Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 37630 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 37630 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nato a Napoli, il DATA_NASCITA, avverso la sentenza del 10/12/2024 della Corte d’appello di Cagliari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; uditi gli AVV_NOTAIO NOME COGNOME e NOME COGNOME che, in difesa di NOME COGNOME NOME insistono per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Cagliari – riformando la sentenza di assoluzione emessa dal Tribunale di Cagliari – ha condannato NOME COGNOME per i reati ex artt. 74, comma 2, d.P.R. 98 ottobre 1990 n. 309 (capo 1) e 110 cod. pen. per avere partecipato alla associazione per delinquere descritta nel capo 1 quale abituale fornitore di ingenti quantitativi di droga (specificamente a NOME COGNOME, capo del gruppo criminale) oggetto dei reati ex art. 73 d.P.R. cit. descritti nei capi 2, 3 e 4 delle imputazioni.
Nei due atti di ricorso presentati dai difensori di COGNOME si chiede l’annullamento della sentenza.
2.1. Con l’atto di ricorso redatto dall’AVV_NOTAIO del Foro di Napoli si deducono violazione di legge e vizio della motivazione nel travisare le risultanze probatorie, fondando la sua valutazione, diversa rispetto a quella del Tribunale, su un unico elemento nuovo emerso dalla rinnovazione dell’istruttoria e costituito dal riferimento al nome «NOMENOME in una conversazione intercettata che dimostrerebbe che l’imputato (che ha un figlio di nome «NOME») è il fornitore della droga al gruppo criminale. Si osserva, inoltre, al riguardo che: COGNOME ha attribuito al venditore della droga un’età superiore di dieci anni a quella effettiva di COGNOME; le ricerche del «NOME» identificabile con COGNOME si sono concentrate nell’area in cui questi abita, come a cercare riscontri alla ipotesi accusatoria, ma non considerando che il nome «NOME» è assai diffuso nel territorio; si attribuisce a COGNOME la capacità di muovere circa due milioni di euro al mese trascurando che questo dato contrasta con il fatto che egli abita in una casa popolare; l’essere sia NOME che il «NOME» entrambi divorziati e che il soggetto chiamato «NOME» sia indicato come possessore di una «megamacchina» e il figlio di NOME possegga una automobile Ferrari non sono dati decisivamente probanti; la pronunzia del nome «NOME» emerge soltanto dalla rinnovazione istruttoria con una perizia tecnica svolta su una registrazione ambientale molto disturbata perché riguardante una conversazione veloce, in una autovettura in movimento e con rumori di fondo; la voce di NOME corrisponderebbe a quella del «NOME» soltanto con una mera «buona probabilità»; non vi è prova che NOME nel febbraio 2008 si sia imbarcato su navi o aerei diretti in Sardegna; la sigla «GF» con cui NOME aveva memorizzato il contatto con il «NOME» sul proprio cellulare non corrisponde alle iniziali dell’imputato. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2. L’atto di ricorso redatto dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME del Foro di Napoli è articolato in due motivi.
2.2.1. Con il primo motivo si deducono violazione di legge e vizio della motivazione, che dovrebbe essere rafforzata rispetto a quella del Tribunale, circa la identificazione dell’imputato con colui che nelle conversazioni è denominato «NOME». Si contesta che la Corte abbia adeguatamente argomentato la preferenza per gli esiti della perizia fonica elaborata nel corso del giudizio di appello rispetto a quella valutata dal Tribunale. Si rileva, inoltre, che non è stato accertato (con le necessarie attività di osservazione da parte della Polizia giudiziaria) se la piazzetta Lieti di Napoli a cui giunse l’automobile del coimputato NOME COGNOME, fosse il luogo di dimora del «NOME» o soltanto un luogo di incontro e si osserva che questo dato è rilevante perché nella seconda ipotesi si amplierebbe
considerevolmente il novero dei soggetti potenzialmente identificabile con il «NOME». Vengono, inoltre, ribaditi gli ulteriori argomenti espressi nel primo degli atti di ricorso.
2.2.2. Con il secondo motivo di ricorso si deducono violazione di legge e vizio della motivazione nell’attribuire a COGNOME il ruolo di partecipe della associazione in quanto stabile fornitore della sostanza stupefacente senza argomentare sull’esistenza della associazione. Si aggiunge che manca una motivazione circa la responsabilità per i reati ex art. 73 d.P.R. cit., nonché sul riconoscimento della circostanza aggravante ex art. 80 dello stesso decreto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Deve, anzitutto osservarsi, che – come precisato dalla Corte di appello – la sussistenza degli elementi costitutivi dei delitti contestati (oggetto del secondo motivo del secondo atto di ricorso) è stata accertata dal Tribunale di Cagliari, relativamente alle posizioni degli altri imputati, con sentenza del Tribunale di Cagliari confermata dalla Corte di appello e ormai irrevocabile (p. 5).
