Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 10455 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 10455 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 14/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto dalla parte civile: COGNOME NOME nato a Putignano il 31/03/1978
nel procedimento a carico di: COGNOME NOME nato a Ostuni il 26/07/1954
inoltre:
RAGIONE_SOCIALE
avverso la sentenza del 20/12/2023 della Corte d’appello di Lecce Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo, in via principale, la rimessione alle Sezioni Unite della seguente questione: “Se, alla luce del disposto dell’art. 652 cpp in difetto d’impugnazione della pubblica accusa, sussista l’interesse della parte civile a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che, riformando la sentenza di condanna di primo grado, abbia assolto l’imputato perché il fatto non costituisce reato; in secondo luogo, se sussista l’interesse
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della parte civile a ricorrere per cassazione avverso la sentenza d’appello di conferma della pronuncia assolutoria di primo grado perché il fatto non costituisce reato”. In subordine, chiede dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
uditi i difensori:
È presente l’avvocato COGNOME Antonio del foro di Brindisi in difesa di Unipol Assicurazioni s.p.a. Il quale si riporta alle argomentazioni indicate nei propri att e nelle note depositate e ne chiede l’accoglimento.
È presente, in sostituzione dell’avvocato di COGNOME NOME del foro di Trani (per delega scritta depositata in udienza), l’avvocato NOME COGNOME del foro di Trani in difesa di COGNOME NOME, il quale espone compiutamente le proprie ragioni e chiede dichiararsi l’inammissibilità del ricorso ed in ogni caso il riget del ricorso.
È presente l’avvocato COGNOME del foro di Brindisi in difesa di Potenza Domenico, il quale deposita in udienza le conclusioni scritte unitamente alla nota spese, puntualizza ed espone ampiamente le ragioni poste alla base del ricorso e ne chiede l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 20.12.2023, la Corte di appello di Lecce ha confermato la sentenza di primo grado che, in sede di rito abbreviato, aveva assolto NOME COGNOME dal reato di cui all’art. 589-bis cod. pen. in danno di NOME COGNOME. Secondo l’accusa, l’imputato aveva colposamente cagionato il decesso della persona offesa, per non essersi avveduto della presenza del COGNOME sulla strada, dopo che costui era caduto dal suo ciclomotore, investendolo con il furgone di cui era alla guida (fatto del 14.8.2018).
I giudici di merito, in estrema sintesi, hanno ritenuto non dimostrato che il veicolo guidato dal prevenuto procedesse, al momento del sinistro, con velocità superiore al limite previsto (50 Km/h); inoltre, hanno considerato che, anche rispettando il detto limite di velocità, l’imputato non avrebbe potuto evitare l’investimento, stante l’impossibilità di scorgere per tempo il corpo riverso a terra della vittima, tenuto conto delle condizioni di scarsa visibilità presenti sul posto.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il difensore della costituita parte civile, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione sotto i seguenti profili.
Si deduce che è stata trascurata la pacifica ed ammessa omissione di soccorso da parte dell’imputato, quale dato che si sarebbe dovuto valutare ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa. Non si è tenuto conto delle dichiarazioni auto accusatorie dell’imputato, il quale ha ammesso che nell’occorso stava procedendo ad una velocità di circa 60/70 Km/h, come confermato dal consulente tecnico del PM, i cui accertamenti sono stati illogicamente trascurati. È stata minimizzata la riscontrata presenza di un ciclomotore a terra nel margine destro della carreggiata, situazione che non può essere considerata ordinaria. Illogico quanto affermato sul tema della visibilità della vittima, in contrasto con le deduzioni del consulente della procura, secondo cui il corpo della vittima era visibile ad un conducente accorto ad una distanza di 36 metri. L’incidente è avvenuto con i primi bagliori che precedono l’alba; quindi, con visibilità naturale solo ridotta ma non assente.
Sono state depositate note scritte dai difensori del responsabile civile, RAGIONE_SOCIALE e dell’imputato, con cui si conclude per la inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Sulla questione riguardante l’interesse della parte civile ad impugnare la sentenza di assoluzione emessa con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, si osserva che ormai la più recente giurisprudenza della Suprema Corte si è attestata sulla sussistenza di tale interesse (cfr. Sez. 4, n. 30616 del 07/05/2024, Rv. 286883 – 04; Sez. 4, n. 14194 del 18/03/2021, Rv. 281016 01; Sez. 6, n. 36526 del 28/10/2020, Rv. 280182 – 02).
Tale orientamento, del resto, risulta autorevolmente avallato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite le quali, sin dalla sentenza Guerra (n. 40049 del 29/05/2008), e come ribadito dalla sentenza COGNOME (n. 28911 del 28/03/2019) nonché dalla recente sentenza Calpitano (n. 36208 del 28/03/2024), hanno (sia pure incidentalmente ma chiaramente) affermato che la parte civile è legittimata all’impugnazione di tutte le sentenze di proscioglimento pronunciate nel giudizio, senza alcuna distinzione, ritenendo che la possibilità, per la parte civile, di ottenere il risarcimento del danno al di fuori del proces penale non possa annullare l’interesse a ottenerlo in sede penale. Le Sezioni Unite hanno ritenuto condivisibile la considerazione secondo cui, in caso di assoluzione perché il fatto non costituisce reato, le limitazioni all’efficacia giudicato, previste dall’art. 652 cod. proc. pen., non incidono sull’estensione del diritto all’impugnazione, riconosciuto in termini generali alla parte civile n
processo penale dall’art. 576 cod. proc. pen., giacché, tra l’altro, ove si ritenesse il contrario, la parte civile che intendesse impugnare la sentenza assolutoria sarebbe costretta a rinunciare agli esiti dell’accertamento compiuto nel processo penale e a riavviare ab initio l’accertamento in sede civile, con conseguente allungamento dei tempi processuali (per tali considerazioni cfr. Sez. 2, n. 41784 del 18/07/2018, Rv. 275416 – 01; Sez. 2, n. 36930 del 04/07/2018, Rv. 273519 – 01).
