019, C., Rv. 277259 – 01).
Pertanto, oltre che non disarticolante la motivazione impugnata, tale secondo profilo risulta manifestamente infondato.
Ne consegue l’inammissibilità del ricorso e la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. (come modificato ex L. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 18/04/2024
Il Consigliere estensor
GLYPH
Il Presidente