Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 36998 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 36998 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/11/2023 della CORTE di APPELLO di L’AQUILA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente al calcolo dell’aumento della pena per la continuazione con riferimento alle ipotesi contestate al capo 2), lettere e) ed h), da qualificarsi come fattispecie di cui all’art. 392 cod. pen., con rinvio alla Corte di Appello di L’Aquila per la rideterminazione della pena, nonché chiedendo, nel resto, l’emissione di declaratoria di inammissibilità del ricorso;
lette le conclusioni della parte civile NOME, che la concluso per l’affermazione della responsabilità penale dell’imputato in ordine ai reati allo stesso ascritti, confermando la sentenza di primo grado e condannando lo stesso alla rifusione delle spese di costituzione e difesa anche del presente grado, indicate in euro 2.250,00, oltre accessori di legge;
lette le conclusioni della parte civile NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per inammissibilità o manifesta infondatezza di tutti i motivi di ricorso proposti
dall’imputato, con conferma della sentenza impugnata anche nella parte in cui ha statuito la condanna al risarcimento dei danni e la rifusione dei compensi professionali in favore della parte civile, e con condanna dell’imputato al pagamento delle spese e competenze legali di parte civile del presente grado, indicate in euro 3.686,00 (di cui euro 945,00 per la fase di studio della controversia ed euro 2.741,00 per quella decisionale), oltre alle spese generali e agli accessori di legge.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 28 novembre 2023 la Corte di Appello di L’Aquila, in parziale riforma della pronuncia di primo grado emessa dai Tribunale di Vasto, che aveva assolto l’imputato dai reati di cui ai capi 1) (estorsione consumata) e 2) limitatamente alle lett. a), b) f) e i) (tutte estorsioni tentate) perché il fatto non sussiste, assolveva lo stesso imputato dai reati di cui al capo 2) lett. g) e j) con la medesima formula e, riqualificate le condotte di cui al medesimo capo 2) lett. e) e h) ex artt. 56 e 393 c.p., rideterminava la pena inflitta in relazione ai reati residui di cui ai detti ultim capi nonché ai reati di tentata estorsione di cui alle lett. c) e d) dello stesso capo 2) e di danneggiamento seguito da incendio di cui al capo 3).
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione dell’imputato, chiedendone l’annullamento e articolando sei motivi.
2.1. NOME Con il primo motivo deduceva mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità.
Con riferimento al capo 2) lett. c) e al capo 3) dell’imputazione, entrambi relativi all’incendio dell’autovettura di proprietà di NOME, i giudici di merito avrebbero fondato le statuizioni di responsabilità sulla natura dolosa dell’incendio, sulla certezza che l’imputato fosse transitato nelle adiacenze del luogo del commesso reato a bordo della propria vettura e sulle condotte successive dell’imputato, costituite in minacce esplicite intercettate e in successivi danneggiamenti delle auto di proprietà delle parti offese, ciò omettendo di confrontarsi con le argomentazioni difensive dedotte al riguardo con l’atto di appello, relative:
al fatto che nel momento in cui l’auto era stata data alle fiamme l’imputato si trovava sul luogo di lavoro, a circa 50 chilometri di
distanza, e successivamente, mentre rientrava a casa, aveva avuto un guasto alla propria vettura;
alla circostanza che l’auto ritratta dalle telecamere in prossimità del luogo del danneggiamento era della stessa marca (Toyota) di quella in uso all’imputato, ma non era stato possibile individuare il modello e la targa, e men che meno il conducente, e ancora al fatto che la medesima vettura non era stata ripresa mentre arrestava la propria marcia;
alla circostanza che il telefono cellulare dell’imputato non aveva mai agganciato una cella telefonica che coprisse la zona ove era stata posta in essere la condotta di danneggiamento.
Riguardo al danneggiamento del veicolo di proprietà di NOME (capo 2) lett. e) dell’imputazione) i giudici di merito non si erano confrontati con le argomentazioni difensive sviluppate nell’atto di appello, con particolare riferimento:
al fatto che il teste di p.g. COGNOME aveva affermato che il soggetto ritratto dalle telecamere mentre era intento a tagliare i pneumatici della vettura oggetto del ricordava la sagoma e il modo di camminare dell’imputato, che tuttavia non aveva riconosciuto;
al fatto che non risultava che l’auto, di colore bianco, a bordo della quale il soggetto ritratto dalle telecamere era giunto sul luogo del reato fosse in uso all’imputato;
alla manifesta illogicità delle argomentazioni del giudice di appello, utilizzate ai fini dell’affermazione di responsabilità, relative alla circostanza che non era risultato che la persona offesa avesse dei contrasti con persone diverse dall’imputato e che quest’ultimo in precedenza aveva incendiato l’auto di NOME, compagno della NOME.