Pertanto, il Collegio ritiene che non vi siano i presupposti per evocare l’intervento delle Sezioni Unite, essendosi ormai consolidato, sulla questione in disamina, un orientamento univoco e chiaro nel senso indicato.
Passando al merito del ricorso, si ritiene che lo stesso sia fondato, per le considerazioni che seguono.
Appare, in primo luogo, fondato (e assorbente) il rilievo mediante il quale il ricorrente evidenzia che i giudici di merito, nella ricostruzione della vicenda nella delibazione dei profili di responsabilità, non si siano attenuti ai protocolli valutazione della prova scientifica, superando l’apporto del parere degli esperti con argomentazioni soggettive prive di adeguato supporto scientifico.
Ci si riferisce, in particolare, al passaggio motivazionale in cui la Corte di appello avalla le argomentazioni del primo giudice, laddove – a fronte di un elaborato peritale che aveva evidenziato come, sulla base della ricostruzione dell’evento effettuata utilizzando il software Virtual Crash 4.0 e delle peculiar condizioni di tempo e di visibilità esistenti al momento dell’incidente, il corpo riverso a terra di Vinci Giuseppe fosse visibile e percepibile da un conducente accorto ad una distanza di 36 metri – aveva, per contro, osservato come tali conclusioni fossero incoerenti con le figure presenti nell’elaborato di consulenza, in cui – sempre a detta del giudicante – si poteva scorgere soltanto “un’ombra assolutamente inidonea a far sospettare la presenza di una sagoma di un uomo sulla carreggiata” e “un qualcosa di indefinito presente nell’oscurità”. Tali argomentazioni sono state fatte proprie dalla sentenza impugnata, la quale ha pure aggiunto la considerazione secondo cui “dalla diretta visione del materiale in atti e, quindi, dalle figure sopra richiamate nella consulenza del P. M., la Corte ritiene che non sia in alcun modo distinguibile un corpo umano disteso sulla strada, così condividendo il giudizio espresso sul punto dal giudice di primo grado”.
Si tratta di considerazioni manifestamente illogiche, laddove, per superare il qualificato parere di un esperto che, fra l’altro, risultava supportato da un software specifico, idoneo a renderlo scientificamente attendibile, si sono limitate a contrapporre una valutazione meramente soggettiva, del tutto sfornita di adeguato supporto scientifico o, quantomeno, esperienziale, poiché essenzialmente fondata sulla scienza privata del giudice, ovvero su quanto da lui direttamente percepito dalla visione delle “figure” allegate all’elaborato tecnico.
Un simile approccio non è in linea con il principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il giudice, quando sia necessario svolgere indagini od acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, non può prescindere dall’apporto della perizia per avvalersi direttamente di proprie, personali, competenze scientifiche e tecniche; perché l’impiego della scienza privata costituisce una violazione del principio del contraddittorio nell'”iter” di acquisizione della prova e del diritto delle part vedere applicato un metodo scientifico e di interloquire sulla validità dello stesso (cfr. Sez. 1, n. 19822 del 23/03/2021, Rv. 281223 – 01; Sez. 4, n. 54795 del 13/07/2017, Rv. 271668 – 01).
Un ulteriore profilo di illegittimità della sentenza impugnata, fondatamente evidenziato nel ricorso, è quello attinente alla riscontrata velocità del mezzo condotto dall’imputato al momento dell’incidente.
A fronte di dichiarazioni autoaccusatorie dell’imputato, secondo cui egli al momento dell’occorso viaggiava ad una velocità di circa 60/70 km/h (superiore al limite di 50 Km/h), trattandosi della velocità abitualmente tenuta in quel tratto di strada, da lui percorsa quotidianamente; ed a fronte del riscontro costituito dal parere fornito dal consulente tecnico del PM, il quale aveva ipotizzato una velocità di percorrenza del furgone condotto dall’imputato pari a 70 Km/h, in considerazione del fatto che il corpo risultava essere stato trascinato per quasi 15 metri dal punto d’impatto; a fronte, quindi, di precisi e convergenti elementi di prova, supportati da una valutazione di tipo scientifico e dal dato esperienziale fornito dallo stesso imputato, i giudici del merito hanno, del tutto illogicamente, ravvisato la mancanza “agli atti del processo” di un “riscontro oggettivo da cui far emergere in modo certo la velocità effettivamente tenuta dall’imputato in quello specifico contesto spazio-temporale”.
Sulla scorta dei riscontrati vizi di legittimità da cui è affetta la sentenz impugnata, se ne impone l’annullamento con rinvio, agli effetti civili, dinanzi al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui va rimessa anche la
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decisione sulla regolamentazione fra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello cui demanda anche la regolamentazione fra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.
Così deciso il 14 gennaio 2025
Il Consiglie estensore
Il Pre dente