La partecipazione alla associazione per delinquere oggetto del capo 1) da parte del soggetto identificabile con il «NOME» si trae dal suo concorso negli altri reati descritti nei capi 2) e 3), per le ingenti quantità di cocaina che questi fornì al gruppo criminale, e dai contenuti delle conversazioni intercettate: in particolare, dalle entusiastiche espressioni con cui il coimputato NOME COGNOME (che guidava l’associazione) lo descrive quale soggetto che, con il suo straordinario apporto (ulteriore rispetto ai reati contestati), consentiva notevoli guadagni a una associazione di modeste dimensioni con la volontà di contribuire al suo mantenimento e di favorire la realizzazione del fine comune di trarre profitto del commercio di droga (p. 14 della sentenza impugnata).
Infatti, la costante disponibilità a fornire le sostanze oggetto di traffico illecito, quando è tale da determinare un durevole rapporto tra fornitore e smerciatori della droga, costituisce partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti (Sez. 6, n, 41612 del 19/06/2013, Rv. 257798), perché prova che tra l’organizzazione e il suo stabile fornitore, superando la soglia del rapporto sinallagmatico contrattuale, si passa a un rapporto di reciproco affidamento per la oggettiva importanza che il fornitore riveste per il gruppo criminale (Sez. 6, n. 51500 del 11/10/2018, Rv. 275719; Sez. 3, n. 21755 del 12/03/2014, Rv. 259881; Sez. 5, n. 32081 del 24/06/2014, Rv. 261747). La prova dell’inserimento organico nell’associazione in qualità di fornitore deriva dalla quantità e dalla periodicità degli apporti, quand’anche fossero non esclusivi, in conseguenza dei quali gli acquirenti possono contare su una fonte di
approvvigionamento (Sez. 6, n. 566 del 29/10/2015, dep. 2016, Rv. 265764) che, se venisse a mancare, destabilizzerebbe l’operatività del gruppo (Sez. 6, n. 47576 del 03/12/2024, Rv. 287375).
Le questioni oggetto della vicenda processuale in esame si incentrano sulla identificazione del soggetto che nelle conversazioni intercettate è nominato come «NOME» (o «NOME») con l’imputato.
2.1. Nel primo grado di giudizio, il Tribunale ha ritenuto che «non appare allo stato sufficiente la prova, ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. pen., che NOME COGNOME sia effettivamente il misterioso individuo che, indicato con il nome di “NOME” o “NOME“, costituiva il canale di approvvigionamento della associazione per delinquere guidata da NOME COGNOME (p. 19).
Il Tribunale ha escluso la sussistenza di indizi, gravi precisi e concordanti sui quali fondare la responsabilità dell’imputato, osservando quanto segue.
Gli incontri fra NOME e COGNOME, da un lato, e NOME (del quale in due occasioni è stato possibile ascoltare la voce), dall’altro, si sono svolti nella INDIRIZZO nel quartiere Capodimonte di Napoli, come risulta anche dalla geolocalizzazione dell’automobile utilizzata da NOME. Sono stati acquisiti circa un centinaio di tabulati telefonici relativi a utenze intestate a persone di norme «NOME» abitanti nella zona agganciata alla cella di INDIRIZZO, nel quartiere di Capodimonte, e si è accertato che l’imputato NOME COGNOME abita in INDIRIZZO e presenta precedenti penali in materia di contrabbando di tabacchi (p. 31).
Tuttavia, gli incontri non sono stati materialmente osservati dalla Polizia, sicché non è accertato se siano avvenuti nella INDIRIZZO e/o in una abitazione lì o nei pressi sita (p. 28).
2.2. Nelle conversazioni il «NOME» è indicato come appartenente a una delle famiglie più ricche di Napoli, inizialmente dedita ad affari illeciti nel campo delle sigarette, per poi dedicarsi principalmente alla cocaina (p. 29), ma questo dato non risulterebbe congruo con il fatto che NOME abita in un’area di edilizia popolare sita in un quartiere popolare, quale è Capodimonte. Né, per altro verso, corrisponderebbe a comune esperienza che le transazioni in materia di stupefacenti avvengano nelle abitazioni dei contraenti.
2.3. Dalla intercettazione delle conversazioni fra NOME COGNOME e NOME COGNOME fornita dalla Polizia giudiziaria, si desume che il nucleo familiare del «NOME» sarebbe composto da tre figli: «NOME» o «NOME» – di 25 anni circa e con un figlio – che sarebbe molto grasso, proprietario di almeno otto macchine ed esperto di computer; una figlia (con precedenti per contrabbando di tabacchi); un altro figlio di nome «NOME (15 o 16 anni). Ma – osserva il Tribunale – dalle conversazioni non risulta che il figlio di NOME sia indicato come «NOME» o
«NOME», perché, in realtà, questo nome emerge da un contesto del tutto diverso da quello della descrizione del nucleo familiare del «NOME», né dalle conversazioni si ricaverebbe il nome della figlia di NOME, mentre il «NOME» menzionato sarebbe, in realtà, il figlio del cugino (NOME) di NOME. Inoltre, nel nucleo familiare di NOME, NOME è il figlio più piccolo, mentre NOME è il maggiore e la secondogenita si chiama «NOME» (p. 31-32).