Riguardo al danneggiamento della vettura Renault Megane di cui al capo 2) lett. h) dell’imputazione i giudici di merito, ancora una volta, non si erano confrontati con le argomentazioni difensive dedotte con l’atto di appello relative:
al fatto che il sistema di localizzazione GPS montato sull’auto di proprietà dell’imputato aveva rilevato esclusivamente il transito della detta vettura, il cui conducente era rimasto ignoto, su una via pubblica e lo spegnimento del motore per tre minuti;
-alla circostanza che i rumori registrati nel frangente non potevano ritenersi NOME univocamente NOME significativi NOME di NOME una NOME condotta NOME di danneggiamento;
-al fatto che la vettura sulla quale era stato apposto il sistema GPS veniva utilizzata anche dal cugino dell’imputato, a nome NOME;
-alla circostanza che la condotta di danneggiamento era stata posta in essere la sera di un sabato, quando l’imputato, che si occupava della sicurezza di un locale pubblico, si trovava al lavoro.
Quanto all’ultimo episodio, relativo alla condotta violenta concretatasi in due schiaffi al viso, posta in essere in danno di NOME RAGIONE_SOCIALE e contemplata al capo 2) lett. d) dell’imputazione, i giudici di appello non si erano confrontati con le argomentazioni dedotte con l’atto di appello in punto di credibilità del teste oculare, che aveva assistito alla scena a una distanza di almeno 50 metri e in realtà aveva soltanto sentito il rumore di degli schiaffi, e ancora in punto di compatibilità con la condotta contestata delle lesioni patite dalla parte offesa e accertate mediante referto medico, e infine in punto di condotte successive al reato, con particolare riguardo alla conversazione telefonica, debitamente intercettata, nel corso della quale l’imputato avrebbe ammesso di aver colpito dalla parte offesa, conversazione ritenuta dalla difesa di contenuto generico.
2.2. NOME Con il secondo motivo la difesa deduceva erronea applicazione degli artt. 393, 56 e 629 cod. pen. assumendo che le pronunce assolutorie intervenute nei gradi di merito avevano fatto sì che venissero meno gli elementi costitutivi dei reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle persone e di tentata estorsione, reati ritenuti dai giudici di appello, considerato che i capi di imputazione residui non facevano riferimento a condotte violente o minacciose nei confronti della NOME, bensì solo al danneggiamento di due autovetture, così che le dette condotte dovevano essere riqualificate ex art. 392 cod pen., e che la condotta violenta esercitata nei confronti del NOME non risultava supportata da alcuna richiesta estorsiva.
2.3. NOME Con il terzo motivo la difesa deduceva erronea applicazione degli artt. 393, 56 e 629 cod. pen. e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla qualificazione delle condotte poste in essere in danno di NOME assumendo che nella specie era carente il dolo di
estorsione, dovendosi ritenere sussistente, al più, l’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 393 c.p., considerato che l’imputato era straniero e pertanto aveva inteso esclusivamente esercitare le proprie ragioni omettendo di rivolgersi al giudice per mera ignorantia legis; deduceva, peraltro, la difesa assumeva che il NOME non poteva ritenersi estraneo al rapporto obbligatorio intercorso fra l’imputato e la NOME in quanto egli, convivente di quest’ultima, aveva partecipato a più incontri con l’imputato e aveva aiutato la donna a restituire le somme a suo tempo ricevute in prestito.
2.4. NOME Con il quarto motivo la difesa deduceva erronea applicazione della legge penale e carenza di motivazione in relazione all’art. 62 bis cod. pen., affermando che i giudici di appello non avevano adeguatamente motivato in relazione alle non concesse circostanze attenuanti generiche, giacché avevano utilizzato mere formule di stile.
2.5. NOME Con il quinto motivo deduceva erronea applicazione della legge penale e carenza di motivazione in relazione agli artt. 133 e 81 cod. pen., assumendo che i giudici di appello non avevano motivato in relazione al trattamento sanzionatorio e che in ogni caso la pena irrogata era illegale, dovendo essere, i fatti, riqualificati ex art. 392 cod. pen., reato punito con la sola pena pecuniaria.
2.6. NOME Con il sesto e ultimo motivo la difesa deduceva erronea applicazione della legge penale e mancanza e illogicità della motivazione in relazione all’art. 235 cod. pen., che prevedeva l’espulsione dello straniero condannato alla reclusione per un tempo superiore a due anni, assumendo che l’espulsione richiedeva necessariamente il previo concreto accertamento della pericolosità sociale del reo e che nella specie, in ragione del tenore delle condotte e della personalità dell’imputato, questi non poteva essere ritenuto pericoloso, circostanza in ordine alla quale la corte territoriale non aveva adeguatamente motivato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è fondato nei limiti di cui appresso.