2.4. Il riconoscimento vocale di NOME è avvenuto tramite un accertamento fonico effettuato dall’ispettore COGNOME, che ha utilizzato come elementi di comparazione due intercettazioni (una telefonica e una ambientale), nelle prima delle quali la voce maschile dovrebbe attribuirsi, stante il contesto, al «NOME», mentre nell’altra il «NOME» è espressamente indicato come tale nel dialogo (p. 35-36). La comparazione è avvenuta con la voce di NOME, registrata durante i colloqui in carcere con la moglie e il risultato è stato espresso con un giudizio di «buona probabilità» che le voci appartengano alla stessa persona. Il Tribunale ha considerato sia i limiti intrinseci che l’esito non certo dell’accertamento tecnico compiuto, riconoscendogli una «limitata efficacia indiziaria» (p. 37-39).
2.5. Dalle conversazioni fra NOME COGNOME e la moglie risulta che il «NOME», un venerdì di metà febbraio, si sarebbe recato in Sardegna per incontrare i complici, mentre nelle liste dei passeggeri dei mezzi aerei e navali non risulta il nome di NOME COGNOME.
2.6. Nella rubrica di uno dei dispositivi cellulari trovati all’interno dell automobile di NOME COGNOME compare un soggetto di nome «NOME» che in un altro dispositivo è individuato con la sigla G.F., dove la lettera «effe» non conduce al cognome «NOME».
2.7. Dopo che è emersa la possibile corrispondenza di NOME COGNOME al «NOME», egli e suo figlio NOME sono stati sottoposti per mesi, su tutte le loro utenze note, a intercettazioni telefoniche dalle quali, però, non sono emersi elementi che confermino l’ipotesi accusatoria.
La Corte di appello ha ripercorso il ragionamento svolto dal Tribunale e ha così argomentato la sua diversa conclusione.
3.1. Ha considerato che ai dati valutati dal Tribunale vanno aggiunti i seguenti:
nel periodo degli incontri, nella INDIRIZZO abitavano, oltre a NOME, solo altre due persone di nome «NOME», ma incensurate, a differenza dell’imputato;
dalle conversazioni si evince che NOME fu ospitato in casa del «NOME», che, quindi, in INDIRIZZO non si limitò a incontrarlo;
non è vero che le transazioni in materia di sostanze stupefacenti non si svolgono mai a casa degli interessati;
non è vero che i facoltosi trafficanti di droga non abitino in quartieri popolari, dove anzi, essendovi cresciuti, ben possono decidere di restare perché possono controllare il territorio e fruire di protezione;
le caratteristiche dei figli di NOME corrispondono a quelle attribuite nelle conversazioni ai figli del «NOME», in particolare NOME all’epoca aveva ventuno anni, era sposato e con un figlio neonato, guidava un’auto di grossa cilindrata (1’1/07/2008 fu colto alla guida di una Ferrari);
è stata effettuata una nuova trascrizione della conversazione fra NOME e COGNOME del 17/02/2008 (quella in cui viene espressamente menzionato il figlio «NOME» del «NOME») da un perito dotato di una maggiore esperienza professionale e di una migliore apparecchiatura tecnica, con un accertamento più specificamente documentato rispetto a quello svolto dal perito nominato dal Tribunale (p. 14-15);
l’età di COGNOME, quale valutabile sulla base della foto segnaletica in atti, risulta biologicamente compatibile, stante la calvizie e la pelle rovinata, con quella (57-58 anni) attribuitagli da COGNOME, anche se egli è anagraficamente più giovane;
h) sia il «NOME» che NOME COGNOME precedenti penali per contrabbando, inolotre entrambi sono divorziati;
il cognato di NOME si chiama COGNOME NOME (nome al quale corrisponde il diminutivo «NOME») e ha un figlio di nome «NOME» al quale era intestato il contratto di assicurazione di un autoveicolo imbarcato il 17/12/2007 da NOME e da COGNOME per raggiungere la Sardegna dopo una trasferta in Campania;
NOME ha un collaboratore di nome «NOME» (lo stesso di colui che propose a NOME una cessione di armi, presumibilmente su ordine di «NOME», per saggiarne il grado di lealtà) e la predetta autovettura fu riportata in Campania da NOME NOME, arrestato il 21/10/2009 assieme a COGNOME NOME, cognato di NOME nella flagranza del reato di illecita detenzione di cocaina;
m) che i contenuti delle conversazioni intercettate non offrano riscontri alle ipotesi accusatorie è compatibile con l’uso di altre utenze da parte degli indagati (tanto più che dalle indagini si evince che essi solevano utilizzare utenze intestate a extracomunitari, e COGNOME, al momento dell’arresto, fu trovato in possesso di quattro cellulari);
n) una trasferta di NOME in Sardegna nel febbraio del 2008 non è escludibile soltanto perché non è stata provata, anche considerando che il sostituto commissario COGNOME ha precisato che gli accertamenti sul punto non sono stati completi e che non può, comunque, escludersi che NOME abbia astutamente viaggiato con un falso nome;
la mancanza di corrispondenza fra la sigla (G.F.), utilizzata per indicare il «NOME» nella rubrica telefonica di NOME è spiegabile variamente, anche come intenzionalmente adottata per fuorviare le indagini.
3.2. Su queste basi, la Corte ha concluso che la decisione assolutoria del Tribunale è fondata su «considerazioni parziali delle risultanze processuali, su travisamento dei fatti, su mancati approfondimenti probatori, su massime di esperienza prive di qualsiasi fondamento». Ha osservato, in particolare, che le caratteristiche individualizzanti di NOME e del «NOME» sono gravi precise e concordanti, perché attengono: al nome, all’età, ai precedenti penali, allo status di divorziato; al numero dei figli e al loro sesso, all’età del più giovane di loro, allo status di coniugato con un figlio e alle condizioni economiche del maggiore, al rapporto di parentela con tale «NOME» e di collaborazione con tale «NOME».
Il principio secondo cui il giudizio di condanna è legittimo «se l’imputato risulta colpevole … al di là di ogni ragionevole dubbio» (art. 533, comma 1, cod. proc. pen.) implica che, a meno che non siano sopravvenuti elementi probatori nuovi, la reformatio in pejus della sentenza di assoluzione in primo grado debba possedere una forza persuasiva superiore che elida il dubbio che potrebbe essere evocato dal contrasto fra le due sentenze. Questo perché la condanna richiede la certezza della colpevolezza, mentre l’assoluzione presuppone soltanto la mera non certezza della colpevolezza Sez. 6, n. 40159/2011, Rv. 251066; Sez. 6, n. 4996/2012, Rv. 251782).
Allora, occorre che il giudice di appello argomenti in modo specifico e completo circa i vizi logici o le inadeguatezze probatorie che minano la motivazione della sentenza di primo grado e sviluppi un ragionamento che dimostri la colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio (Sez. 6, n. 1266 del 10/10/2012, dep. 2013, Rv. 254024; Sez. 6, n. 8705 del 24/01/2013, Rv. 254113).
In altri termini, non è sufficiente che la sentenza di condanna emessa in appello risulti in astratto correttamente motivata in sé, ma è necessario anche che si confronti con le diverse ragioni della sentenza riformata e che le confuti per la sua incompletezza e/o incoerenza e/o presenza di altro vizio logico e/o per la inconciliabilità con i nuovi dati acquisiti. È la supremazia dialettica che le deriva dalla confutazione della sentenza assolutoria di primo grado che conferisce alla sentenza di condanna in secondo grado la forza persuasiva superiore che fa venir meno ogni ragionevole dubbio. Ne deriva che la sentenza di appello che ribalta il giudizio assolutorio di primo grado deve sviluppare una duplice argomentazione idonea, al contempo, a confutare quella che regge la sentenza di primo grado e a fondare un giudizio di responsabilità, perché, in ogni caso, la sentenza che riforma
in pejus la decisione assolutoria deve risultare atta anche a superare ogni ragionevole dubbio sulla responsabilità dell’imputato (Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269785).
In vari modi la giurisprudenza ha indicato come questo risultato può conseguirsi: dimostrando che gli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado e della difesa sono insostenibili e giustificando adeguatamente il maggiore rilievo dato a elementi di prova diversi o diversamente valutati (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231679; Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, COGNOME, Rv. 226093; Sez. 6, n. 6221/2006, COGNOME, Rv. 233083); confutando specificamente le ragioni favorevoli all’assoluzione; delineando le linee portanti del proprio alternativo ragionamento con una motivazione che, sovrapponendosi a quella della decisione riformata, giustifichi la maggiore considerazione accordata a elementi di prova diversi o diversamente valutati (Sez. 6, n. 10130 del 20/01/2015, Rv. 262907; Sez. 6, n. 39911 del 04/06/2014, Rv. 261589; Sez. 5, n. 8361 del 17/01/2013, Rv. 254638); riesaminando gli elementi di prova vagliati dal primo giudice e considerando sia quelli eventualmente sfuggiti alla sua valutazione sia quelli ulteriormente acquisiti (Sez. 6, n. 1253 del 28/11/2013, dep. 2014, Rv. 258005).