Deve, NOME innanzitutto, COGNOME ritenersi COGNOME che NOME la NOME Corte NOME territoriale NOME abbia adeguatamente motivato in merito al fatto descritto ai capi 2) lett. c) e
dell’imputazione (incendio della vettura Audi A6 di proprietà di NOME COGNOME).
Ed invero, la Corte d’Appello ha, al riguardo, richiamato puntualmente gli elementi di interesse acquisiti al processo (il fatto che in orario compatibile con l’incendio sia stato ripreso il transito sul luogo del delitto di una vettura Toyota Rav del tutto simile a quella in uso all’imputato nonché il fatto che il telefono in uso a quest’ultimo nel contempo avesse agganciato delle telefoniche che coprivano il medesimo luogo, dato questo in contrasto con l’alibi fornito dal ricorrente, che aveva affermato di trovarsi sul luogo di lavoro, distante circa cinquanta chilometri dal luogo dell’incendio, e ancora, l’indifferenza dal punto di vista probatorio del dato relativo alla richiesta di soccorso stradale avanzata dall’imputato la notte del delitto, risalente comunque ad almeno venti minuti prima il verificarsi dell’incendio), i quali sono stati valutati con motivazione sufficiente, logica e immune da contraddizioni.
Sul punto, pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per genericità e manifesta infondatezza.
Diversamente, deve ritenersi illogica la motivazione adottata dalla Corte territoriale in relazione al fatto descritto al capo 2), lett. e dell’imputazione (taglio dei quattro pneumatici della vettura in uso ad NOME).
Al riguardo la Corte d’Appello ha osservato, che il teste di p.g. COGNOME aveva affermato di non aver riconosciuto con certezza lo Shpataraku nell’autore del fatto, precisando che le riprese video non avevano inquadrato con chiarezza il volto dell’agente, che poteva assomigliare all’imputato per fisico e andatura.
Tale elemento, invero, può essere qualificato quale mero indizio, che non può essere elevato a rango di piena prova in ragione dell’ulteriore elemento indiziario, pure considerato dalla Corte territoriale ma privo del requisito della gravità, costituito dal fatto che pochi giorni prima il ricorrente aveva incendiato la vettura del compagno della NOME, NOME.
Sul punto, pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata rinvio per nuovo giudizio alla Corte d’Appello di Perugia.
Parimenti illogica risulta la motivazione della sentenza impugnata in relazione al fatto descritto al capo 2), lett. h), dell’imputazione
(danneggiamento degli pneumatici, del lunotto posteriore e del parabrezza anteriore della vettura Renault Megane in uso alla NOME e al Ma noie)
In proposito la Corte territoriale ha, ancora una volta, sostenuto il proprio giudizio di responsabilità con un elemento di valenza meramente indiziaria, privo del carattere della precisione (quale il fatto che, per mezzo di un dispositivo GPS, era stato accertato che la vettura dell’imputato, al momento del fatto, era transitata lungo la strada ove era parcheggiata l’autovettura Renault Megane per poi, nei pressi, arrestare per tre minuti la propria marcia, nel corso della quale il dispositivo aveva registrato un respiro affannoso e tre colpi non meglio descritti, per poi dirigersi verso l’abitazione dell’imputato), senza argomentare adeguatamente in merito al raggiungimento della prova di reità al di là di ogni ragionevole dubbio, e in particolare in merito al fatto che fosse proprio il ricorrente, nell’occasione, alla guida della vettura.
Pertanto anche su tale punto la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d’Appello di Perugia.
Diversamente, deve ritenersi immune da vizi la motivazione resa dalla Corte territoriale in merito al fatto descritto al capo 2) lett. d) dell’imputazione (percosse in danno di NOME).
Ed invero, la Corte d’Appello ha, al riguardo richiamato puntualmente gli elementi di interesse, costituiti dalle dichiarazioni accusatorie della vittima e dai riscontri alle medesime, evidenziati dalla Corte territoriale nel certificato medico attestante le lesioni patite nell’occasione dal medesimo COGNOME e nelle dichiarazioni del teste COGNOME, che aveva affermato di aver udito, a una distanza di circa venti metri dal luogo del fatto, il rumore caratteristico di due schiaffi, e ancora nel contenuto della conversazione intercettata e intercorsa fra il NOME e tale COGNOME, nel corso della quale i due avevano fatto espresso riferimento agli schiaffi ricevuti dal NOME ad opera dell’imputato; a fronte di tali elementi, puntualmente evidenziati dalla Corte territoriale e valutati con motivazione caratterizzata da logicità e completezza, appaiono meramente assertive, oltre che generiche, le considerazioni della difesa relative alla assunta inattendibilità del teste COGNOME e al dedotto carattere generico della suddetta conversazione fatta oggetto di captazione.