I vari modi non possono compendiarsi in un’unica formula perché la confutazione di una sentenza è correlata allo specifico modo in cui è essa costruita, sicché occorre preliminarmente ricostruire lo specifico schema logico-giuridico che la sorregge.
In questa prospettiva, vale ribadire che l’itinerario della valutazione della prova indiziaria – quella che ricorre nel caso in esame – ha due momenti.
5.1. Il primo momento concerne il maggiore o minore livello di gravità e di precisione degli indizi, ciascuno considerato isolatamente nella sua valenza. Nel secondo momento la valutazione degli indizi consiste nella loro valutazione complessiva e unitaria e tende a dissolverne le ambiguità. Infatti, nella valutazione complessiva ciascun indizio si somma e si integra con gli altri, confluendo in un medesimo contesto (Sez. U, n. 42979 del 26 giugno 2014, Squicciarino, Rv. 260017; Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231678; Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, Rv. 191230).
Per «gravità» si intende la resistenza alle obiezioni, e la capacità dimostrativa quale pertinenza del dato rispetto al thema probandum. Sono gravi gli indizi che presentino «una rilevante contiguità logica con il fatto ignoto» (Sez. 4, n. 943 del 26/06/1992, dep. 1993 Rv. 193003) ossia una consistenza dimostrativa tale da renderli «resistenti alle obiezioni e, quindi attendibili e convincenti» (Sez. 1, n. 3499 del 30/01/1991, Rv. 187113). Il livello di gravità
cresce con la forza della argomentazione con la quale gli elementi indizianti sono condotti al fatto da dimostrare, decresce con l’accrescersi del numero di accadimenti che se ne possono desumere secondo le massime di comune esperienza.
Per «precisione» si intende la specificità, l’univocità e la insuscettibilità di diversa interpretazione altrettanto o più plausibile. La precisione dell’indizio è connessa alla sua non equivocit sicché è tanto maggiore quanto minore èil numero delle sue diverse interpretazioni: il fatto noto deve essere indiscutibile, certo, nella sua oggettività, perché un fatto ignoto non può essere desunto da un fatto, a sua volta, ipotetico. La precisione dell’indizio dà conto della «direzione tendenzialmente univoca del contenuto informativo» (Sez. 6, n. 1327 del 25/03/1997, Rv. 208892), sicché precisi sono gli indizi non generici e non suscettibili di diversa interpretazione almeno altrettanto verosimile (Sez. 1, n. 4503 del 14/03/1995, Rv. 201133), e, perciò, non equivoci (Sez. 1, n. 8163 del 10/02/2015, non massimata sul punto).
La «concordanza» indica che gli indizi, devono convergere verso lo stesso fatto ignoto. La valutazione del complesso del compendio indiziario deve essere preceduta dalla valutazione, secondo i criteri legali dettati dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., dei vari indizi «singolarmente, verificandone la valenza qualitativa individuale e il grado di inferenza derivante dalla loro gravità e precisione». La convergenza di indizi fra loro eterogenei rafforza la valenza della abduzione.
La «precisione» e la «gravità», vanno accertate vagliando gli indizi anzitutto separatamente e, in un secondo momento, soprattutto per quel che riguarda la gravità, congiuntamente, perché la gravità degli uni può acquistare spessore dalla accertata gravità degli altri.
In realtà, la molteplicità degli indizi, che consente una valutazione di concordanza, e il requisito della gravità dell’indizio sono tra loro collegati e si completano a vicenda, nel senso che, in presenza di indizi poco significativi, può assumere rilievo l’elevato numero degli stessi – quando una sola possibile è la ricostruzione comune a tutti – mentre, in presenza di indizi particolarmente gravi, può essere sufficiente un loro numero ridotto per il raggiungimento della prova del fatto (Sez. 2, n. 35827 del 12/07/2019, Rv. 276743; Sez. 5, n. 36152 del 30/04/2019, Rv. 277529; Sez. 5, n. 16397 del 21/02/2014, Rv. 259552).
Con la valutazione della concordanza si passa dalla prima alla seconda fase del percorso di valutazione della prova indiziaria, che si svolge «confrontando gli indizi e ponendo in evidenza se gli stessi sul piano logico convergano o divergano» (Sez. 4, n. 943 del 26/06/1992, dep. 1993, Rv. 193003).
Logicamente gli errori e le approssimazioni delle valutazioni compiute nella prima fase si riverberano sulla qualità delle valutazioni che si effettuano nella seconda fase.
In questa fase, l’insieme degli indizi deve essere esaminato «in una prospettiva globale e unitaria, tendente a porne in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo, univoco e pregnante contesto dimostrativo» (Sez. U, n. 33748 del 2005, cit.). Solo con l’esame di tale compendio, entro il quale ogni indizio è contestualizzato, può essere verificata la consistenza e la decisività dei singoli indizi elementi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione (Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008, Rv. 239789). Per questa via, ogni indizio si somma e si integra con gli altri, cosicché il loro insieme può assumere un univoco significato che consente di ritenere provato il fatto (Sez. U, n. 6682 del 1992, cit.).
In sintesi: nella prova indiziaria, ex art. 192, comma 2 cod. proc. pen., gli indizi devono essere gravi, resistenti alle obiezioni e dotati di capacità dimostrativa in relazione al thema probandum, precisi, ossia specifici, univoci e non suscettibili di diversa interpretazione altrettanto o più verosimile, nonchè concordanti, ossia convergenti e non contrastanti tra loro e con gli altri dati ed elementi certi (Sez. 5, n. 1987 del 11/12/2020, dep. 2021, Rv. 280414).
Nella valutazione della prova indiziaria, il giudice non può limitarsi a una valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi, né semplicemente assommarli, ma – dopo avere valutato i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti) e l’intrinseca valenza dimostrativa (per lo più solo possibilistica) – deve esaminare complessivamente gli elementi certi per accertare se la ambiguità di ciascuno di questi, isolatamente considerato, possa risolversi in una visione unitaria, consentendo di ricostruire il fatto in termini credibili, il che è possibi anche quando le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di riscontri nei dati acquisiti (Sez. 1, n. 8863 del 18/11/2020, dep. 2021, Rv. 280605; Sez. 1, n. 20461 del 12/04/2016 Rv. 266941; Sez. 2, n. 42482 del 19/09/2013, Rv. 256967).
Infine, il complesso degli elementi probatori deve essere valutato sulla base del principio dell’«oltre ogni ragionevole dubbio»: si può condannare solo se gli elementi acquisiti escludono soltanto eventualità che sarebbero astrattamente formulabili e prospettabili come possibili, ma la cui realizzazione, nella fattispecie concreta non ha alcun riscontro nei dati acquisiti (Sez. 2, n. 2548 del 19/12/2014, dep. 2015, Rv. 262280; Sez. 1, n. 31456 del 21/05/2008, Rv. 240763).
5.2. Il problema fondamentale del giudizio sta nel porre le premesse per selezionare i fatti rilevanti. Quale sia la quantità minima di indizi necessari è
questione che va risolta di volta in volta, ma, in molti casi, la conclusione non si raggiunge tanto sviluppando inferenze esplicite da premesse esplicite quanto estraendo dalla serie disordinata di informazioni già disponibili, che stanno sullo sfondo, le premesse aggiuntive adatte a rendere esplicita e chiarificatrice l’informazione sottesa, rendendola coesa.
La valutazione atomistica degli indizi è fallace perché trascura che l’indizio – per sua costituzione – è un dato la cui ambiguità va emendata collegandolo ad altri. Rifuggire da questa operazione significa accantonare indebitamente elementi di valutazione rilevanti che potrebbero rivelarsi, infine, persino decisivi e, quindi, fallare per difetto: il giudice non può limitarsi a una valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi, né semplicemente assommarli, ma deve, preliminarmente, valutare i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti) e l’intrinseca valenza dimostrativa (ordinariamente solo possibilistica), e dopo valutare la coesione degli elementi certi, per accertare se le loro ambiguità possano risolversi in una visione unitaria consentendo di attribuire il reato all’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio o, all’opposto, di convalidare decisivamente una prospettazione difensiva.
Se l’insieme degli indizi riceve una sistemazione che li renda fra loro non solo esenti da incompatibilità essenziali ma anche coesi in un modo che risulti soddisfacente, allora l’ipotesi di ricostruzione dell’evento si consolida, a condizione che non emerga altra ipotesi ricostruttiva dotata di pari plausibilità.
Su queste basi è chiaro che l’inferenza abduttiva fuoriesce dall’ambito della mera analisi di elementi di conoscenza già stabilizzati e richiede una chiave interpretativa che connetta fra loro gli indizi: la ricostruzione dell’evento singolo deve conseguire la consistenza e la coesione delle informazioni.
Per queste ragioni le violazioni dell’art. 192 cod. proc pen., sebbene non possano essere dedotte con il motivo di violazione di legge di cui all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc pen. (non essendo prevista una nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza per l’inosservanza di questa norma) ben possono esserlo nei limiti indicati dalla lett. e) della stessa disposizione, ossia come mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame (fra le altre: Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, dep. 2017, Rv. 271294) .
La prova logica, raggiunta a conclusione di un corretto procedimento di valutazione unitaria e complessiva degli indizi, tale da superare l’ambiguità di ciascun elemento informativo considerato nella sua individualità, non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto a quella diretta o storica (Sez. 1, n. 46566
del 21/02/2017, Rv. 271228), se viene esclusa ogni altra soluzione alternativa equivalente (Sez. 1, n. 9700 del 24/06/1992, Rv. 191878).
Posto quanto precede, per quel che riguarda il caso in esame deve osservarsi quel che segue.