Pertanto sul punto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per genericità e manifesta infondatezza.
15.11 secondo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza, dovendosi considerare che in realtà nel derubricare i reati la Corte d’Appello ha fatto espresso riferimento anche al delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose (v. pag. 4 della sentenza impugnata: “I fatti descritti alle suddette lettere devono, tuttavia, essere riqualificati alla stregua del meno grave delitto di tentativo di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza e minaccia alle persone ed alle cose …”).
È inammissibile anche il terzo motivo, dovendosi considerare meramente assertiva e quindi non specifica l’affermazione della difesa secondo la quale era carente nell’imputato il dolo del delitto di estorsione, e apparendo altresì incongruo il riferimento, in proposito, al fatto che l’imputato fosse straniero, come pure incongrua appare l’ulteriore l’affermazione della difesa secondo la quale il NOME, solo per il fatto di aver aiutato la NOME ad adempiere al proprio debito a suo tempo contratto con l’imputato, sarebbe stato parte del detto rapporto obbligatorio.
Anche il quarto motivo è inammissibile, dovendosi ritenere all’evidenza immune da vizi la motivazione resa in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche – richieste della difesa senza l’allegazione di specifiche circostanze di fatto – dalla Corte territoriale, che ha ritenuto ed evidenziato l’assenza di elementi rilevanti in senso favorevole all’imputato e tali da giustificare una diversa quantificazione della pena (cfr. Sez. 3, n. 54179 del 17/07/2018, D., Rv. 275440 – 01, secondo cui, in tema di determinazione del trattamento sanzionatorio, nel caso in cui NOME la NOME richiesta NOME dell’imputato COGNOME di COGNOME riconoscimento delle attenuanti generiche non specifica le circostanze di fatto che fondano l’istanza, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante è soddisfatto NOME con NOME il NOME mero NOME richiamo NOME da NOME parte NOME del NOME giudice alla assenza di elementi positivi che possono giustificare la concessione del beneficio).
18.Anche il quinto motivo è inammissibile, non vertendosi all’evidenza in ipotesi di pena illegale – considerato che la Corte territoriale, nel calcolare la pena, è partita da una pena base nei limiti edittali per il
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reato di tentata estorsione di cui al capo 2) lett. c), per poi effettuare gli aumenti per continuazione in relazione ai reati satellite, aumenti rispetto ai quali il ricorrente non ha dedotto alcunché di specifico.
La dosimetria della pena, peraltro, appare adeguatamente motivata, avendo la Corte d’Appello fatto espresso riferimento, al riguardo, ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen. e risultando, nella specie, assai contenuti NOME gli NOME aumenti NOME di NOME pena NOME per NOME la NOME continuazione NOME (cfr. Sez. 6, n. 44428 del 05/10/2022, COGNOME, Rv. 284005 – 01, secondo cui, in tema di reato continuato, il giudice di merito, nel calcolare l’incremento sanzionatorio in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, non è tenuto a rendere una motivazione specifica e dettagliata qualora individui aumenti di esigua entità, essendo in tal caso escluso in radice ogni abuso del potere discrezionale conferito dall’art. 132 cod. pen.), di tal che le doglianze difensive, meramente reiterative, risultano non specifiche.
È, infine, manifestamente infondato anche il sesto motivo, considerato che la Corte territoriale ha motivato in maniera adeguata quanto al provvedimento di espulsione dell’imputato dal territorio dello Stato, ritenendo e motivando la sua pericolosità sociale con il riferimento al carattere violento delle condotte contestate e dagli altri elementi di cui all’art. 133 cod. pen.
Per quanto fin qui esposto, in conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alle condotte contestate al capo 2) in danno di NOME, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Perugia dovendo, nel resto, il ricorso essere dichiarato inammissibile; per l’effetto l’imputato deve essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE, liquidate come in dispositivo, dovendosi, diversamente, provvedere al definitivo in ordine alle spese relative alla parte civile NOME.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle condotte contestate al capo 2) in danno di NOME, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Perugia. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile NOME COGNOME, che liquida in complessivi
euro 3.686,00, oltre accessori di legge. Spese al definitivo per quanto riguarda
NOME. Così deciso il 04/07/2024