6.1. Entrambe le sentenze mancano di adeguata rilevazione circa la condotta e le attività dell’imputato e dei suoi familiari (in particolare, del figl COGNOME) che diano conto della plausibilità della descrizione che ne dà il coimputato NOME COGNOME e che trova oggettivo riscontro nella entità dei traffici illecit acclarati.
Ma, anche prescindendo dalla necessità di un siffatto inquadramento del contesto della condotta che viene attribuita all’imputato, il nodo irrisolto nella ricostruzione della vicenda deriva dalla mancata materiale osservazione degli incontri fra il «NOME», COGNOME e COGNOME.
Certamente gli incontri fra NOME e COGNOME, da un lato, e NOME (del quale in due occasioni è stato possibile ascoltare la voce), dall’altro, si sono svolti nell’area INDIRIZZO (dove abita NOME), nel quartiere Capodimonte di Napoli, come risulta anche dalla geolocalizzazione dell’automobile utilizzata da NOME.
Tuttavia, non è accertato se siano avvenuti nella piazzetta Lieti o nella abitazione del «NOME» (p. 28).
Questo punto – evidenziato nella sentenza del Tribunale – è fondamentale perché non consente di concludere – come invece apoditticamente sembra asserire la Corte di appello – che il NOME abitasse in INDIRIZZO (dove abita l’imputato), o comunque, nei dintorni e amplia notevolmente il novero dei soggetti potenzialmente identificabili con il «NOME». Infatti, se di INDIRIZZO risulta provato soltanto che fu il luogo degli incontri, allora non necessariamente deve ritenersi che il «NOME» dovesse essere ricercato fra gli abitanti della zona: in altri termini dal fatto che gli incontri avvenivano in INDIRIZZO non significa necessariamente che la casa del NOME fosse in quel luogo o nelle vicinanze.
6.2. Su queste basi, le opposte considerazioni del Tribunale e della Corte di appello circa la possibilità che le transazioni relative a sostanze stupefacenti avvengano a casa di uno degli interessati o che questi, con rilevanti disponibilità economiche derivantigli dagli affari illeciti, abiti in un quartier popolare – già poggianti su massime di comune esperienza parimenti non implausibili, seppure di segno contrario, ma comunque generiche (perché non calibrate rispetto a una specifica analisi delle vicende dell’imputato) – perdono specifica rilevanza.
6.3. Per quanto prima osservato sub 5.1., risultano depotenziate, sebbene permangano come significativi elementi indiziari, le corrispondenze fra alcune caratteristiche di NOME e quelle del «NOME» (entrambi divorziati e con precedenti penali per contrabbando: vedasi 3.1.h) e tra il numero e le caratteristiche dei figli dell’imputato NOME e quelle dei figli del «NOME».
Su quest’ultimo punto, inoltre, le differenze fra le valutazioni del Tribunale e quelle della Corte di appello non risultano compiutamente vagliate e risolte nella argomentazione della Corte di appello, neppure – per quel che anche nel seguito si osserverà – con riferimento alla menzione di un «NOME» identificabile con il figlio di NOME di nome «NOMENOME.
6.4. Per altro verso, rimane il contrasto fra l’età biologica di NOME e l’età, di dieci anni maggiore, attribuita al «NOME», quale riconosciuto in foto da COGNOME, che la Corte d’appello risolve con un assunto (vedasi 3.1.f), che non è implausibile ma che rimane, comunque, una ipotesi ad hoc.
Tali sono anche le spiegazioni offerte dalla Corte di appello circa: – la discordanza (evidenziata dal Tribunale: vedasi 3.1.0) fra la sigla (NOME.F.), che si suppone fosse utilizzata per indicare il «NOME» nella rubrica telefonica di NOME e le iniziali (NOME.R.) del nominativo di COGNOME ;
la mancanza del nominativo di COGNOME fra quelli dei soggetti che dall’Italia andarono in Sardegna nel febbraio del 2008 ;
il fatto che i contenuti delle conversazioni di NOME intercettate non offrano riscontri alle ipotesi accusatorie .
Le argomentazioni addotte al riguardo dalla Corte di appello possono valere a elidere l’attitudine delle circostanze considerate a confutare la costruzione accusatoria, ma ovviamente, non per questo valgono a corroborarla, mentre posseggono una valenza suggestiva, che tuttavia non supera la soglia della praesumptio de praesumpto, le circostanze – relative al ricorrere di nomi (propri) di persone vicine a COGNOME nelle vicende delittuose in esame – rimarcate dalla Corte di appello e richiamate sub 3.1.i e sub 3.1.1.
6.5. In questo quadro l’elemento indiziario dotato di maggiore gravità, potenzialmente idoneo ad aggregare gli altri in un insieme dotato di un nucleo coeso, è quello costituito dalla individuazione della voce del «NOME», ascoltata in occasione dei suoi incontri con NOME e COGNOME nella piazzetta Lieti, con quella di NOME COGNOME.
L’accertamento fonico valutato dal Tribunale è stato effettuato dall’ispettore COGNOME, che ha utilizzato come elementi di comparazione due intercettazioni (una telefonica e una ambientale) – nelle prima delle quali la voce maschile dovrebbe attribuirsi, stante il contesto, al «NOME», mentre nell’altra il «NOME» è espressamente indicato come tale nel dialogo – e le ha comparate con
la voce di COGNOME, registrata durante i suoi colloqui in carcere con la moglie. Il Tribunale ha dato succintamente conto della metodologia statistica adottata che ha condotto, in una scala che va da «sufficiente», a «buona», ad «alta» sino a «elevata» probabilità a un giudizio di «buona probabilità» che le voci appartenessero alla stessa persona (vedasi 1.5) e il Tribunale, nel considerare sia i limiti intrinseci che l’esito non certo dell’accertamento tecnico compiuto, ha attribuito a tale risultato una «limitata efficacia indiziaria» (p. 37-39).
Vale ribadire, al riguardo, che il giudice deve valutare l’affidabilità metodologica della perizia e se essa può condurre a una soluzione sufficientemente affidabile, in grado di fornire concrete, significative e attendibili informazioni idonee a sorreggere l’argomentazione probatoria inerente allo specifico caso esaminato (Sez. 5, n. 24725 del 18/02/2025; Rv. 288368; Sez. 5, n. 9831 del 15/12/2015, dep. 2016, Rv. 267567).
Questa esigenza tanto più vale se si considera che il livello di accuratezza del riconoscimento di persona sulla base della voce risulta in genere piuttosto basso perché le percentuali di accuratezza nell’identificare una voce fra diverse alternative sono indicate variamente da ricerca a ricerca ma comunque non elevate. Pertanto, il riconoscimento di persona basato sulla voce va accuratamente vagliato considerando la quantità di variabili che possono influenzarlo. Soprattutto: la familiarità con la voce identificata e le peculiarità che la caratterizzano, la durata dell’esposizione alla voce.
Il metodo di riconoscimento della voce più affidabile mediante comparazione è il cosiddetto metodo parametrico (Sez. 5, n. 8416 del 09/07/1993, Rv. 196264), che utilizza parametri biometrici e comportamentali della voce, come timbro, formanti, intonazione, e altre caratteristiche acustiche, analizzati con l’ausilio di software specializzati. Sono estratte caratteristiche acustiche della voce come la frequenza fondamentale, le formanti delle vocali (che definiscono il timbro), la durata delle occlusive, la velocità di articolazione e altre che vengono comparati statisticamente tra i campioni vocali per valutare la probabilità che appartengano alla stessa persona. Il risultato della comparazione può essere espresso in termini di probabilità che due campioni vocali appartengano alla stessa persona rispetto alla probabilità che appartengano a persone diverse, ma questo richiede campioni vocali di durata sufficiente per garantire l’affidabilità del risultato e l’intervento di esperti specificamente qualificati in fonetica forense, che possono anche integrare i risultati con analisi soggettive, purchè svolte sulla base di criteri giustificati.
La Corte d’appello ha recepito acriticamente l’esito della perizia espletata circa l’identificazione della voce del «NOME» con quella di COGNOME nell’uso della espressione «buona probabilità», ma ne ha tralasciato il conclusivo giudizio di un
suo risolversi soltanto in una «limitata efficacia indiziaria», così veicolandone la carenza circa la descrizione del metodo utilizzato, la sua valenza epistemologica e la precisione del criterio di giudizio adottato.
Invece, si è concentrata su una nuova trascrizione della conversazione fra NOME e COGNOME del 17/02/2008 (quella in cui viene espressamente menzionato un figlio del «NOME»), giudicandola effettuata da un perito ritenuto dotato di una maggiore esperienza professionale e di una migliore apparecchiatura tecnica, con un accertamento più specificamente documentato rispetto a quello svolto dal perito nominato dal Tribunale giungendo alla conclusione che uno dei figli del «NOME» si chiamava «NOME», mentre il Tribunale aveva escluso che nella loro conversazione COGNOME e NOME avessero indicato «NOME» nella descrizione del nucleo familiare di “NOME“» (p. 33 della sentenza del Tribunale). Ma a questa conclusione è giunta sulla base di una comparazione fra l’accertamento considerato dal Tribunale e quello disposto nel secondo grado di giudizio incentrata su una considerazione di natura estrinseca che non danno specificamente e concretamente conto delle modalità che intrinsecamente caratterizzano, così anche distinguendoli, i due accertamenti.
Pertanto, la sentenza impugnata va annullata con rinvio per un nuovo giudizio alla luce dei principi di diritto e dei criteri prima indicati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Cagliari. Così deciso il 23/09/2025